Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34073 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34073 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Andrea PANNO, nato a Casteldaccia il 25/4/1961,
avverso l’ordinanza emessa in data 6/2/2014 dal Tribunale di sorveglianza di
Roma.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso, la memoria;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 27/06/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe, emessa in data 6.2.2014, il Tribunale di
sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da Andrea Panno avverso il
provvedimento del Magistrato di sorveglianza, che in data 17.1.2014 aveva
respinto la sua richiesta, avanzata il 27.12.2013, di maggiore detrazione di pena
per liberazione anticipata ai sensi del d.l. 23.12.2013, n. 146, per i semestri di
pena che andavano dal 12.7.2009 al 12.7.2013, in relazione ai quali aveva già
beneficiato della decurtazione di pena per la liberazione anticipata ordinaria.
A ragione osservava che il Panno era detenuto in espiazione della pena di
detto reato era incluso nel novero di quelli per i quali era richiesta [in base al
comma 4 dell’art. 4 del citato decreto n. 146 del 2013, vigente all’epoca nel
testo antecedente le modifiche recate dalla legge di conversione del 21.2.2014,
n. 10] prova di «un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti
rivelatori del positivo evolversi della personalità». La questione di legittimità
costituzionale prospettata dalla difesa del condannato con riguardo alla diversità
di regime per i condannati per certuni delitti, appariva manifestamente
infondata, considerato che il diverso regime non costituiva trattamento inumano
o degradante ed era comunque giustificato dalla diversa gravità dei reati
commessi e dalla particolare pericolosità sociale che gli stessi esprimono.
Correttamente il Magistrato di sorveglianza aveva rilevato che la condizione
ulteriore richiesta dal d.l. n. 146 del 2013 non era ravvisabile nella situazione in
esame, nella quale il detenuto risultava aver dato prova di un comportamento
corretto, sufficiente per la liberazione ordinaria ma non per quella speciale, non
emergendo prova di un particolare impegno del condannato idoneo a segnalare
un effettivo distacco dal crimine e un’evoluzione della personalità verso modelli
socialmente accettabili.
2. Ha proposto ricorso il Panno a mezzo del difensore, avvocato Valerio
Vianello Accorretti, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione ed erronea applicazione degli
artt. 54 I. 354 del 1975 (ord. pen.) e 4, comma 4, d.l. n. 146 del 2013, nonché
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, non
essendosi valutate le osservazioni difensive con cui si evidenziava: che nel
silenzio della nuova norma non era consentita una interpretazione della stessa
che innalzasse la soglia di meritevolezza a livelli corrispondenti a quelli richiesti
per l’accesso agli ulteriori benefici penitenziari ovvero alle misure alternative;
che occorreva considerare la condizione degli istituti di collocazione e le concrete
possibilità di recupero e accrescimento che gli stessi realmente offrono; che
occorreva comunque procedere a una valutazione frazionata per semestri; che
la, pur riconosciuta, differenza di requisiti andava invece valutata in base ai
comportamenti concreti tenuti e che nel caso in esame andavano apprezzate
come adeguate le attività ulteriori (di “spesino”, “porta-vitto”, e in particolare di
frequentatore di corso di lingua inglese) poste in essere dal Panno, che
dimostravano appunto la volontà di trarre vantaggio dall’opera trattamentale e
una positiva evoluzione della personalità.

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sette anni inflittagli per partecipazione ad associazione di stampo mafioso e che,

2.2. Con il secondo motivo reitera la questione di legittimità costituzionale
del comma 4 dell’art. 4 del d.l. 23.12.2013, n. 146, nella parte in cui
prevede[va] una disciplina diversa, nei confronti dei condannati per reati di cui
all’art. 4-bis I. n. 354 del 1975, per l’applicazione della liberazione anticipata,
costituente istituto affatto particolare e scollegato dai consueti limiti e condizioni
di accesso previsti per gli altri benefici penitenziari (cita C. cost. n. 291 del 2005,
n. 306 del 1993, n. 107 del 1980, n. 274 del 1983), in considerazione altresì
della oscura formulazione normativa, della ratio e delle finalità della novella del

3. Il Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del
ricorso rilevando tra l’altro che la disposizione evocata è stata eliminata dalla
legge di conversione n. 10 del 2014, che ha previsto invece la esclusione dal
beneficio speciale per i condannati per i reati di cui all’art. 4-bis ord. pen., e che
alle disposizioni in tema di benefici penitenziari si applica per giurisprudenza
costante il principio tempus regist actum.
4. In data 9.6.2014 la difesa del ricorrente ha depositato “motivi nuovi”, in
risposta alle deduzioni del Procuratore generale, osservando:
3.1. con il primo motivo nuovo, che nel caso in esame occorreva fare
riferimento ai momenti, precedenti alla legge di conversione, in cui il condannato
aveva presentato l’istanza e la stessa era stata decisa nelle fasi di merito, non
potendosi ammettere che il testo degli emendamenti apportati al decreto
potessero avere applicazione retroattiva (si richiamano l’art. 11 Preleggi e l’art.
15, comma 5, I. n. 400 del 1988); che, inoltre, la valorizzazione della legge più
favorevole che incide sulla pena è principio oramai recepito dalla giurisprudenza
della Corte EDU, anche con riferimento ad ambiti normativi tradizionalmente
considerati di natura processuale (si cita la sentenza Del Rio Prada c. Spagna
proprio in tema di liberazione anticipata nell’ordinamento spagnolo); che alla
irretroattività del regime più sfavorevole risultavano, d’altro canto, essersi nel
frattempo ispirati i giudici di merito con riferimento a tutte le posizioni valutate e
decise in costanza del decreto-legge non convertito;
3.2. con il secondo motivo nuovo, che andava in ogni caso reiterata la
questione di legittimità costituzionale già sollevata per il regime di particolare
rigore, con riferimento altresì alla radicale esclusione dal beneficio per i
condannati di cui all’art. 4-bis ord. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso non può ritenersi per alcun aspetto
fondato.
2. Il ricorso evoca l’applicazione della disciplina speciale di particolare favore
recata dal d.l. 23.12.2013, che all’art. 4 estende a settantacinque giorni per ogni
singolo semestre di pena scontata la liberazione anticipata prevista dall’art. 54 I.
26.7.1975, n. 354. La vicenda procedimentale si colloca “a cavallo” della

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2013 (in parte “compensativa” delle condizioni di restrizione censurate da
Strasburgo).

conversione in legge di detto decreto, che al comma 4, eliminato dalla legge di
conversione, prevedeva che «Ai condannati per taluno dei delitti previsti
dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 la liberazione anticipata può
essere concessa nella misura di settantacinque giorni, a norma dei commi
precedenti, soltanto nel caso in cui abbiano dato prova, nel periodo di
detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti
rivelatori del positivo evolversi della personalità», mentre ora, per effetto delle
modifiche al comma 1 apportate dalla medesima legge, consente il
riconoscimento della maggiore detrazione di pena «Ad esclusione dei condannati

2.1. In base al testo convertito in legge ed ora in vigore il ricorrente non può
dunque in alcun modo beneficiare della disciplina di favore, essendo in
espiazione pena per associazione per delinquere di stampo mafioso, ovverosia
per un delitto previsto dall’art. 4-bis I. n. 354 del 1975 (ord. pen.).
Sostiene il ricorso che le modifiche apportate in sede di conversione in legge
non s’applicherebbero al condannato, che aveva fatto istanza prima di detta
conversione, vuoi perché la normativa di cui si discute, incidendo sulla pena
avrebbe carattere sostanziale, vuoi perché occorrerebbe comunque far
riferimento al momento della domanda. Eccepisce inoltre la illegittimità
costituzionale della disciplina di minor favore, o di esclusione del trattamento di
speciale favore, per i condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis ord. pen.
2.2. Ora, però, la tesi della natura sostanziale della disciplina evocata e
dell’applicabilità della normativa in vigore al momento della domanda è
anzitutto, come sembra evidente, intimamente contraddittoria: se fosse vero
difatti che la disciplina della liberazione anticipata soggiace alle regole dell’art. 2
cod. pen. e 25 Cost., sarebbe da applicare la legge più favorevole vigente al
momento del fatto, e sarebbe solo da valutare se per momento del “fatto” possa
intendersi quello in cui è stato commesso il reato , ovvero – come sembra più
corretto trattandosi di fattispecie che non riguarda la fattispecie sostanziale e
non incide sulla sanzione da infliggere e in concreto inflitta, ma attiene alla
meritevolezza di sconti della pena collegati alla condotta serbata durante la
espiazione – il tempo in cui si è tenuto il comportamento di cui si chiede la
valutazione al fine del beneficio. Mentre l’applicazione della regola che fa
riferimento alla disciplina vigente al momento della domanda (in base al principio
generale di cui costituisce espressione l’art. 5 cod. proc. civ.) postulerebbe che si
verta al contrario in materia attinente alla giurisdizione o alla competenza,
ovverosia in materia squisitamente processuale.
2.3. Per sola completezza va comunque sottolineato che sia la
giurisprudenza costituzionale (basterà ricordare C. cost. ord. n. 10 del 1981;
sent. n. 376 del 1997 sia la giurisprudenza della Corte EDU costantemente
escludono che in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione
anticipata in particolare sia applicabile il principio della irretroattività della legge
più sfavorevole.
Ed espressamente anche Corte EDU, sent. Grande Camera del 21.10.2013,
Del Río Prada contro Spagna, ric. n. 42750/09 (citata dal ricorrente) evidenzia
che «Sia la Commissione sia la Corte hanno delineato nella loro giurisprudenza

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per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n.
354».

una distinzione tra una misura che costituisce in sostanza una “pena” e una
misura che riguarda “l’esecuzione” o “l’applicazione” della “pena”.
Conseguentemente, se la natura e il fine della misura riguarda la detrazione di
pena o una modifica del regime di liberazione anticipata, essa non fa parte della
pena ai sensi dell’articolo 7 (si vedano, tra altri precedenti, Hogben […]; Hosein
[…]; L. G. R. c. Svezia, n. 27032/95, decisione della Commissione del 15 gennaio
1997; Grava […], § 51; Uttley […]; Kafkaris […]; § 142; Monne c. Francia,
(dec.), n. 39420/06, 10 aprile 2008; M. c. Germania […], § 121; e Giza c.
Polonia, (dec.), n. 1997/11, § 31, 23 ottobre 2012). Nella causa Uttley, per
esempio, la Corte ha ritenuto che le modifiche apportate alle norme sulla
fossero state “inflitte” ma che facessero parte del regime generale applicabile ai
detenuti, e lungi dall’essere punitivi, la natura e il fine della “misura” erano di
consentire la liberazione anticipata, pertanto non potevano essere considerati
intrinsecamente “severe”. La Corte ha conseguentemente ritenuto che
l’applicazione al ricorrente del nuovo regime di liberazione anticipata non facesse
parte della “pena” che gli era stata inflitta». E’ se è vero che la Corte EdU in
detta sentenza riconosce che «in pratica la distinzione tra una misura che
costituisce una “pena” e una misura che riguarda “l’esecuzione” e “l’applicazione”
della “pena” può non essere sempre chiara (si vedano Kafkaris, […] § 142;
Gurguchiani, […] § 31; e M. c. Germania, […] § 121)», e che è possibile perciò
«che le misure adottate dal legislatore, dalle autorità amministrative o dai
tribunali successivamente all’inflizione della pena definitiva, o nel corso
dell’espiazione della pena, possano comportare la ridefinizione o la modifica della
portata della pena inflitta dal tribunale del merito», chiaramente rimarca,
tuttavia, che «per determinare se una misura adottata nel corso dell’esecuzione
di una pena riguarda solo la modalità di esecuzione della pena o, al contrario,
incide sulla sua portata», occorre «esaminare in ciascun caso che cosa
comportava effettivamente la “pena” inflitta in base al diritto interno in vigore al
momento pertinente, o in altre parole, quale era la sua natura intrinseca»,
considerando «il diritto interno nel suo complesso e la modalità con cui esso era
applicato al momento pertinente». Sicché nel caso al suo esame giungeva alla
conclusione che la disciplina della redención de penas, prima prevista
dall’ordinamento spagnolo e abrogata nel 1995, poteva essere considerata parte
integrante del droit pénal materie!, vuoi per gli importanti riflessi ad essa
accordati dalla giurisprudenza con riguardo al problema del cumulo materiale
delle pene, vuoi, soprattutto, per il fatto che, in occasione della riforma del 1995,
il legislatore si era curato di formulare disposizioni transitorie volte a garantire
l’applicazione del beneficio ai soggetti giudicati sulla base del codice penale del
1973, e che violava dunque l’art. 7 della Convenzione il révirement
giurisprudenziale adottato in proposito dalla Corte suprema.
Con riguardo alla liberazione anticipata speciale ora in esame nessuno degli
aspetti (incidenza sul limite delle pene cumulate da eseguire e révirement della
giurisprudenza al proposito) evidenziati dalla Corte EdU per giungere alla
sostanziale assimilazione del mutamento giurisprudenziale ad un mutamento del
(o incidente sul) diritto penale sostanziale può invece, all’evidenza, ravvisarsi, e
dunque il riferimento fatto in ricorso a detta sentenza della Corte EdU risulta – in

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liberazione anticipata successivamente alla condanna del ricorrente non gli

disparte quanto si dirà appresso – in radice impertinente.
3. Soprattutto, però, è da osservare che le deduzioni del ricorrente che
evocano principi in vario modo regolanti il fenomeno della successione di leggi
nel tempo, non s’attagliano al differente fenomeno in esame, che concerne la
sorte delle disposizioni di decreti-legge non recepite nella legge di conversione e
che trae regola direttamente dall’art. 77 Cost.
Questo, al terzo comma, dispone difatti che «I decreti perdono efficacia sin
dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro

3.1. Non deroga, né potrebbe, a tale norma di rango superiore l’art. 15,
comma 5, della legge n. 400 del 1988, laddove dispone che «Le modifiche
eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia
dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione,
salvo che quest’ultima non disponga diversamente. […]», giacché la disposizione
sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva
ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in
vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della relativa legge, e non
più dopo il decorso dell’ordinaria vacatio legis se nulla espressamente era
disposto al riguardo (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991, Rv.
471926; Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709).
3.2. In altri termini, l’ “efficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non
convertito che può farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o
«rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti» e non può in alcun
modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per
comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora
sub iudice al momento della conversione del decreto.
Come osserva, difatti, C. cost. n. 51 del 1985, «il comma terzo e ultimo
dell’art. 77 Cost., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di
alternatività sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la
norma dettata con “decreto-legge non convertito” come norma in vigore in un
tratto di tempo quale quello anzidetto; ed anzi, se interpretato sia in riferimento
al suo specifico precetto (privazione, per il “decreto – legge non convertito”, di
ogni effetto “fin dall’inizio”), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca
(inspirato – come appare anche dagli altri due commi dell’art. 77 Cost. – a
maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa) vieta di
considerarla tale».
Dunque, «indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della
norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un
“decreto-legge non convertito” non ha […] attitudine, alla stregua del terzo e
ultimo comma dell’art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno “successorio”, quale
quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo dell’art. 2 c.p.», ovverosia
in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali
vale il principio di irretroattività delle disposizioni di sfavore, «limitatamente alla
sancita applicabilità delle disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 2
c.p. al caso del “decreto-legge non convertito”, e quindi alla sancita operatività

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pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici
sorti sulla base dei decreti non convertiti».

della “norma penale favorevole”, se in esso contenuta, relativamente ai “fatti
pregressi”».
3.3. A maggior ragione, perciò, nella materia in esame (a cui come detto
non s’applicano le disposizioni dell’art. 2 cod. pen. e dell’art. 25 Cost., e neppure
quelle dell’art. 7 CEDU), non può ritenersi suscettibile di avere vigore ultrattivo,

4. Manifestamente infondata è da ritenere infine la questione di legittimità
costituzionale prospettata con riferimento all’esclusione dei condannati per i reati
di cui all’art. 4-bis ord. pen. dalla disciplina di favore in tema di liberazione
anticipata.
Al proposito è da chiarire: in primo luogo, che, riferendosi il ricorso a un
condannato per il reato di associazione di stampo mafioso, la questione sarebbe
rilevante nel caso in esame solo con riferimento ai condannati per i reati di cui
all’art. 416-bis cod. pen.; in secondo luogo, che la disciplina di cui si discute
rappresenta, per definizione espressa del legislatore, una disciplina “speciale”,
che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio
penitenziario già previsto e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati.
Non si è in presenza perciò di una situazione in cui l’accesso al beneficio è in
radice precluso per il condannato per il delitto di associazione di stampo mafioso.
Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che amplia a certe
condizioni gli effetti di favore, escludendo però i condannati per detto reato.
4.1. E’ agevole quindi l’osservazione che, trattandosi di disposizione speciale
di favore, in tanto sarebbe possibile porre un problema di irragionevole diversità
di trattamento in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe
differentemente e meglio trattate, da porre quali tertia comparationis
appropriati. Ma, come è da ritenere acquisito, il delitto di associazione di stampo
mafioso ha natura e connotazioni di immanente pericolosità di tale peculiarità
che nessun termine di paragone con i delitti non compresi nella fascia di
eccezione risulta utilmente istituibile.
4.2. La particolare presunzione di pericolosità che accede alla condanna per
il delitto in esame, già reiteratamente ritenuta giustificata nella giurisprudenza
costituzionale (ed europea) in considerazione delle affatto peculiari connotazioni
del delitto, «di pericolo a carattere permanente, che implica un vincolo “di
appartenenza totalizzante” ad un sodalizio caratterizzato da una particolare forza
intimidatrice e da un elevato grado di “diffusività” nel contesto ambientale, tali
da porre a rischio, per comune sentire, primari beni individuali e collettivi» (così
tra molte C. cost. n. 146 del 2011), consente d’altro canto di escludere che
l’eccezione prevista dalla disposizione speciale di favore possa essere ritenuta
intrinsecamente irragionevole e di per sé in contrasto con l’art. 27 Cost.
3. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

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per i comportamenti pregressi, la disposizione del decreto-legge, non recepita
dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi collegava un
effetto favorevole.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il giorno 27 giugno 2014

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