Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34153 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34153 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI ROMA
nei confronti di:
ANGELO GOMES REGINALDO N. IL 04/07/1985
avverso l’ordinanza n. 411/2012 TRIBUNALE di ROMA, del
18/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
lette/see le conclusioni del PG Dott. SQA–3—Z- %-•
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Data Udienza: 04/07/2014

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 18.11.2013 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione,
rigettava la richiesta avanzata dal Pubblico Ministero volta ad ottenere la revoca ex art. 673
c.p.p. della sentenza di condanna emessa nei confronti di ANGELO GOMES REGINALDO dal
Tribunale di Roma in data 15.2.2011,irrevocabile in data 7.5.2011, in ordine al reato di cui
all’art. 6/3 D.L.vo 286/1998, commesso il 7.9.2008.
Osservava il giudice dell’esecuzione che, anche a seguito della modifica apportata all’art. 6/3
dalla legge 15.7.2009 n.94, la giurisprudenza aveva continuato a ritenere che la

ottemperante all’ordine di esibire un documento d’identità. Solo a seguito di un mutamento di
giurisprudenza della Corte di cassazione ( sentenza in data 24.2.2011 delle Sezioni Unite) e

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non a seguito di un’abolitio riminis si era stabilito che il reato de quo, dopo la modifica
apportata dalla legge 94/2009, poteva essere commesso esclusivamente dallo straniero
regolare sul territorio dello Stato, in quanto solo chi è in possesso del permesso di soggiorno
può ottemperare all’ordine di esibire detto permesso e un documento d’identità.
Concludeva che l’art. 673 c.p.p. era applicabile esclusivamente a seguito di un intervento
legislativo di abrogazione della norma incriminatrice o di declaratoria di illegittimità
costituzionale della stessa, mentre il mero mutamento di giurisprudenza non può rientrare nel
novero dei fatti sopravvenuti che giustificano l’esercizio del potere di revoca del giudicato di
condanna ad opera del giudice dell’esecuzione.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura della Repubblica di Roma,
chiedendone l’annullamento per erronea applicazione della legge penale.
A seguito della modifica apportata dalla legge 94/2009 al testo dell’art. 6/3 D.L.vo 286/1998,
la norma incriminatrice non poteva più applicarsi allo straniero in posizione irregolare sul
territorio dello Stato, e quindi il fatto per il quale era stato condannato Angelo Gomes
Reginaldo – straniero irregolare sul territorio dello Stato che non aveva ottemperato all’ordine
di esibire un documento d’identità – non era più previsto dalla legge come reato.
Con l’entrata in vigore della predetta legge si era verificata un’incompatibilità tra le nuove
disposizioni e le precedenti, ed il giudice dell’esecuzione – pur non avendo l’obbligo di
conformarsi all’orientamento delle Sezioni Unite – avrebbe dovuto esporre i motivi per i quali
aveva ritenuto di discostarsi dal medesimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’ordinanza impugnata ha infatti correttamente disatteso la richiesta di parte ricorrente, in
applicazione del disposto dell’art. 673 c.p.p., secondo il quale la sentenza di condanna passata
in giudicato è revocata solo “nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità
costituzionale della norma incriminatrice”.
1

contravvenzione si applicasse allo straniero irregolare sul territorio dello Stato non

Si deve mettere in evidenza che, alla data (15.2.2011) nella quale è stata emessa la sentenza
di condanna nei confronti di Angelo Gomes Reginaldo, era già in vigore la legge del 15.7.2009
n.94 e che parte della giurisprudenza riteneva (finché non sono intervenute le Sezioni Unite di
questa Corte con la sentenza n. 16453 del 24.2.2011) sussistente il reato di cui all’art. 6/3
D.L.vo 286/1998, nonostante l’intervenuta modifica legislativa, anche nei confronti dello
straniero irregolare sul territorio dello Stato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di esecuzione, l’art. 673 c.p.p. opera
soltanto nel caso in cui, a seguito di innovazione legislativa o di declaratoria di

predetta disposizione non può, invece, trovare applicazione, quando l’eventuale abrogazione
implicita derivi da un mutamento di indirizzo giurisprudenziale che non può costituire
“iuskuperveniens” anche a seguito di pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (V.
Sez. 1 sentenza n. 27121 dell’11.7.2006, Rv. 235265 e Sez. 1 sentenza n. 13411 del
21.2.2013, Rv. 255364).
Se quindi, nonostante l’intervenuta innovazione legislativa, il giudice dà un’errata
interpretazione alla norma (come nel caso in esame), all’errore può porsi rimedio solo
attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione previsti per la fase della cognizione.
Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, non si può in sede esecutiva rimediare all’errore
del giudice con l’istituto della revoca del provvedimento di cui all’art. 673 c.p.p., in quanto
detto istituto si applica solo se l’abrogazione della norma incriminatrice (o la dichiarazione di
incostituzionalità della stessa) interviene dopo la decisione del giudice.
Pertanto, il ricorso della Procura della Repubblica di Roma deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma in data 4 luglio 2014
Il Consigliere estensore

incostituzionalità, si verifichi un’ipotesi di abrogazione esplicita o implicita di una norma. La

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