Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 341 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 341 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALLA’ NUNZIO MANUEL N. IL 20/11/1986
avverso la sentenza n. 667/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 20/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENZO IANNELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/12/2013

Letti gli atti, la ordinanza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Antonio Gialanella„ per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore,avv. Sergio Rotundo, che ne chiede l’ accoglimento.

-2- In breve la ricostruzione operata dai giudici di merito : la posizione dell’ imputato viene
collocata nel contesto operativo del clan Mancuso di Limbadi nella provincia di Vibo Valentia, di
cui viene ricostruita la storia e gli organigrammi, segnalando l’esistenza di fazioni in contrasto tra
loro, al vertice di una delle quali si collocavano Mancuso Luigi e Mancuso Cosmo,con ci quali era
schierato Mancuso Pantaleone, detto Scarpuni, cl. 1961 in contrapposizione ad altro gruppo dei
del Mancuso
Mancuso. L’ imputato avrebbe rivestito il ruolo di stretto collaboratore
Pantaleone,sorvegliato speciale, al vertice del sodalizio criminale svolgendo il ruolo di autista,
contribuendo a mantenere contatti con gli altri gruppi malavitosi, provvedendo a custodire armi,
eseguendo specifiche disposizioni impartitegli dal suo capo.
I giudici di merito richiamano una serie imponente di circostanze costitutive di conversazioni
intercettate, di sequestri di armi e munizioni, di sentenze passate in giudicato. Da un tale coacervo
di fatti si trae la esistenza di una consorteria di ndrangheta impegnata,con varie articolazioni, a
realizzare un programma criminoso finalizzato a delitti di usura, di estorsione nei confronti dei
commercianti e degli imprenditori del vibonese. In particolare dalle intercettazioni e dai servizi di
appostamento risultava che l’ imputato giorno per giorno effettuava viaggi ,finalizzati a portare e
ricevere messaggi per conto del Mancuso Pantaleone a quattro famiglie mafiose individuate nei
Pesce di Rosarno, Piromalli di Gioia Tauro, La Rosa di Tropea ed Accorinti di Briatico. In specie da
una intercettazione ambientale a bordo di una macchina n uso all’ imputato, l’ Accorinti
raccomanda all’ imputato di riferire al Mancuso di inviargli messaggi solo tramite Callà e non da
altri, ancora sempre da inequivoche conversazioni ambientali intercettate risulta che il Callà è
gestore di fatto, alle strette dipendenze del Mancuaso, di imprese commerciali di quest’ ultimo,. ma
fittiziamente intestate alla di lui moglie anche se deceduta, quale l’ impresa Buccafusca Santa, attiva
nel commercio del caffè e la Buaccafusca Francesco Federico attiva nel commercio di prodotti
ittici. I giudici di merito valorizzano una telefonata intercettata di tale Russo Giuseppe che mette al
corrente Callà, che incontrerà da lì a tra poco, dell’ incendio doloso della sua autovettura al fine di
ottenere informazioni e individuarne gli autori, così vengono ancora sottolineate, per rappresentare i
collegamenti stretti tra l’imputato e Mancuso Pantalone, le telefonate frenetiche del Callà con
sodali per dare la notizia dell’ annullamento con rinvio della Corte di Cassazione di una sentenza
della corte di appello di Catanzaro che aveva condannato il Mancuso Pantaleone ad anni 14 e mesi
10 di reclusione. Dalle dichiarazioni poi del collaboratore di giustizia Bono Daniele i giudici di
merito valorizzano la riferita fornitura di un fucile da parte del Ccallà, su direttiva del Mancuso, alla
cosca Patania finalizzata ad una imminente lotta cruenta di mafia tra consorterie contrapposte.
-3- Due le ragione di doglianza costitutive dei motivi di ricorso che richiamano rispettivamente
l’art. 606 lett. b), c) ed e) codice di rito: a) genericità della condotta contestata, risolvendosi questa
nel ruolo di autista de Mancuso Pantalone e collaboratore nella attività commerciali lecite di costui,
in relazione alla quale i giudici del riesame si sarebbero appiattiti sulle valutazioni del gip senza
prendere in esame le obiezioni mosse con la richiesta di riesame; b) la frequentazione dell’
imputato con riferimento al Mancuso Pantaleone non rivestirebbe significato indiziante di una

-1- Callà Nunzio Manuel, già ristretto in custodia cautelare in carcere in forza dell’ ordinanza
emessa il 25.3.2013 dal gip del tribunale di Catanzaro per il delitto di associazione a delinquere di
stampo mafioso ex artt. 416 bis c.p., — capi 1 dell’ imputazione – ricorre per cassazione avverso l’
ordinanza del predetto tribunale che, in sede di riesame ed in data 20.6/27.7.2013 confermava il
pregresso provvedimento restrittivo.

1ES

-4- Il ricorso non merita accoglimento perché svolge il tentativo di indurre questa Corte ad un
riesame funditus del merito, attraverso una spiegazione alternativa a quella proposta dal gip e dal
tribunale del riesame delle conversazioni ambientali intercettate. I giudici di merito hanno tratto il
convincimento, sul piano dei valori della probabilità propri della fase procedimentale de qua, del
pieno inserimento dell’ imputato nell’ organizzazione di `ndrangheta operante nella provincia di
Vibo Valentia, in base all’attività di piena collaborazione alle attività di Mancuso Pantaleone,
componente di spicco di una associazione di ndrangheta. Ora non può che costituire elemento
indiziante il fatto, non contestato, dei continui collegamenti dell’ imputato con specifici ambienti di
ndrangheta come quelli accertati in fase di indagini preliminari, e non coincidenti con gli ambienti
interessati alle attività commerciali del Mancuso. Peraltro la fornitura dell’arma nel contesto proprio
di una lotta di `ndrangheta, come riferita dal collaboratore di giustizia, tale Bono Daniele, è
attribuita chiaramente all’ imputato, indicato come Manuele un ragazzo che il Mancuso ” aveva
sempre… con lui” . Ora in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è
riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto
organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo
dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno
associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Ne
consegue che,una volta assodato,e non contestato, il ruolo di vertice del Mancuso nella consorteria
di ndrangheta, l’ assiduo coinvolgimento dell’ imputato alle attività commerciali proprie del
Mancuso, i collegamenti per conto di quest’ ultimo tenuti con ambienti di ndrangheta, l’esecuzione
di attività in equivoche quali il reperimento di una arma utilizzata per commettere un omicidio
“mafioso”, integrano gli elementi costituivi della partecipazione alla associazione nel senso di una
compenetrazione oggettiva e soggettiva alle finalità sue proprie.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso la parte
privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento,(nonché — ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità ( Corte cost. n. 186/2000; Cass. S.U. 27.6.2001, Cavalera Rv. 219532) – al
pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente
fissata in ragione dei motivi dedotti)
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19.12.2013

partecipazione consapevole alle finalità dell’associazione di ndrangheta facente capo a costui, per
tradursi in una attività neutra e di mera collaborazione alla attività commerciale lecita del predetto.

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