Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34118 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34118 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FLORIS TOMMASO N. IL 13/01/1972
avverso la sentenza n. 6546/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 30/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Data Udienza: 24/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bologna ha confermato la condanna pronunciata dal
Tribunale di Rimini nei confronti di Floris Tommaso, giudicato colpevole di tre
furti di beni tenuti in alcune autovetture, aggravati dalla violenza sulle cose e
dall’esser tali cose esposte alla pubblica fede.

2.1. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Ninfa Renzini, che con un primo motivo deduce

ritenuta l’aggravante in parola nonostante le cose sottratte non costituissero
parti essenziali, pertinenze o normali dotazioni delle autovetture, trattandosi di
cose occasionalmente riposte in esse e facilmente trasportabili (telefoni cellulari,
computer, chiavi).
2.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 133, 99, co. 4
e 62bis cod. pen., per essersi la Corte di Appello discostata dal minimo edittale
senza motivare sul punto e per aver ritenuto l’aggravante della recidiva e negate
le attenuanti generiche nonostante ricorressero i presupposti rispettivamente
per escluderla e per riconoscerle.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Il ricorrente evoca correttamente quella giurisprudenza di legittimità la
quale – con riferimento a veicoli posti sulla pubblica strada – delimita l’ambito di
applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625, co. 1 n. 7 cod. pen. in ragione
dell’essere l’oggetto materiale del reato normale dotazione del veicolo, non
agevolmente portabile con se dal detentore nel momento in cui si allontana (cfr.
Sez. 5, n. 12373 del 03/02/2003 – dep. 17/03/2003, PM in proc. Celletti e altro,
Rv. 224066). Ma omette di rilevare che la Corte ha posto siffatto principio in
relazione al concetto di ‘esposizione per necessità alla pubblica fede’.
Per contro, nel caso di specie la Corte di Appello ha ritenuto che, trattandosi
di cose lasciate in autovetture parcheggiate nei pressi di una discoteca verso le
ore quattro del mattino, ricorra l’esposizione per consuetudine alla pubblica fede.
Si tratta di un’affermazione che, oltre ad essere motivata in termini che rendono
la decisione immune da censure, è coerente all’interpretazione consolidata,
secondo la quale è configurabile l’aggravante della esposizione della cosa alla
pubblica fede nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di effetti personali
sottratti ai clienti di una discoteca, sussistendo, in tal caso, l’abitudine di
abbandonare temporaneamente i propri effetti personali per andare sulla pista a
ballare (Sez. 5, n. 39631 del 23/09/2010 – dep. 10/11/2010, Giusti, Rv.
248656). Va altresì ribadito che la consuetudine di cui al succitato art. 625,

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violazione di legge in relazione all’art. 625, co. 1 n. 7 cod. pen., essendo stata

comma primo, n. 7 cod. pen. designa la pratica di fatto rientrante negli usi e
nelle abitudini sociali, desunta sulla base di condotte verificate come ripetitive in
un ampio arco temporale e tali, pertanto, da essere riconducibili a notorietà (cfr.
Sez. 5, n. 8450 del 17/01/2006 – dep. 10/03/2006, P.G. in proc. Smopech, Rv.
233765).
La Corte di Appello si è attenuta alla nozione di consuetudine testè
rammentata, affermando che per il disagio o l’impossibilità di tenerli addosso
durante il ballo, si è usi lasciare in auto documenti, telefoni, borse e capi di

documenti, di un computer completo di accessori vari, di diversi telefoni cellulari,
di una chiave di riserva di un autovettura).
3.2. Quanto al secondo motivo, mette conto rilevare che, a differenza di
quanto sostenuto dall’esponente, al Floris sono state riconosciute già in primo
grado le attenuanti generiche, valutate equivalenti alle contestate aggravanti. Se
è vero che la pena base (anni uno mesi due di reclusione ed euro 450 di multa) è
stata fissata in misura non coincidente con il minimo edittale, è parimenti vero
che si tratta di pena comunque inferiore a quella mediana, di talché il giudice di
secondo grado si sarebbe potuto limitare a fare riferimento alla necessità di
adeguamento al caso concreto (Sez. 6, n. 8156 del 12/01/1996 – dep.
03/09/1996, P.M. e Moscato, Rv. 205540). Ciò nonostante, invece, la Corte di
Appello ha compiutamente motivato in ordine alle ragioni alla base del
superamento del minimo edittale, ritenendolo giustificato per la gravità dei fatti,
la capacità a delinquere e i numerosi precedenti penali del Floris, esplicitando di
aver tenuto conto anche della richiesta di esclusione della recidiva, valutata priva
di apprezzabili ragioni. Nonostante l’adeguata motivazione, la censura mossa dal
ricorrente non supera la soglia della genericità.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera i onsiglio del 24/4/2014.

abbigliamento (nella specie si è trattato di portafogli contenenti danaro e

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