Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34139 del 03/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34139 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANTONUCCI GIULIANO N. IL 09/10/1960
avverso l’ordinanza n. 5305/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 07/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/s~e le conclusioni del PG Dott. E i

ce°

Uditi difensor Avv.; —

Data Udienza: 03/07/2014

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Ritenuto in fatto.

1.Con ordinanza in data 7 novembre 2013 il Tribunale di sorveglianza di Roma
rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena per motivi di salute
avanzate da Giuliano Antonucci, sottolineando l’adeguatezza delle terapie praticate
in carcere, la natura positiva della risposta alle stesse, l’assenza di qualsiasi

2.Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
personalmente Antonucci il quale lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione alla luce delle consulenze tecniche di parte e della
documentazione prodotta dalla difesa, attestante il peggioramento delle condizioni
di salute del detenuto e la loro incompatibilità con l’ambiente penitenziario.
Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Ai fini della concessione del differimento obbligatorio o facoltativo

dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi degli artt. 146, comma
primo n. 3, 147 n. 2 c.p, e 47 ter, commi I lett. c) e 1 ter, 1. 26 luglio 1975 n. 354,
occorre avere riguardo a tre principi costituzionali: il principio di uguaglianza di
tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello
secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale
dell’individuo.
Ne consegue che: a) le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei
confronti di coloro che le hanno riportate; b) l’esecuzione della pena non è preclusa
da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento
per effetto del ritorno in libertà; c) uno stato morboso del condannato in tanto
legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam
ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non
praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri
luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni,
l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità.

1

rivisitazione critica del lungo, pesante ed allarmante trascorso deviante.

La malattia da cui è affetto il condannato deve essere grave, cioè tale da porre in
pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da
esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione.
Ai fini del differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica, il grave
stato di salute va inteso come patologia implicante un serio pericolo per la vita o la
probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con

intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di
cura ai sensi dell’art. 111. 26 luglio 1975 n. 354.
2. La detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla
detenzione, ha come finalità il reinserimento sociale del condannato, mentre il
differimento della pena previsto dagli artt. 146 e 147, comma 1 n. 2 c.p. mira
soltanto ad evitare che l’esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla
salute e del senso di umanità. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta di
rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare
se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità
rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale
conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto
della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve
scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le
eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativb
in conseguenza dell’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione
sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal
codice penale. Se, invece, le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non
presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta, e
richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali indicati dall’art. 47 ter, comma
primo lett. c) ord. pen., può essere disposta la detenzione domiciliare ai sensi della
citata disposizione (Cass., Sez. I, 19 ottobre 1999, n. 5715; Sez. I, 26 settembre
2007, n. 37337; Sez. I, 24 giugno 2008, n. 27313).
3. Alla stregua di questi principi, nel caso in esame la ordinanza impugnata è,
all’evidenza, esente dai vizi denunziati, in quanto con motivazione puntuale,
argomentata ed esauriente, fondata su un complesso di elementi di fatto, in quanto
tali insindacabili in sede di legittimità, tra loro logicamente correlati e fondati sugli
accertamenti clinici e sanitari svolti ha evidenziato la compatibilità dello stato
2

cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione

detentivo con le condizioni di salute Antonucci Giuliano, ha illustrato le ragioni per
le quali le patologie da cui è affetto il ricorrente possono essere adeguatamente
curate in costanza di regime detentivo carcerario, ha, infine, sottolineato la gravità
dei reati (rapina aggravata, sequestro di persona, violazione alla disciplina in
materia di stupefacenti) per i quali il ricorrente ha riportato condanne e l’esito
negativo della pregressa concessione di misure alternative.

misure alternative alla detenzione, evocando uno stato morboso asseritamente
incompatibile con la restrizione in carcere, qualora tenga, come nel caso in esame,
un comportamento ostruzionistico, fondato sul rifiuto delle cure e dell’assistenza a
lui praticate in ambiente penitenziario (cfr. Cedu, Martinelli c/Italia n. 6862/01 del
24 gennaio 2006).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a
escludere la colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186
del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso, in Roma, il 3 luglio 2014.

Occorre, infine, sottolineare che il detenuto non può invocare la concessione di

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