Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34111 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 34111 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
INGRASSIA PIETRO N. IL 02/04/1960
avverso la sentenza n. 5879/2012 TRIBUNALE di PALERMO, del
27/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
o

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/06/2014

Rilevato in fatto
Ingrassia Pietro censura la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti emessa in data 27.6.2013 dal Tribunale di Palermo in un procedimento penale
per reati di cui all’art. 10 ter e all’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000.
Il giudice di merito, ritenendo corretta la qualificazione giuridica dei fatti
contestati, l’applicazione delle circostanze prospettate dalle parti e la pena così come
determinata, ha recepito l’accordo applicando all’imputato, con le attenuanti generiche,
la pena, ridotta per il rito, di anni uno e mesi quattro di reclusione, col beneficio della

Il ricorrente lamenta (sotto il profilo dell’art. 606 lett. e cpp) la mancanza di
motivazione in relazione all’ art. 129 cpp rilevando che il giudice di prime cure ha
omesso ogni disamina volta ad accertare la sussistenza dei presupposti di fatto e di
diritto finalizzata ad una sentenza di proscioglimento, essendosi limitato ad un mero
richiamo della norma; inoltre, sempre a dire del ricorrente, il primo giudice ha omesso
di indicare le ragioni che hanno condotto all’accertamento di responsabilità, ricorrendo
invece ad una formula stereotipata.
Il Procuratore Generale presso questa Corte chiede che il ricorso venga
dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
1. Con sentenza n. 80/2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74

(Nuova

disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma
dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai
fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta
sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non
superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38
Nel caso in esame, come si evince chiaramente dalla sentenza impugnata, tra le
violazioni contestate all’imputato vi è anche quella di omesso versamento Iva relativa
all’anno di imposta 2007 per un importo di C. 102.644,53 (art. 10 ter D. Lgs. n.
74/2000: capo D della rubrica) e pertanto, in applicazione del suddetto principio, con
riferimento a tale condotta, non può ritenersi superata la soglia di punibilità.
Consegue pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
perché il fatto non sussiste, con conseguente eliminazione della relativa pena di mesi
uno di reclusione, ai sensi dell’art. 619 cpp (l’aumento di mesi sei per la continuazione
disposto dal giudice di merito riguarda indistintamente quattro reati e va ridotto
proporzionalmente, tenendo conto altresì della riduzione della pena nella misura di un
terzo per la scelta del rito, che pure va calcolata in proporzione).
2. In ordine alle altre violazioni riguardanti l’omessa dichiarazione (art. 5 D.
Lgs. n. 74/2000) e l’omesso versamento IVA in misura superiore alla soglia di

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sospensione condizionale.

punibilità fissata dalla Corte Costituzionale, il ricorso è manifestamente infondato e
pertanto va dichiarato inammissibile.
Da tempo questa Corte, anche a sezioni unite, ha precisato come, nell’ipotesi di
impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata dalla
parte secondo lo schema procedimentale previsto dall’art. 444 c.p.p., l’esigenza di
specificità delle censure deve ritenersi addirittura “rafforzata” rispetto ad ipotesi di
diversa conclusione del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia accolto
la domanda dell’imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto

05/10/2010 Rv. 247839; Sez. un., 24.6.1998, Verga, riv. 211468).
Sempre secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, (cfr. da ultimo
cass. 17.4.2011 n. 6455), in caso di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.,
l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la
sentenza che lo recepisce sia da considerare sufficientemente motivata con una
succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione
della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 c.p.p.
per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della
congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. (Cass. 27
settembre 1994, n. 3980; più di recente, Cass. 13 luglio 2006, n. 34494).
Con particolare riferimento all’onere di verifica dell’insussistenza delle cause di
proscioglimento immediato, questa Corte ha altresì precisato che la sentenza del
giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra
una delle ipotesi proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di
controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo
della sentenza impugnata appaia invece evidente la sussistenza di una causa di non
punibilità (Cass. 10 gennaio 2007, n. 4688).
In sostanza, l’esigenza minima di motivazione della sentenza a seguito di
“patteggiamento” della pena può ritenersi adempiuta, in relazione all’assenza di cause
di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., dal semplice testuale rinvio al medesimo
articolo, il cui contenuto entra in tal modo a far parte per relationem del ragionamento
decisorio ed esprime l’avvenuta verifica, da parte del giudice, dell’inesistenza di motivi
di non punibilità, senza che occorra una ulteriore e più analitica disanima, purché dal
testo della sentenza medesima non emergano in modo positivo elementi di segno
contrario.
Nel caso in esame, la sentenza del Tribunale di Palermo, previa una succinta
descrizione dei fatti, deducibile dai capi d’imputazione contenenti precise contestazioni
di violazioni degli artt. 5 e 10 ter del D. Lgs. n. 74/2000 e previa l’affermazione della
correttezza della qualificazione giuridica di essi nonchè la applicazione delle circostanze
prospettate e la verifica della congruità della pena patteggiata ha recepito

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dalla stessa parte richiesto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010 Cc. dep.

integralmente le statuizioni concordate applicando la pena stabilita e rilevando che non
vi è spazio per un possibile proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 cpp,
avuto riguardo agli atti contenuti nel fascicolo del PM, acquisito ai sensi dell’art. 135
disp. att. cpp.
Come si vede, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, il giudice di merito
con motivazione succinta ha dato conto in maniera più che sufficiente della
insussistenza delle cause di non punibilità ex art. 129 cpp e quindi la sentenza si
sottrae certamente alla censura mossa, non emergendo da essa in modo positivo alcun

In definitiva, il ricorso tende solo a rimettere in discussione i termini
dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del patteggiamento.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo D)
della rubrica perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi uno di
reclusione. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.
Così deciso in Roma, il 26.6.2014.

elemento di segno contrario.

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