Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34086 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 34086 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Giva Pietro Paolo, nato a Sassari il 17/07/1934
avverso la sentenza del 05/12/2023 della Corte di appello di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato

Data Udienza: 17/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza emessa in data 5 dicembre
2012, ha confermato la sentenza del Tribunale di Civitavecchia che aveva
condannato Pietro Paolo Giva alla pena di mesi uno di arresto, con concessione
dei doppi benefici di legge, perché responsabile del reato di cui agli artt. 54 e
1161 Cod. Nav. per aver, in qualità di amministratore del Club Nautico Punto
Tevere, occupato lo specchio d’acqua antistante il cantiere per una superficie di

concessione, fatto accertato il 26 gennaio 2006.
Nel pervenire alla conferma della sentenza di primo grado, la Corte
territoriale rilevava, in punto di responsabilità, come dall’istruttoria
dibattimentale fosse emerso che, nel corso del controllo ed alla presenza
dell’imputato, questi si qualificò amministratore del club ed esibì la copia della
domanda diretta alla Regione per l’occupazione dello specchio d’acqua antistante
il sodalizio, così in concreto dimostrando di essere quantomeno di fatto il gestore
della struttura; l’avere poi esibito la domanda per ottenere Il permesso di
occupazione significava che, in quel momento, l’occupazione fosse illegittima,
non avendo avuto alcun esito la richiesta di permesso e di ciò l’imputato ne era
ben consapevole; trattandosi poi di reato permanente, a prescindere da chi
avesse per primo realizzato l’illegale banchina, il suo accertato utilizzo, all’epoca
a servizio del club, dimostrava che anche in capo al responsabile
dell’associazione fosse configurabile la condotta di occupazione abusiva; infine,
il prevenuto, rimasto contumace, non aveva allegato alcuna documentazione
idonea a provare che nelle more fosse intervenuto un provvedimento
a utorizzativo.
Quanto alla determinazione pena, la Corte riteneva che la pena detentiva
irrogata dal primo giudice fosse congrua ed adeguata alla gravità del fatto.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza ricorre Pietro Paolo Giva, per
mezzo del proprio difensore, articolando due motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della
legge penale nonché mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione
(art. 606, comma 1, lett, b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 1161 cod. nav,
e 43 cod. pen.).
Si sostiene che il titolo di reato contestato esige il dolo perché, pur in
presenza di un reato contravvenzionale, l’illegittima occupazione sarebbe
avvenuta in modo arbitrario ed allora la sentenza, da un lato, avrebbe ritenuto
erroneamente il dolo in re ipsa e, dall’altro, non avrebbe ritenuto la buona fede

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metri lineari 1.326 complessivi allocandovi gru, capannoni e natanti in assenza di

dell’imputato pur avendo dato atto che il ricorrente esibì la domanda con la quale
era stata richiesta l’autorizzazione per l’occupazione dell’area demaniale.
2.1. Con il secondo motivo lamenta mancanza, contraddittorietà ed illogicità
della motivazione (art. 606, comma 1, lett, e), cod. proc. pen.)N ordine alla
quantificazione della pena.
Si assume che il Tribunale, mentre nel dispositivo indicava la pena di un
mese di arresto, viceversa nella motivazione della sentenza di primo grado,
dando espressamente conto dei criteri adottati per la determinazione della pena,

Ed allora la Corte territoriale aveva del tutto omesso qualsiasi motivazione
sulla specifica doglianza sollevata con i motivi dell’appello nel quale si
sottolineava il contrasto tra motivazione e dispositivo in parte qua.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in accoglimento del secondo motivo.

2. Il primo motivo è invece infondato.
2.1. La costruzione giuridica del reato di abusiva occupazione del suolo
demaniale marittimo enunciata nel ricorso è corretta ed è conforme alla
giurisprudenza di questa Corte ma la sentenza impugnata non merita alcuna
censura in punto di ritenuta presenza dell’elemento soggettivo richiesto per
l’integrazione della fattispecie incriminatrice.
Basti considerare che l’imputato non si trovava nella condizione di abusivo
occupante in quanto titolare di una concessione scaduta o non prorogata, bensì
di chi aveva chiesto l’autorizzazione all’occupazione e dunque era consapevole,
come ha correttamente dedotto la Corte territoriale utilizzando nozioni di
comune esperienza e regole di giudizio generalizzate, di non poter occupare il
suolo demaniale, se non arbitrariamente, senza il previo conseguimento del
permesso.

3. Il secondo motivo è fondato.
Il terzo motivo di appello denunciava il contrasto tra il dispositivo e la
motivazione, appuntando l’attenzione della Corte territoriale sul fatto che il
primo giudice aveva compiuto, in motivazione, un dettagliato calcolo per la
determinazione della pena e tale circostanza richiedeva una precisa presa di
posizione sul punto.
La Corte territoriale si è invece limitata a ritenere congrua la pena
(detentiva) in considerazione della gravità del reato, gravità che il primo giudice
non aveva affatto valorizzato.

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fissava la sanzione in euro 100,00 di ammenda.

Ed allora, se non si trattava di rimuovere un errore correttamente censurato
dal ricorrente con l’appello e non con la procedura della correzione degli errori
materiali per la notoria prevalenza che è attribuita al dispositivo rispetto alla
motivazione, come nella specie, non contestuale alla lettura del dispositivo in
udienza, occorreva che la Corte, da un lato, motivasse sull’erroneo calcolo nella
determinazione della pena eseguito nella motivazione e desse conto, dall’altro,
delle ragioni per le quali il reato meritasse il più severo trattamento
sanzionatorio, senza liquidare velocemente il motivo con l’apodittico riferimento

Chiarito che non è maturata la prescrizione in quanto, trattandosi di reato
permanente, il relativo termine decorre, come ha correttamente rilevato la Corte
territoriale, dalla pronuncia di primo grado, la sentenza impugnata va annullata
con rinvio limitatamente alla determinazione della pena ed il ricorso va rigettato
nel resto.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione
della pena, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 17/04/2014

alla gravità del reato.

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