Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34146 del 03/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34146 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
BOUDA MAATI N. IL 01/01/1973
avverso l’ordinanza n. 351/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
11/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/so4i4e le conclusioni del PG Dott. e
o

Uditi difensor Avv.; —

e_PLuo-suu-ko Cu.k

Data Udienza: 03/07/2014

Ritenuto in fatto.

1.L’ 11 novembre 2013 la Corte d’appello di Firenze, in funzione di giudice
dell’esecuzione, applicava a Bouda Maati l’indulto di cui alla 1. n. 241 del 2006
sulla pena detentiva residua da espiare (pari a un anno, nove mesi e due giorni di
reclusione) e sulla pena pecuniaria (diecimila euro), irrogate con sentenza n. 287

Bouda, se non detenuto per altra causa.
2.La Corte territoriale osservava che la predetta sentenza aveva condannato
Bouda per il delitto continuato previsto dagli artt. 81 cpv. c.p., 73 d.P.R. n. 309 del
1990, commesso in Prato, Milano e zone limitrofe dal febbraio 2005 al 2007 e,
inoltre, dal marzo 2008 al febbraio 2009 (capo 4 della rubrica), nonché per il delitto
di detenzione e spaccio continuato di sostanze stupefacenti, commesso in Prato,
Milano e zone limitrofe dal febbraio 2005 al 2007 (artt. 81 cpv c.p., 73 d.P.R. n.
309 del 1990: capo 6 della rubrica).
Sulla base di questa premessa in fatto, argomentava che, trattandosi di violazione
della medesima disposizione di legge, tutte di pari gravità, e in assenza di concreti
parametri di individuazione, da parte del giudice della cognizione, della violazione
più grave, la pena base fissata in sentenza dal giudice d’appello doveva essere
riferita alla prima delle violazioni di legge accertate in applicazione del principio
del favor rei.
Pertanto, ai fini dell’applicazione dell’indulto, doveva aversi riguardo
esclusivamente all’epoca di consumazione della prima delle violazioni ex art. 73
d.P.R. n. 309 del 1990, così come accertato nel giudizio di cognizione. Il primo dei
reati previsti dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 risultava commesso in epoca
antecedente al 2 maggio 2006, così come del resto indicato nel capo d’imputazione.
Di conseguenza Bouda poteva beneficiare dell’indulto previsto dalla 1. n. 241 del
2006 sull’intera pena residua, pari a un anno, nove mesi e due giorni di arresto,
rispetto a quella originariamente irrogata (due anni, otto mesi di reclusione, la cui
espiazione era iniziata il 13 gennaio 2013)..
3.Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze, il quale
lamenta violazione ed erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
1

del 27 gennaio 2012, e, per l’effetto, disponeva l’immediata scarcerazione di

Il criterio della determinazione del reato più grave in base alla pena per esso
astrattamente prevista assume rilievo, quando la continuazione sia ravvisata tra reati
diversi per i quali siano contemplate pene diverse, mentre non trova applicazione,
qualora i reati in continuazione costituiscano violazione della medesima norma
penale. In quest’ultima ipotesi, si deve tenere conto della condotta in concreto più
grave alla stregua dei parametri fissati dall’art. 133 c.p.

incriminatrice, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto o individuare la condotta
in concreto più grave (quella, successiva all’entrata in vigore della I. n. 241 del
2006, avente ad oggetto il più rilevante quantitativo di droga ed espressione di un
più articolato disegno criminoso) alla luce della sua carica di offensività oppure, in
assenza della relativa precisazione da parte del giudice della cognizione, procedere
egli stesso alla determinazione della pena base per il reato più grave.

Osserva in diritto.

Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
1.In termini strutturali il reato continuato rappresenta un particolare figura di

concorso materiale di reati, unificati dal “medesimo disegno criminoso” che sta alla
base della loro commissione. L’art. 81, comma secondo, c.p., stabilisce per il reato
continuato il cumulo giuridico delle pene in deroga al regime del cumulo materiale
previsto per il concorso materiale di reati. Il soggetto agente che, con più azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette più violazioni soggiace al
trattamento sanzionatorio previsto per tale ipotesi di concorso di reati, ossia alla
pena prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.
Secondo un’autorevole dottrina e la prevalente giurisprudenza, la ratio di questo
più mite trattamento sanzionatorio risiede proprio nella minore riprovevolezza
complessiva dell’agente – che cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando
concepisce il disegno criminoso – e nella necessità di mitigare l’effetto del cumulo
delle pene, al quale viene sostituito un cumulo giuridico.
Questa funzione dell’istituto è stata resa ancor più evidente dalla novella dell’art.
81 cod. pen. ad opera del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla legge 7 giugno
1974, n. 220, che, nel consentire l’applicazione della continuazione anche in
presenza di violazioni di norme incriminatrici sanzionate con pene eterogenee, si
2

Nel caso in esame, in presenza di reati previsti tutti dalla medesima disposizione

colloca in una linea di tendenza contraria all’automatismo repressivo, propria del
sistema del cumulo materiale, e favorevole, invece, ad un’accentuazione del
carattere personale della responsabilità penale, con un’esaltazione del ruolo e del
senso di responsabilità del giudice nell’adeguamento della pena alla personalità del
reo (Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981; cfr. anche Corte Cost., sent. n. 254 del 1985;
sent. n. 312 del 1988).

Costituzionale (sentt. nn. 115 del 1987, 361 del 1994, 324 del 2008), della
complessa elaborazione giurisprudenziale che ha avuto significativi approdi in
decisioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008; Sez. U, n. 1 del
26/02/1997; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni; Sez. U, n. 14 del
30/06/1994; Sez. U, n. 18 del 16/11/1989), è possibile ritenere ormai superata la
concezione unitaria del reato continuato in favore dell’autonomia giuridica delle
singole violazioni che confluiscono nel reato continuato, tranne che per gli effetti
espressamente previsti dalla legge.
I reati legati dal vincolo della continuazione devono, quindi, considerarsi come
una vera e propria pluralità di reati autonomi e diversi in funzione del carattere più
o meno favorevole degli effetti che ne discendono. In tal modo è possibile
garantire, conformemente alla natura dell’istituto, quel trattamento privilegiato che
è imposto dalla sua minore riprovevolezza complessiva. La concezione unitaria del
reato continuato opera, quindi, soltanto per gli effetti espressamente presi in
considerazione dalla legge e sempre che garantisca un risultato favorevole al reo.
2.Ciò posto, il provvedimento impugnato si fonda su un’erronea interpretazione
della legge penale, laddove, pur riconoscendo l’autonomia delle singole violazioni
ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, afferma che si tratta di reati di pari gravità e che,
in applicazione del principio del favor rei, ai fini dell’applicazione dell’indulto deve
aversi riguardo all’epoca di consumazione del primo reato, sicuramente antecedente
alla 1. n. 241 del 2006.
2.1.E’ indubbio che, ai fini della determinazione della pena ai sensi dell’art. 81
c.p., deve aversi riguardo alla violazione considerata più grave in astratto e non in
concreto (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993; Sez. U, n.
4901 del 27/03/1992), sicché, allorché occorra individuare il reato più grave, deve
farsi riferimento alla pena edittale, ovvero alla gravità “astratta” dei reati per i quali
è intervenuta condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena prevista dalla legge per
3

Tenuto conto dell’evoluzione normativa, dei ripetuti interventi della Corte

ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di determinazione
della pena di cui all’art. 133 c.p. che possono contribuire alla determinazione di
quella da infliggere in concreto (cfr. Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992 che, per prima,
ha rivisto l’orientamento espresso da Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, che proprio a
tali indici aveva fatto riferimento).
Ciò posto, però, occorre considerare che la nozione di “violazione più grave” ha

astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione delle sue
concrete modalità di manifestazione. Nel sistema del codice penale, infatti, per
sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto con riferimento al
reato contestato e ritenuto (in concreto) in sentenza, tenendo conto, cioè, delle
singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, salvo che specifiche e
tassative disposizioni escludano, a determinati effetti, la rilevanza delle circostanze
o di talune di esse. Di conseguenza, una volta che sia stata riconosciuta la
sussistenza delle circostanze attenuanti e che sia stato effettuato il doveroso
giudizio di bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l’individuazione in
astratto della pena edittale non può prescindere dal risultato finale di tale giudizio,
dovendosi calcolare nel minimo l’effetto di riduzione per le attenuanti e nel
massimo l’aumento per le circostanze aggravanti (Sez. U., n. 25939 del
28/02/2013; Sez. U., n. 3286 del 27/11/2008; Sez. 1, n. 24838 del 15/06/2010; Sez.
1, n. 9828 del 05/02/2009; Sez. 4, n. 47144 del 09/10/2007; Sez. 6, n. 1318 del
12/12/2002, dep. 14/01/2003; Sez. 2, n. 3307 del 20/01/1992).
Tale lettura è rispettosa dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale che,
avallando l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n.
5656 del 26/05/1984), ha affermato che pena legale non è solo quella prevista dalla
singola norma incriminatrice, ma quella che risulta dall’applicazione delle varie
disposizioni che incidono sul trattamento sanzionatorio e che, quindi, la pena unica
progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art. 81 c.p., è anch’essa pena
legale, perché prevista dalla legge (Corte Cost., sent. n. 312 del 1988).
2.2.Anche se essa deve essere il risultato di una operazione unitaria, occorre
tuttavia che sia individuabile la pena stabilita dal giudice in aumento per ciascun
reato-satellite (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995), e ciò sia per la verifica
dell’osservanza del limite di cui al terzo comma dell’art. 81 c.p. sia perché a taluni
effetti il cumulo giuridico si scioglie: basti pensare alla prescrizione che va
4

una valenza “complessa”, che muovendo dalla sanzione edittale comminata in

considerata distintamente per ciascun reato (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996; Sez.
U, n. 10928 del 10/10/1981); all’indulto, in cui occorre applicare il beneficio a quei
reati che in esso rientrano (Sez. U, n. 18 del 16/11/1989); all’estinzione di misure
cautelari personali, quando la suddivisione della pena irrogata per i reati-satellite
rilevi per il calcolo della durata massima della custodia cautelare o per
l’accertamento dell’avvenuta espiazione di pena (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997); alla

1981) in cui la pena del reato continuato si scompone per determinare la porzione di
pena suscettibile di sostituzione per quei reati che la ammettono.
2.3.In applicazione di tali principi e in assenza della specificazione, da parte del

giudice della cognizione, del reato più grave su cui apportare gli altri aumenti di
pena, al giudice dell’esecuzione spettava il potere-dovere di interpretare il giudicato
e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile
tutti gli elementi fattuali, pur se non chiaramente espressi, necessari per
l’individuazione, in sede esecutiva, del reato più grave al fine di verificarne l’epoca
di consumazione, a sua volta funzionale a stabilire la sussistenza o meno delle
condizioni applicative dell’indulto previsto dalla 1. n. 241 del 2006.
3.Per tutte queste ragioni s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il
rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di
Firenze.
Così deciso, in Roma, il 3 luglio 2014.

sostituzione delle pene detentive brevi (art. 53, ultimo comma, legge n. 689 del

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