Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34097 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 34097 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino

nel procedimento nei confronti di

Cava Luigi, nato a Quindici (AV) il 13/03/1952

avverso la sentenza del 10/04/2013 del Giudice per le indagini preliminari presso
il Tribunale di Avellino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al GIP di Avellino per
l’ulteriore seguito;
letta la memoria difensiva dell’Avv. Maria Caprio, difensore d’ufficio dell’imputato,
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma dell’impugnata
sentenza.

Data Udienza: 27/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 aprile 2013, il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Avellino, richiesto dal Procuratore della Repubblica presso
quello stesso Tribunale di emettere decreto penale di condanna nei confronti di
Cala Luigi in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen., 256, comma 1,
lett. a), in relazione all’art. 185, lett. f), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e 674 cod.
pen., commesso in Quindici il 09/10/2012, ha assolto l’imputato dal reato di cui

contestualmente rigettato la richiesta in ordine al residuo reato di cui all’art. 674
cod. pen., per il quale ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.
1.1. All’imputato si contesta di aver effettuato

<>), dal quale si evince che per cento metri quadri
di terreno necessitano non più di 25 kg. di cenere, pari a 5 metri cubi di legna da
ardere; 8) si tratta di quantità che sono assolutamente compatibili con la
modesta attività di bruciatura posta in essere nel caso di specie, come rilevata
fotograficamente dalla polizia giudiziaria; 9) gli usi dell’agricoltura e la stessa
normativa regionali, costituiscono elementi che, in ogni caso, depongono a
favore della buona fede di chi pratica questa attività, escludendo che possa avere

2. Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Avellino eccependo, con unico motivo di ricorso, la violazione di legge,
l’erronea applicazione-interpretazione di legge penale, il travisamento della
prova.
2.1.0sserva il ricorrente che: 1) a norma dell’art. 185, comma 1, lett.

f),

d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 non è sufficiente l’esistenza di una prassi in
agricoltura, ma è necessario che si tratti di processi o metodi che non
danneggiano l’ambiente, né mettono in pericolo la salute umana; 2) nel caso di
specie, l’ARPAC, con nota informativa allegata al ricorso, aveva evidenziato che
l’attività oggetto di imputazione non rientra tra le tecniche agricole che non
danneggiano l’ambiente; 3) si tratta di rifiuti espressamente previsti dall’allegato
A alla parte IV del d.lgs. 152/2006; 4) l’attività di smaltimento mediante
incenerimento a terra è espressamente prevista dall’allegato B alla parte quarta
del d.lgs. 152/2006 (D10); 5) il giudice, dunque, non solo ha errato
nell’applicazione della norma ma ha anche travisato la prova derivante dal
certificato ARPAC, ponendo a fondamento della propria decisione la propria
personale scienza (un articolo di una rivista, peraltro nemmeno presente in atti);
6) la normativa regionale citata in sentenza disciplina la sola attività in essa
prevista ma non può incidere, nel senso di escluderlo, sul regime autorizzatorio
di necessaria competenza esclusiva dello Stato; 7) il che esclude anche la buona
fede di chi ponga in essere questa attività senza autorizzazione; 8) peraltro si
tratta di norme che non sono tra loro in rapporto di specialità (dovendosi far
riferimento alla specialità in astratto) e, quand’anche lo fossero, quella penale
sarebbe applicabile perché in rapporto di specialità unilaterale per specificazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.

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coscienza della antisocialità della propria condotta.

4.11 quadro normativo di riferimento:
4.1. A norma dell’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006, costituisce
rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l’intenzione o abbia l’obbligo di difarsi>>;
4.2. Ai sensi delle successive lettere

f) e g),

dello stesso articolo,

«detentore» del rifiuto è (anche) colui la cui attività produce rifiuti;
4.3. Secondo la definizione datane dalla lettera z), l’attività di smaltimento
del rifiuto consiste in «qualsiasi operazione diversa dal recupero, anche quando
l’operazione ha come come conseguenza secondaria il recupero di sostanze ed

esaustivo delle operazioni di smaltimento»;
4.4. L’allegato B – testé richiamato – include, tra le operazioni di
smaltimento, «l’incenerimento a terra» (D10);
4.5. Giusta la previsione di cui all’art. 214, d.lgs. 152/2006, lo smaltimento
di rifiuti, effettuato direttamente dal produttore, nel luogo di produzione dei
rifiuti stessi, non è consentito in assenza di comunicazione di inizio attività;
4.6. Ai sensi dell’art. 184, comma 2, lett. e), d.lgs. 152/2006, i rifiuti
vegetali provenienti da aree verdi sono classificati (e considerati) come rifiuti
urbani;
4.7. Ai sensi dell’art. 184, comma 3, lett. a) i rifiuti provenienti da attività
agricole e agro-industriali ai sensi dell’art. 2135 cod. civ. sono considerati rifiuti
speciali;
4.8.A norma dell’art. 185, comma 1, lett. f), d.lgs. 152/2006, non rientrano
nel campo di applicazione della parte quarta del decreto

«paglia, sfalci e

potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso
utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale
biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né
mettono in pericolo la salute umana»;
4.9. L’allegato D alla parte IV” del d.lgs. 152/2006 (Elenco dei rifiuti istituito
dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000) contempla
(punto 02.01) i

«rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura,

selvicoltura, caccia e pesca»;
4.10.A norma dell’art. 184-bis, d.lgs. 152/2006, «È un sottoprodotto e
non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza
od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è
originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui
scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; 6) è certo che
la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo
processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la
sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore
4

energia. L’allegato 8 alla parte IV del presente decreto riporta un elenco non

trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è
legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i
requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e
dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la
salute umana»;
4.11. Ai sensi del successivo art. 184-ter, «un rifiuto cessa di essere tale,
quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la
preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto
delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato

oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici
e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo
della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi
sull’ambiente o sulla salute umana»;
4.12.L’art. 6, comma 5, I. reg. Campania 7 maggio 1996, n. 11, recita:
«In altre zone la bruciatura delle ristoppie e di altri residui vegetali, salvo
quanto previsto dall’art. 25 della L.R. 10 aprile 1996, n. 8 é permesso quando la
distanza dai boschi é superiore a 50 metri purché il terreno su cui
l’abbruciamento si effettua, venga preventivamente circoscritto ed isolato con
una striscia arata della larghezza minima di metri 5. La pratica é comunque
vietata in presenza di vento»;
4.13. Il comma 6 recita: «Nei castagneti da frutto è consentita la ripulitura
del terreno dai ricci, dal fogliame, dalle felci, mediante la raccolta,
concentramento ed abbruciamento. L’abbruciamento è consentito dal 1° luglio al
30 marzo, dall’alba alle ore 10.00. Il materiale raccolto in piccoli mucchi andrà
bruciato con le opportune cautele su apposite radure predisposte nell’àmbito del
castagneto. Il Sindaco, per particolari condizioni ambientali, su proposta delle
autorità forestali competenti, può sospendere le operazioni di bruciatura nel
periodo compreso tra il 10 luglio ed il 30 settembre»;
4.14. A norma del successivo comma 7 0 , «la bruciatura delle stoppie e la
pulizia dei castagneti da frutto debbano essere preventivamente denunciati al
Sindaco ed al Comando Stazione Forestale competente»;
4.15. l’art. 47, lett. b), capo I, allegato C, I.reg. Campania cit. sanziona con
pena pecuniaria la violazione dell’art. 6, commi 6 e 7, stessa legge.

5. L’evoluzione del quadro normativo nel tempo.
5.1. L’art. 184 comma 2, lett. e), d.lgs. 152/2006, nella sua versione iniziale
includeva, tra i rifiuti urbani, «i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali
giardini, parchi e aree cimiteriali» (versione mai, sino ad oggi, modificata); il

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per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od

successivo comma 3, lett. a), includeva tra i rifiuti speciali «i rifiuti da attività
agricole e agro-industriali»;
5.2.L’art. 185, d.lgs. 152/2006, nella sua versione originaria, escludeva dal
l’ambito applicativo del decreto alcuni rifiuti agricoli (comma 1, lett.

e:

«materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività
agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione,
anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti
vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi
rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che

partenza»)

nonché i

«materiali vegetali non contaminati da inquinanti

provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in
misura superiore ai limiti stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della
parte quarta del decreto» (lett. h);
5.3. A seguito di modifiche introdotte con d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (art.
2, comma 22), il comma 1, lett. e), dell’art. 185 cit., è stato circoscritto alle sole
«materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività
agricole»; contestualmente il comma 2, per quanto di interesse, è stato così
riformulato: «Possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della
lettera p), comma 1 dell’articolo 183: materiali fecali e vegetali provenienti da
attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o
interaziendali per produrre energia o calore, o biogas; materiali litoidi o terre da
coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio
di prodotti agricoli e riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei
fondi»;
5.4. l’art. 183, lett. p), richiamato dall’art. 185, comma 2, a sua volta
modificato dal d.lgs. 4/2008 (art. 2, comma 20), così recitava: «sottoprodotto:
sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende
disfarsi ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i
seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non
direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla
fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di
produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3)
soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il
loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente
e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono
destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti
preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e

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riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di

di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla
fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato>>;
5.5. con d.l. 8 luglio 2010, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 13
agosto 2010, n. 129 (art. 1, comma 3), l’art. 185, comma 2, d.lgs. 152/2006 è
stato ulteriormente modificato nel senso che

«possono essere sottoprodotti,

nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1 dell’articolo 183 materiali
fecali e vegetali provenienti da sfaki e potature di manutenzione del
verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività
agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o

biogas>>;
5.6. Con d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205: 1) l’art. 185, d.lgs., 152/2006, è
stato definitivamente modificato nei termini sopra già riportati sub punto 4.8; 2)
la categoria dei sottoprodotti (di cui al previgente art. 183, lett.

p, d.lgs.

152/2006) è stata autonomamente disciplinata dall’art. 184-bis, d.lgs.
152/2006, di nuova introduzione; 3) è stata prevista la cessazione della qualifica
di rifiuti (i cd. end of waste) secondo la disciplina prevista dall’art. 184-ter
(trascritto, per la parte di interesse, al punto 4.11); 4) l’art. 184, comma 3, lett.
a), è stato modificato nel senso attualmente vigente (come riportato ai punti 4.6
e 4.7); 5) è stata modificata la disciplina dei sottoprodotti (prevista dal nuovo
art. 184-bis, nel testo riportato sub punto n. 4.10);
5.7. Con d.l. 10 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 febbraio 2014, n. 6, è introdotto il nuovo reato di «Combustione illecita
di rifiuti>> (art. 256-bis, d.lgs. 152/2006), secondo il quale <<1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica; 2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti; 3. La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell'ambito dell'attività di un'impresa o comunque di un'attività organizzata. Il titolare dell'impresa o il responsabile dell'attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l'autonomo profilo dell'omessa vigilanza sull'operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all'impresa o all'attività stessa; ai predetti titolari d'impresa o responsabili dell'attività si applicano altresì le sanzioni previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231; (....) 7 6. Si applicano le sanzioni di cui utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e)». 6. Le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari e delle parti. 6.1.Gli argomenti del Giudice per le indagini preliminari e del Procuratore della Repubblica ricorrente sono già stati sopra sinteticamente riportati. 6.2. Nella memoria difensiva l'imputato insiste sul fatto che «bruciare i residui agricoli equivale a produrre ceneri che, da sempre, vengono utilizzate come fertilizzanti», in accordo a pratiche agricole, da sempre invalse nel l'efficacia fertilizzante. 7. Le conclusioni della Corte di Cassazione. 7.1.Gli sfalci e le potature, come ogni altro rifiuto agricolo, costituiscono rifiuto quando il etto produttore se ne disfi; 7.2.1a loro provenienza da un'attività agricola, ancorché non svolta con le forme imprenditoriali di cui all'art. 2135 cod. civ., non incide sulla loro natura di «rifiuto», ma solo sulla loro classificazione; 7.3. i rifiuti agricoli, infatti, restano tali anche se prodotti in contesti non imprenditoriali (dovendosi intendere per imprenditore agricolo anche il piccolo coltivatore agricolo di cui all'art. 2083 cod. civ.); 7.4. ferma restando la loro natura di rifiuti, il d.lgs. 152/2006 ne ha sempre condizionato, nel tempo, l'esclusione dal proprio ambito di applicabilità al riutilizzo diretto in agricoltura; 7.5.il concetto di «utilizzo» è presente, infatti, in tutte le versioni che nel tempo ha avuto la medesima norma (art. 185. d.lgs. 152/2006); 7.6.esula dal concetto di «utilizzo», e rientra a pieno titolo nell'ambito applicativo del d.lgs. 152/2006, lo «smaltimento» definitivo del rifiuto mediante la procedura dell'incenerimento al suolo; 7.7. non rileva, a tal fine, che l'incenerimento venga effettuato direttamente dal produttore, nel luogo di produzione, trattandosi comunque di forma di autosmaltimento non consentita in assenza, quantomeno, di comunicazione di inizio attività di cui all'art. 215 d.lgs. 152/2006, e penalmente sanzionata, per i fatti commessi fino alla data di entrata in vigore del citato d.l. 136/2013, dall'art. 256, comma 1, d.lgs. 152/2006; 7.8.I'incenerimento al suolo non è nemmeno condotta che possa integrare la «cessazione della qualifica di rifiuto», presupponendo - quest'ultima - un'operazione di «recupero» del rifiuto e non di «smaltimento» (secondo la definizione datane dall'art. 183, lett. z, riportata sub punto 4.3); 7.9.I'utilizzo del rifiuto deve essere oggetto di rigoroso accertamento; 8 mondo contadino, avallate anche da numerosi studi scientifici che ne dimostrano 7.10.1a relativa prova non può essere affidata ad usi e consuetudini; 7.11. in ossequio al principio della riserva assoluta di legge in materia penale, e nel rispetto della gerarchia delle fonti (cfr. artt. 8 e 15 disp. prel. cod. civ.), gli usi e le consuetudini, se non espressamente richiamati dalla legge, non hanno alcuna efficacia scriminante, tanto meno limitativa della portata applicativa del decreto, né possono essere utilizzati per aggirare la necessaria rigorosità della prova dell'utilizzo del rifiuto nella pratica agricola; 7.12. la legge regionale Campania 7 maggio 2006, n 11, come qualunque legge regionale, non può avere efficacia modificativa/abrogativa di una norma 7.13.peraltro, il suo ambito applicativo (e la ratio della previsione di cui all'art. 6, comma 6, cit., come sopra riportato al punto 4.11) riguarda la prevenzione degli incendi boschivi, non lo smaltimento dei rifiuti; 7.14. in tale contesto, la denunzia, al Sindaco e al Comando Stazione Forestale competente, è indirizzata ad autorità del tutto diverse ed assolve a finalità del tutto eterogenee rispetto alla comunicazione di cui all'art. 215, d.lgs. 156/2002, non potendosi ritenere ad essa sostitutiva o equipollente; 7.15. in ogni caso, il richiamo a tale legge è improprio, disciplinando essa condotte, quali la bruciatura (direttamente sul terreno) delle stoppie, nonché la pulizia dei castagneti (mediante bruciatura di piccoli mucchi dei ricci, del fogliame e delle felci), del tutto diverse da quelle oggetto d'imputazione (grossi falò di potature ed altri residui vegetali non derivanti dalla pulizia di castagneti); 7.16. ciò vale ad escludere qualsiasi riflesso sull'elemento psicologico del reato (pure invocato per ritenere l'assenza di colpa per buona fede); 7.17. a seguito dell'introduzione del delitto di cui all'art. 256-bis, comma 2, d.lgs. 152/2006, la combustione non autorizzata, quale modalità di smaltimento dei rifiuti dolosamente perseguita all'esito dell'attività di raccolta, trasporto e spedizione, qualifica le corrispondenti condotte previste dagli artt. 256 e 259, d.lgs. 152/2006, facendole assurgere a fattispecie autonoma di reato, ancorché a tali fasi di gestione del rifiuto, prodromiche alla combustione, non segua la combustione stessa; 7.18.il residuo illecito amministrativo di cui all'art. 256-bis, comma 6, d.lgs. 152/2006, ha invece ad oggetto i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali di cui all'art. 184, lett. e), non dunque la paglia, gli sfalci, le potature e il materiale agricolo o forestale non pericoloso di cui all'art. 185, comma 1, lett. f); 7.19.1a condotta, però, deve avere ad oggetto rifiuti vegetali abbandonati o depositati in modo incontrollato (tale il senso del richiamo al comma 1°), non anche raccolti e trasportati dallo stesso autore della combustione, poiché, in tal 9 penale; caso, la condotta ricadrebbe nella previsione di cui al comma 2° dello stesso art. 256-bis, d.lgs. cit.; 7.20.ne consegue che la condotta di autosmaltimento mediante combustione illecita di rifiuti continua ad avere penale rilevanza. 8. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve così essere annullata. Gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Avellino per l'ulteriore corso. Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Avellino per l'ulteriore corso. Così deciso il 27/02/2014. P.Q.M.

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