Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34087 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 34087 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– GIARDINO MARIA LIBERA, n. 22/02/1940 a ARIANO IRPINO
– PANNESE ANGELO, n. 4/07/1960 a ARIANO IRPINO

avverso la sentenza del tribunale di AVELLINO in data 1/02/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. E. Delehaye, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 10/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. GIARDINO MARIA LIBERA e PANNESE ANGELO hanno proposto ricorso, a
mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza del tribunale di
AVELLINO, emessa in data 1/02/2013, depositata in data 1/03/2013, con cui gli
stessi venivano dichiarati colpevoli di una serie di violazioni alla normativa

152/2006 (per aver scaricato acque reflue industriali sul suolo, in assenza di
autorizzazione); b) del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 256, comma 1, d. Igs. n.
152/2006 (per aver effettuato attività di recupero/smaltimento di rifiuti speciali
costituiti da imballai di carta e cartone, imballaggi in ferro e fanghi di
sedimentazione di acque reflue industriali derivanti da attività di taglio dei
materiali lapidei, in assenza di autorizzazione, comunicazione ed iscrizione); c)
del reato di cui agli artt. 110 c.p., 256, comma 2, in relazione all’art. 192,
comma 2, d. Igs. n. 152/2006 (per aver depositato in modo incontrollato sul
suolo rifiuti speciali costituiti principalmente da imballaggi in plastica e materiale
ferroso visibilmente arrugginito); d) del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 279,
comma 1, d. Igs. n. 152/2006 (per avere installato ed esercitato uno
stabilimento per l’attività di lavorazione della pietra in genere, pavimenti in
marmo, ceramica, cotto ed altri materiali per l’edilizia, in assenza della prescritta
autorizzazione alle emissioni in atmosfera).
Fatti tutti accertati in data 21 dicembre 2010.

2. Con il ricorso, proposto dal difensore – procuratore speciale dei ricorrenti,
vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari
per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p., in
relazione alla ritenuta responsabilità del ricorrente Pannese per tutti i reati
ascritti.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto il ricorrente
responsabile dei predetti reati in quanto gestore di fatto dell’attività, gestione
che il giudice farebbe discendere dalla circostanza di essere stato presente al
momento dell’accesso dei militari operanti e per aver assistito gli stessi durante
le successive operazioni; diversamente, si sostiene in ricorso, questi non avrebbe
alcun ruolo gestionale in seno all’attività della madre (la ricorrente Giardino),

2

ambientale, in particolare: a) del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 137 d. Igs. n.

avendo in realtà solo accettato l’incarico di custode al momento del sequestro del
capannone industriale.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p., in
relazione alla ritenuta responsabilità della ricorrente Giardino per tutti i reati
ascritti, denunciando l’erronea applicazione della legge penale
La censura investe l’impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto la ricorrente

produttivo aziendale, dettagliatamente descritto in ricorso, e relativo all’attività
svolta dalla CE. MAR s.r.l. (esercente attività di taglio e lavorazione di gres
porcellanato mediante il taglio per ottenere le diverse forme geometriche
necessarie per la messa in opera in cantiere), che escludeva – quanto ai reati
sub a), b e c) – la necessità di autorizzazioni diverse da quella relativa allo
smaltimento dei fanghi, regolarmente detenuta dalla società; quanto alla
produzione degli imballaggi in carta e cartone, era necessario il solo deposito per
la conseguente raccolta differenziata realizzata attraverso il deposito in apposito
cassone che veniva ritirato da ditta specializzata; infine, quanto al reato sub d),
l’esclusione della necessità dell’autorizzaziont discenderebbe da una relazione
che la ricorrente evidenzia essere stata allegata all’istanza di dissequestro
dell’opificio, in quanto per il tipo di lavorazione non avveniva alcuna emissione in
atmosfera di polveri od altro (il taglio del gres avveniva in vasche colme di
acqua, con la conseguente insussistente immissione di polvere nell’atmosfera).

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev’essere parzialmente accolto per le ragioni di cui si dirà oltre.

4. Ed invero, quanto al primo motivo riguardante il PANNESE, la sentenza motiva
sulla responsabilità del ricorrente individuandolo come “ge3rore di fatto”
dell’azienda, in particolare desumendo tale ruolo gestionale da due elementi: 1)
la presenza all’atto del sopralluogo dei verbalizzanti; 2) l’aver questi coadiuvato i
militari del comando tutela ambiente dell’Arma dei Carabinieri nel corso delle
operazioni. Nel ricorso, peraltro, si riconosce, quale ulteriore elemento, la
circostanza che questi ha sottoscritto il verbale di sequestro, accettando la carica
di custode, in quanto figlio della ricorrente GIARDINO.
Con il motivo vengono, all’evidenza, dedotte censure “in fatto”, in quanto le
doglianze difensive si risolvono nella manifestazione di un dissenso sul risultato
della valutazione della prova operat& dal giudice di merito, così pertanto
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responsabile dei predetti reati nonostante la particolare tipologia del ciclo

finendosi per richiedere a questa Corte di operare un sindacato sulla valutazione
discrezionale, in fatto, operatck dal tribunale, scevrot tuttavia da illogicità evidenti.
Sul punto, non va dimenticato che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo
dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del
merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto – come nella
fattispecie concreta che ci occupa – da adeguata motivazione esente da errori
logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere

contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili
quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano, salvo
il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione: a) quelle
relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti
testimoniali; b) la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni; c) l’indagine
sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali (v., ad esempio: Sez. 2,
n. 20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

4.1. Quanto, ancora, alla attribuibilità dei reati ascritti al “gestore di fatto”,
trattandosi di reati comuni, è sufficiente richiamare in questa sede quanto già
affermato da questa Corte in precedenti occasioni.
Ed infatti, è ad esempio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il reato
di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, non ha natura di
reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente una
attività di gestione di rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può
essere pertanto commesso anche da chi svolge attività di gestione dei rifiuti in
modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa
(Sez. 3, n. 29077 del 04/06/2013 – dep. 09/07/2013, Ruggeri e altro, Rv.
256737); analogamente, si è affermato che rispondono dei reati previsti in
materia di tutela penale delle acque tutti i soggetti che di fatto esercitano
funzioni di amministrazione e di gestione dell’insediamento dal quale originano i
reflui, senza che tale responsabilità assuma carattere oggettivo ed automatico,
ma a titolo di colpa, intesa in senso ampio, ovvero conseguente non soltanto a
comportamenti commissivi, ma anche per inosservanza del dovere di adottare
tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno da
inquinamento (Sez. 3, n. 20512 del 10/05/2005 – dep. 01/06/2005, Bonarrigo,
Rv. 231654).
Ne discende, pertanto, l’infondatezza del motivo proposto nell’interesse del
PANNESE, salvo, per quanto si dirà oltre, con riferimento alla violazione dell’art.
279, d. Igs. n. 152/2006.
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investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché

5. Non miglior sorte merita il ricorso proposto nell’interesse della GIARDINO.
Ed infatti, la sentenza chiarisce come le violazioni contestate fossero assistite,
quanto alla prova oggettiva e soggettiva della loro sussistenza, da elementi
assolutamente incontrovertibili.
Al pari di quanto già rilevato a proposito del primo motivo, anche per il secondo,
le deduzioni difensive si pongono al limite dell’inammissibilità, in quanto con le

stesse vengono sollevate censure “in fatto”, in quanto tali, come detto, non
sottoponibili al sindacato di questa Corte.

6.

Fondata, invece, è la doglianza, sostanzialmente comune ad entrambi i

ricorrenti, relativa all’affermazione di responsabilità di entrambi con riferimento
al reato di cui all’art. 279, d. Igs. n. 152/2006.
Ed invero, sul punto, emerge dagli atti che il GIP presso il tribunale di Avellino,
nell’accogliere l’istanza di dissequestro dell’impianto con ordinanza 15 gennaio
2011, ebbe a motivare l’accoglimento parziale precisando, quanto alla normativa
in tema di emissioni in atmosfera, essersi al cospetto di un’attività produttiva di
emissioni scarsamente significative, sottratta, in quanto tale, all’obbligo della
preventiva autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
L’impugnata sentenza, tuttavia, sul punto, contiene una motivazione apparente,
limitandosi il giudice ad affermare tautologicamente che “gli imputati
esercitavano l’attività di lavorazione della pietra, la quale comporta emissioni
atmosfera, in assenza della prescritta autorizzazione”.
Orbene, al di là dell’estrema sintesi della motivazione sul punto che non prende
in esame la possibile sussumibilità dell’attività svolta tra quelle ad inquinamento
atmosferico poco significativo ex d.P.R. n. 175/1991, difetta, in ogni caso – alla
luce del ciclo di lavorazione descritto -, la prova della concreta produzione
emissiva, questione essenziale su cui la motivazione tace.
Come, infatti, precisato in precedenza da questa Corte, l’affermazione di
responsabilità per il reato di cui all’art. 279, D.Lgs. n. 152 del 2006, per
l’emissione in atmosfera di sostanze (pericolose e non) in assenza di
autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da
parte dell’impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità produttiva
di emissioni inquinanti (Sez. 3, n. 5347 del 12/01/2011 – dep. 14/02/2011, Izzo,
Rv. 249568).

7. L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio ad altro
giudice del tribunale di Avellino, al fine di fornire adeguata motivazione in ordine
5

i,

alla concreta produzione delle emissioni da parte dell’impianto in questione,
condicio sine qua non della configurabilità dell’illecito di cui al richiamato art. 279
TUA.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui agli artt. 269 e 279,

ricorso, nel resto.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2014

Il Co igliere est.

Il Presidente

d. Igs. n. 152/2006 (capo D), e rinvia sul punto al tribunale di Avellino; rigetta il

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