Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3415 del 29/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3415 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– GIACCONE ALESSANDRA, n. 14/07/1972 a PALERMO

avverso l’ordinanza tribunale del riesame di PALERMO in data 5/05/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Romano, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

Data Udienza: 29/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5/05/2014, depositata in data 8/05/2014, il tribunale del
riesame di PALERMO rigettava la richiesta di riesame proposta dall’indagata
contro il decreto di sequestro emesso dal GIP del medesimo tribunale in data
10/04/2014 avente ad oggetto i beni dettagliatamente indicati nel predetto

medesima fino alla concorrenza del valore di 400.000 euro; giova precisare che
la Giaccone Alessandra risulta, allo stato, indagata – per quanto qui di interesse,
in relazione al contenuto dell’impugnazione di legittimità riguardante
esclusivamente i fatti di cui al capo b) della rubrica, difettando invece qualsiasi
doglianza quanto alla residua imputazione cautelare sub a), concernente il
concorso dell’indagata nel delitto di cui all’art. 11, d. Igs. n. 74/2000 – per il
reato di riciclaggio continuato, fatto contestato come commesso in data 20
novembre 2012, per aver ricevuto somme proventi del reato di evasione fiscale
mediante dichiarazione infedele ex art. 4, d. Igs. n. 74/2000, commesso dal
padre Aurelio tra il 2004 ed il 2006, sostituendolo mediante utilizzo per l’acquisto
per 400.000 euro di un bene immobile costituito da un appartamento sito in via
Cruillas n. 33 di Palermo, successivamente dalla stessa donato per il valore di
53.700 euro al trust ANILA, così ostacolando l’identificazione della provenienza
delittuosa del denaro ricevuto, secondo le modalità esecutive e spazio temporali meglio evidenziate al capo B) dell’imputazione cautelare.

2. Ha proposto ricorso l’indagata a mezzo del difensore fiduciario cassazionista,
impugnando l’ordinanza predetta, deducendo tre motivi di ricorso, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art.
606, lett. B), c.p.p., con riferimento all’art. 63, comma 4, d. Igs. n. 231/2007 ed
agli artt. 648 bis e 648 quater c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale del
riesame avrebbe ritenuto erroneamente applicabile l’art. 648 quater c.p.
(introdotto dalla d. Igs. n. 231/2007, art. 63, comma 4) a condotte antecedenti
alla sua entrata in vigore, avvenuta in data 14 dicembre 2007; in particolare,
sostiene la ricorrente che la condotta oggetto di contestazione si sarebbe
consumata alla data di acquisto dell’immobile di via Cruillas n. 33, dunque in
data 5 giugno 2007 (data coincidente con quella del verbale di aggiudicazione
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provvedimento nonché degli ulteriori beni o utilità nella disponibilità della

notarile), atteso che il delitto di riciclaggio si sarebbe consumato alla data di
acquisto del predetto immobile con la sostituzione del denaro “provento di
evasione fiscale mediante dichiarazione infedele” con il bene medesimo;
diversamente, prosegue la ricorrente, sarebbe irrilevante in quanto confinata nel
“post factum” non punibile ai fini della consumazione di tale delitto, la successiva
condotta di conferimento dell’immobile medesimo al

trust ANILA da parte

che colloca il momento consumativo in data 20 novembre 2012, data appunto
del conferimento in trust del predetto immobile; in ogni caso, si aggiunge in
ricorso, la condotta di conferimento in trust del predetto immobile non avrebbe
potuto essere considerata non solo inidonea ma nemmeno finalizzata né posta in
essere in modo da ostacolare la provenienza delittuosa del denaro ricevuto dalla
ricorrente, essendosi perfezionata con atto pubblico notarile; in conclusione,
dunque, essendo intervenuto l’acquisto dell’immobile in data antecedente
all’entrata in vigore del d. Igs. n. 231/2007 – che ha reso applicabile la confisca
per equivalente al reato di riciclaggio, mediante l’introduzione dell’art. 648
quater c.p. – il tribunale avrebbe dovuto annullare il decreto di sequestro
preventivo per equivalente, stante l’inapplicabilità del medesimo al fatto
contestato alla ricorrente, in quanto consumatosi in data antecedente al 14
dicembre 2007.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art.
606, lett. B), c.p.p., con riferimento all’art. 648 bis c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale del
riesame avrebbe ritenuto erroneamente applicabile l’art. 648 bis c.p., ossia
assumendo come sussistente il delitto di riciclaggio; diversamente, si sostiene in
ricorso, il fumus commissi delicti sarebbe insussistente in quanto – oltre a
quanto già esposto nel primo motivo, in cui si sostiene che il delitto di riciclaggio
si sarebbe consumato alla data dell’acquisto dell’immobile e non alla data del suo
conferimento in trust -, la condotta posta in essere dalla ricorrente non sarebbe
stata inquadrabile nella fattispecie penale ipotizzata né con riferimento alla
condotta di acquisto (essendo stato acquistato l’immobile con assegni circolari
tratti con addebito sul c/c personale del padre dell’indagata) né con riferimento
alla condotta di conferimento in trust (essendo stato realizzato il conferimento
dell’immobile con atto pubblico notarile); in secondo luogo, poi, si evidenzia in
ricorso come non vi sarebbe in atti alcuna prova che la ricorrente, alla data di
acquisto dell’immobile di cui si discute (2007), fosse a conoscenza della
provenienza illecita del denaro impiegato, non essendo corretta l’affermazione
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dell’indagata, come invece erroneamente sostenuto dal tribunale del riesame,

del tribunale secondo cui questi era certamente a conoscenza delle verifiche
ispettive e degli accertamenti fiscali cui l’impresa del padre era stata sottoposta
negli anni, dal 26 marzo 2007 al 18 marzo 2010; sul punto, in particolare, la
ricorrente rileva come i primi atti portati a conoscenza del padre (e, quindi, della
ricorrente medesima) riguardanti la verifica dell’Agenzia delle Entrate sarebbero
rappresentati dalla notifica degli inviti a comparire in data 3 luglio 2009 nonché

notificati il 28 novembre 2009; peraltro, si aggiunge, l’unico avviso di
accertamento notificato in data antecedente (agli acquisti sospetti) al padre della
ricorrente, ossia in data 20 dicembre 2006, riguarderebbe il periodo di imposta
2003 e sarebbe relativo al mancato riconoscimento da parte della P.A. dell’aiuto
di Stato richiesto dalla Immobiliare Alessandra s.a.s. (di cui il padre della
ricorrente era socio per una quota dell’82%) per investimenti effettuati dalla
predetta società nel 2003 nel comune di Bagheria; infine, si conclude in ricorso,
sarebbe stato sufficiente il semplice esame degli estratti del c/c e del conto titoli
del padre della ricorrente (prodotti davanti al tribunale del riesame) per
verificare come questi avesse disponibilità liquide ben superiori al doppio delle
somme investite per l’acquisto dei predetti immobili avvenuto a mezzo di assegni
circolari tratti con addebito sul c/c personale, al fine di escludere il fumus del
delitto di riciclaggio.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art.
606, lett. B), c.p.p., con riferimento all’art. 648 quater c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale del
riesame, pur dando atto dell’eccepita sproporzione dei beni in sequestro rispetto
alla quantificazione del profitto, avrebbe respinto l’istanza in base all’assunto che
i beni dell’indagata su cui è stata eseguita la misura non sarebbero capienti
rispetto alla quantificazione del profitto, ossia fino a concorrenza della somma di
400.000 euro; il giudice, in altri termini, secondo l’impostazione difensiva
avrebbe commesso un errore nell’individuare in concreto le quote societarie da
sottoporre al sequestro per equivalente, in quanto si sarebbe riferito al loro
valore nominale, laddove – si sostiene in ricorso – il valore in concreto di dette
quote era sicuramente ben maggiore di quello nominale; sarebbe stato, quindi,
palesemente violato il principio della necessaria equivalenza tra valore dei beni
sequestrati ed entità del profitto ricavato dal reato, in quanto il tribunale avrebbe
dovuto determinare il valore delle quote in misura proporzionale al patrimonio
netto contabile della società, al fine di rispettare il principio di equivalenza tra
quanto sequestrato e profitto, dunque limitando il sequestro fino alla
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dagli avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta dal 2004 al 2006,

concorrenza della somma di 400.000 euro; alla stregua di quanto sopra, in
particolare, si sostiene che il patrimonio netto contabile della Immobiliare
Alessandra s.r.l. – come documentato mediante allegazione del modello unico
2009 – alla data del 31 dicembre 2008 era pari ad oltre 17 milioni di euro,
ditalchè il valore delle quote della società, a tale data, era pari quantomeno
all’entità del predetto patrimonio netto contabile, sicchè il sequestro preventivo

considerando il valore nominale eccedeva in misura rilevantissima il profitto del
reato di riciclaggio, tanto più che il sequestro riguardava anche il c/c bancario ed
il conto titoli della ricorrente, con saldo attivo pari ad C 374.061,53 oltre
l’immobile di Via Cruillas n. 33 che era stato acquistato per 400.000 euro;
secondo la ricorrente, infine, il sequestro avrebbe dovuto riguardare
esclusivamente detto immobile, in quanto provento del reato di riciclaggio, ai
sensi dell’art. 648, comma 1, c.p. e non come sequestro per equivalente, ciò in
quanto l’applicabilità del comma 2 è subordinata all’impossibilità di procedere
alla confisca prevista dal comma 1, ossia dei beni che costituiscono il prodotto od
il profitto del reato di riciclaggio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere accolto, essendo fondato il terzo motivo.

4. Seguendo l’ordine logico – strutturale dell’impugnazione di legittimità, deve
ritenersi privo di pregio il primo motivo con cui la ricorrente eccepisce
l’inapplicabilità dell’art. 648ter cod. pen. alle condotte oggetto di contestazione.
Ed infatti, osserva il Collegio come sul punto il tribunale del riesame motivi
convincentemente in quanto, a pag. 8, individua il momento consumativo del
reato all’atto della donazione dall’immobile in questione al

trust ANILA in data 20

novembre 2012 al valore dichiarato di poco più di 53 mila euro, valore del tutto
incongruo, atteso che il prezzo corrisposto per l’acquisto del medesimo immobile
al tribunale di Palermo era pari a 400 mila euro, operazione di donazione al

trust

successiva all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 231 del 20007.
Detta affermazione, osserva il Collegio, appare anche giuridicamente corretta
(v., ad es., Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 – dep. 20/03/2014, Amato e altri,
Rv. 259487, che qualifica il delitto di riciclaggio come delitto a forma libera e
attuabile anche con modalità frammentarie e progressive), non potendo certo la
donazione dall’immobile in questione al

trust ANILA in data 20 novembre 2012 in

precedenza acquistato con denaro di provenienza illecita inquadrarsi in un mero
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per equivalente riguardando le quote societarie il cui valore era determinato

”post factum” non punibile, atteso che il conferimento del bene immobile nel
trust si risolve nella dismissione attuata con atto a titolo gratuito di un bene
acquistato con denaro di provenienza illecita, in quanto provento di evasione
reddituale, ponendosi così in essere un’attività di “ripulitura” costituente quella
tipologia di illecito impiego sanzionata dall’art. 648 ter cod. pen.

la insussistenza del “fumus delicti” in relazione al reato di riciclaggio.
Ed infatti, quanto alla tracciabilità sia dell’acquisto che del successivo
conferimento nel trust il tribunale del riesame motiva correttamente, a pag. 9,
evidenziando che la tracciabilità del denaro provento del reato non si riconnette
alla pubblicità dell’atto ma all’idoneità delle operazioni a rendere difficile
l’identificazione del provento del reato. Quanto alle ulteriori censure, afferenti sia
alla conoscenza degli atti notificati al padre (che sarebbero tutti successivi alle
verifiche ispettive) sia alle doglianze secondo cui sarebbe bastato verificare il c/c
bancario ed il conto titoli del padre Aurelio per escludere la configurabilità del
reato, si tratta di censure di fatto, sottratte al sindacato di questa Corte di
legittimità ed, in ogni caso, oggetto di puntuale attenzione argomentativa da
parte dei giudici del riesame, che approfondiscono tale argomento della sicura
consapevolezza dell’esistenza di verifiche ispettive a carico della società paterna,
in particolare della trasformazione della Immobiliare Alessandra da s.a.s. a s.r.l.
(di cui la Giaccone è socia) avvenuta il 19 maggio 2010 con lo scopo, indicato
alla pag.9 dell’impugnata ordinanza, laddove infatti l’ultima visita ispettiva era
avvenuta il 18 marzo 2010, dunque in data antecedente l’operazione di
trasformazione societaria.

6. Fondato, invece, si appalesa il terzo motivo.
Ed invero, emerge dalla lettura dell’impugnato provvedimento come nel
medesimo non venga fornita alcuna giustificazione alla doglianza difensiva
secondo cui vi sarebbe stata un errore nella determinazione del valore delle
quote della società, riferendosi al valore nominale di esse anziché al capitale
sociale determinato secondo il criterio del patrimonio netto contabile. Sul punto,
in particolare, il tribunale adito, con motivazione tautologica e, quindi,
apparente, in quanto tale sindacabile ex art. 325 cod. proc. pen. (Sez. U, n.
5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv.
226710), si limita ad affermare che i beni di pertinenza della ricorrente non
sarebbero capienti rispetto alla quantificazione del profitto. Il sequestro
preventivo per equivalente riguardava infatti le quote societarie il cui valore, pur
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5. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce

determinato considerando il valore nominale, eccedeva il profitto del reato di
riciclaggio, tanto più che il sequestro riguardava anche il c/c bancario ed il conto
titoli della ricorrente, con saldo attivo pari ad € 374.061,53 oltre l’immobile di
Via Cruillas n. 33 che era stato acquistato per 400.000 euro.
Si noti, peraltro, che secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte in
tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il valore

o al profitto del reato e il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare
riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi, avendo riguardo al momento
in cui il sequestro viene disposto (Sez. 6, n. 15807 del 09/01/2014 – dep.
08/04/2014, Anemone, Rv. 259702; fattispecie, nella quale la Corte ha annullato
la decisione del Tribunale, che, in sede di appello cautelare, si era ancorato al
criterio formale del valore nominale del capitale sociale per la stima di quote
societarie e del valore catastale per l’apprezzamento degli immobili, pur avendo
la disponibilità di elementi da cui desumere una diversa e più “effettiva”
valutazione).

7. In conclusione, l’impugnata ordinanza dev’essere annullata con rinvio al
tribunale del riesame, che si atterrà a quanto illustrato nel paragrafo che
precede, colmando la lacuna motivazionale indicata in ordine alla quantificazione
del profitto sequestrabile.

P.Q.M.

La Corte annulla con rinvio l’ordinanza impugnata al tribunale di Palermo.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2014

Il Ce

igli

est.

Il Presidente

dei beni da sottoporre a vincolo deve essere adeguato e proporzionato al prezzo

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