Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34119 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34119 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SIL VERI ROBERTO N. IL 07/07/1956
avverso la sentenza n. 1609/2008 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 16/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
Giao,
che ha concluso per ut i,tys-s.,

Udito, per la parte civile, l’Avv, ft.okki.
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Data Udienza: 24/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di L’Aquila ha
parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di L’Aquila con la quale, per
quel che qui interessa, Silveri Roberto è stato giudicato responsabile delle lesioni
patite dal piccolo Antonio Marottoli, investito da un cancello installato dal Silveri,
dichiarando non doversi procedere nei confronti del medesimo per essere il reato
estinto per prescrizione e determinando nel 15% il concorso di colpa dei genitori
della vittima; quindi confermando nel resto la pronuncia di primo grado.

stata svolta dalla Corte di Appello nei seguenti termini. Il 20 ottobre 2001,
presso il ristorante ‘Il Granaio’, il minore Antonio Marottoli venne colpito da un
cancello ivi installato, fuoriuscito dalla sede perché il perno di fine corsa del
medesimo era stato spinto verso il basso dall’urto con la struttura superiore, a
causa delle sollecitazioni ricevute da quattro o cinque bambini che lo stavano
spingendo ripetutamente; sicchè il cancello aveva proseguito la propria corsa
sino a fuoriuscire e ruotare, abbattendosi sul minore, che aveva riportato lesioni
personali.
Ad avviso della Corte di Appello il Silveri era incorso in colpa per aver
installato il cancello, basculante su una rotaia a sbalzo sul sottostante cordolo in
calcestruzzo, inidonea ad assicurarne la stabilità ove la stessa fosse stata piegata
da una esagerata sollecitazione del manufatto. Tale condotta era stata causa
determinante dell’evento illecito, non avendo il comportamento dei bambini
natura di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionarlo.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Ernesto Venta.
3.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale in relazione al profilo
di colpa attribuito all’imputato. La Corte di Appello ha ritenuto che il Silveri
versasse in colpa per aver installato il cancello lasciando la rotaia di scorrimento
più lunga del cordolo in cemento alla quale era ancorata. Ma da quanto riferito
dal perito ing. Giovanni Proietti emerge che il cancello era stato realizzato in
modo che applicandovi le ordinarie intensità di forza utilizzate per il suo
funzionamento, esso non sarebbe deragliato, sicchè il cancello era stato costruito
in modo corretto; tanto è vero che la sua fuoriuscita dalla rotaia fu dovuta al
prolungarsi delle abnormi sollecitazioni impressevi dal gioco dei bambini. Ed il
perito ha affermato che la scelta di lasciare la rotaia a sbalzo era corretta per un
uso normale del cancello.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio
motivazionale per non aver riconosciuto nella condotta dei bambini una causa

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2. La ricostruzione dell’accaduto donde scaturisce l’odierno procedimento è

da sola sufficiente a cagionare l’evento. Secondo quanto riferito dal consulente
della difesa dr. Amicarella il cancello era in grado di sopportare forze sino a cento
volte superiori a quella necessaria a manovrarlo; fu quindi la ripetizione a
piegare il perno e la rotaia. Si è pertanto concretata una condotta abnorme,
idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta del Silveri e l’evento.
3.3. Con un terzo motivo si lamenta vizio motivazionale in relazione alla
valenza impeditiva del comportamento alternativo lecito. Si assume che
contraddittoriamente la Corte di Appello ha dapprima affermato che il perito

del massetto in calcestruzzo, esso avrebbe comunque ceduto per le
sollecitazioni, solo assicurando una più lunga resistenza. Quindi il Collegio
distrettuale ha posto a carico dell’imputato l’aver lasciato la rotaia a sbalzo di
pochi centimetri.
3.4. Infine, ci si duole della determinazione della percentuale di concorso di
colpa dei genitori del minore nella esigua misura del 15%.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato.
4.1. Senza alcuna pretesa di esaurire il tema e neppure solo di abbozzarlo,
ma al solo scopo di rendere il più intellegibile possibile la presente decisione, si
può ricordare che l’operazione di identificazione della colpa, nel profilo relativo al
carattere trasgressivo della condotta di una o più norme cautelari, può condurre
al rinvenimento di una disposizione di legge, di regolamento, ad un ordine, ad
una disciplina (secondo l’elencazione dell’art. 42 c.p.) oppure ad una regola
cautelare non scritta, che viene rinvenuta dal giudice sulla scorta dei parametri
della prevedibilità e della evitabilità dell’evento pregiudizievole. Nel campo della
colpa generica, che di ciò si tratta, il punto di avvio del procedimento intellettivo
è il principio del “neminem laedere”, che sovraordinato ad ogni attività umana,
conduce ad interrogarsi in ordine alle regole di condotta che, tenuto conto della
specifica attività o situazione di cui trattasi, possono valere ad eliminare o ridurre
nella misura massima possibile il pericolo per i terzi in esse insito (Sez. 4, n.
15229 del 14/02/2008 – dep. 11/04/2008, P.G. in proc. Fiorinelli, Rv. 239600). Il
quesito trova risposta alla luce dei menzionati parametri: l’identificazione del
pericolo (che quindi è prevedibile ed) evitabile permette di risalire alle regole
prudenziali che valgono a depotenziarlo. I critici della colpa generica enfatizzano
il grado di indeterminatezza della quale essa è caratterizzata. Ed in effetti non
c’è dubbio che la colpa specifica assicuri un ben maggior tasso di determinatezza
al giudizio di responsabilità. Ciò non di meno appare inimmaginabile che vengano
positivizzate tutte le regole prudenziali astrattamente convergenti verso una
determinata attività pericolosa; troppo evidenti le ragioni di ciò per dover essere

aveva riferito che quand’anche il perno di fine corsa fosse stato posto alla fine

ricordate in questa sede. Ma all’atteggiamento di sospetto verso la colpa
generica va riconosciuto il merito di segnalare il pericolo che il processo di
identificazione della regola violata risulti troppo simile ad un processo creativo,
laddove esso non può che essere ricognitivo, pena la violazione dei principi di
legalità e di colpevolezza. Per non incorrere in simili violazioni è necessario
evitare di muovere a ritroso dalla situazione così come si è verificata chiedendosi
cosa avrebbe impedito il suo dipanarsi. In tal modo, insegna attenta dottrina,
quella che risulterebbe individuata sarebbe la regola cautelare dell’evento

prevenire eventi del genere di quello effettivamente occorso.
Il percorso deve piuttosto muovere dalla stilizzazione dell’evento, che va
colto nei suoi tratti caratterizzanti, per poi procedere formulando l’interrogativo
se tale evento era prevedibile ex ante, alla luce delle conoscenze tecnicoscientifiche e delle massime di esperienza (da intendersi come generalizzazioni
empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma
autonome da quello, tratte con procedimento induttivo dall’esperienza comune,
conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spaziotemporale in cui matura la decisione, cfr. Sez. 6, n. 1775 del 09/10/2012 – dep.
15/01/2013, Ruoppolo, Rv. 254196).
Calando tali premesse nell’ambito del giudizio di legittimità, ne risulta che la
verifica della motivazione impugnata va operata non solo in relazione alla
conduzione da parte del giudice di merito di un’indagine che assume quale
proprio referente teorico la prevedibilità ex ante (e l’evitabilità), ma altresì a
riguardo della coerenza del procedimento logico-giuridico seguito con il principio
di diritto assunto, anche in relazione alla esplicitazione delle conoscenze tecnicoscientifiche e delle massime di esperienza individuate e poste a base di quel
giudizio di prevedibilità. Come puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità, il
controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di
merito, sotto il profilo della manifesta illogicità, non può estendersi al sindacato
sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella
ricostruzione del fatto, purché la valutazione delle risultanze processuali sia stata
compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei canoni logici
che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una
spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue
che la doglianza di illogicità può essere proposta quando il ragionamento non si
fondi realmente su una massima di esperienza – cioè su un giudizio ipotetico a
contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute
esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi – e valorizzi piuttosto
una congettura, cioè una ipotesi non fondata sullo “id quod plerumque accidit”,

singolare e non una regola astratta, preesistente all’evento ed idonea a

insuscettibile di verifica empirica, od anche una pretesa regola generale che
risulti priva, però, di qualunque e pur minima plausibilità” (Sez. 6, n. 16532 del
13/02/2007 – dep. 24/04/2007, Cassandra, Rv. 237145).
4.2. Orbene, va rilevato in primo luogo che l’affermazione operata dalla
Corte di Appello, per la quale in capo al Silveri vi era “l’obbligo generico di
realizzare l’opera in modo tale che non costituisse una fonte di pericolo”, non è
risolutiva. L’accertamento processuale ha dimostrato che le modalità di
installazione del cancello erano state tali da garantirne l’uso ordinario in assenza

deformazione del tratto terminale della rotaia era avvenuta perché il cancello era
stato spinto ripetutamente sino al violento impatto con il perno di fine corsa,
venendo così realizzata una “esagerata sollecitazione della struttura” da parte
dei bambini intenti al loro gioco, descritto dalla Corte territoriale nel modo che
segue: “… spingere il cancello, sul quale due di loro erano precedentemente saliti
… il manufatto era spinto dalla forza di due o tre bambini e … il suo peso era
maggiorato dalla presenza, sulla struttura, di altri due”.
La Corte di Appello, quindi, avrebbe dovuto verificare l’esistenza di una
regola cautelare facente capo all’installatore che gli prescrivesse il
comportamento identificato come doveroso (non installare il cancello su una
rotaia a sbalzo) sul presupposto della prevedibilità non di un uso ‘soltanto’
anomalo – ovvero secondo la funzione della cosa ma con modalità devianti da
quelle ordinarie – bensì di un uso abnorme – ovvero dando alla cosa una
funzione che non le era propria. E ciò in quanto quella regola – ove esistente avrebbe dovuto prescrivere di realizzare l’opera in modo da non costituire fonte
dei prevedibili pericoli.
Ciò è mancato, perché la Corte di Appello ha ritenuto sufficiente evocare
“l’obbligo generico di realizzare l’opera in modo tale che non costituisse una
fonte di pericolo”. Ma una simile affermazione elude il tema posto dalla assenza
di norme specifiche disciplinanti all’epoca della messa in opera il comportamento
dell’installatore; tema che era quello di verificare l’esistenza di una norma sociale
che prendesse in considerazione l’uso abnorme del cancello prescrivendo
all’installatore di farvi fronte con funzionale messa in opera.
4.3. Tanto determinerebbe l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata, dovendo essere rimesso al giudice del merito l’accertamento
dell’esistenza di una simile norma.
Ma questa Corte deve pervenire, all’inverso, all’annullamento senza rinvio
del provvedimento impugnato, risultando sotto altro profilo l’insussistenza del
fatto ascritto al Silveri.

di pericolo per gli utilizzatori e per quanti si trovassero nelle vicinanze. E che la

Nel settore della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, nel quale
la giurisprudenza di legittimità è decisamente rigorosa nel definire il concetto di
abnormità, riferito al comportamento della vittima e proiettato sulla verifica del
nesso di causalità tra la condotta ascritta all’imputato e l’evento illecito
verificatosi, si afferma che il comportamento imprudente del dipendente, per
quanto rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, è abnorme – e quindi
sottrae il garante al rimprovero penale – se sia consistito in qualcosa di
radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili,

10/11/2009 – dep. 23/02/2010, Iglina e altri, Rv. 246695).
Ancor più di recente si è affermato che il costruttore risponde per gli eventi
dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo
dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza e sempre che l’utilizzatore non ne
abbia fatto un uso improprio, tale da poter essere considerato causa
sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento (Sez. 4, n. 39157 del
18/01/2013 – dep. 23/09/2013, Burkhart, Rv. 256390).
Sicché l’uso improprio – che qui, mantenendo la terminologia sopra
esplicata, dovrebbe dirsi uso abnorme – è suscettibile di essere rilevante, nel
senso di escludere il nesso causale. Lo è tanto più oltre il perimetro della tutela
della sicurezza e della salute dei lavoratori, in specie quando non ricorrano
posizione di protezione della persona offesa del reato, poiché le posizioni di
controllo finiscono per delimitare anche l’area degli avvenimenti ‘imprevedibili o
eccezionali’ o, accedendo ad altra opzione ricostruttiva, il novero dei accadimenti
la cui verificazione deve essere interdetta dal titolare dell’area di rischio che
viene in considerazione.
In effetti, nel caso in esame risulta sufficientemente palese il
fraintendimento al quale può talvolta condurre il criterio della imprevedibilità
quale fattore di identificazione della causa da sola sufficiente a produrre l’evento,
secondo la nota previsione dell’art. 41, co. 2 cod. pen. Non può escludersi,
infatti, che sia prevedibile che dei bambini giochino con un cancello secondo
modalità che nulla hanno a che vedere con la funzione del manufatto; già è
possibile dubitare che risulti prevedibile che tale gioco, perché compiuto da
bambini, possa produrre quelle esagerate sollecitazioni della struttura accertate
dalla Corte di Appello nel caso di specie. Ma quel che conta è che non può
ritenersi compresa nell’area di rischio governata dall’installatore l’evento che si
determina per un uso abnorme (nel senso sopra esplicato) del manufatto.
Ne consegue che la Corte di Appello ha erroneamente applicato l’art. 41, co.
2 cod. pen., facendo proprio un concetto di abnormità non conforme ai principi
appena ricordati.

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imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7267 del

Giungendo, per questa via, a ritenere sussistente il nesso causale tra la
condotta del Silveri e l’evento prodottosi, che all’inverso le modalità d’uso del
manufatto, del tutto abnormi, hanno reciso.
Di qui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

5. I restanti motivi rimangono assorbiti.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto ascritto non sussiste.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24/4/2014.

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