Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34065 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34065 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Luca PINARDI, nato a Napoli il 20.4.1965,
avverso l’ordinanza emessa in data 10.3.2014 dal Tribunale di Roma.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Antonio Gialanella, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Marcello D’Ascia, per il ricorrente, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Roma, investito ex art. 324 cod. proc. pen. – quale giudice
del rinvio a seguito della sentenza di annullamento n. 51799 del 10.12.2013
della Quinta Sezione della Corte di cassazione – dalla richiesta di riesame
presentata nell’interesse di Luca Pinardi, indagato di associazione per delinquere,
corruzione e falso, annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal
Giudice per le indagini preliminari della medesima città in data 15.4.2013 nei
confronti del Pinardi per la sola parte relativa alla quota di nuda proprietà di un
immobile in Napoli, via Francesco Petrarca, e 24.4.2013, confermando nel resto

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Data Udienza: 27/06/2014

sia detto decreto sia l’ulteriore decreto di sequestro preventivo emesso nei
confronti del Pinardi in data 24.4.2013.
A ragione della decisione osservava che la Corte di cassazione aveva
ritenuto che il precedente provvedimento del Tribunale del riesame era affetto da
violazione di legge perché aveva commisurato il valore dei beni oggetto di
sequestro per equivalente (che ammontava a circa 128.000 euro senza
considerare il valore della nuda proprietà dell’immobile in Napoli e di uno scooter
Yamaha) al profitto complessivo ricavato dall’associazione (oltre 5.700.000,00
euro), ascrivibile a tutti i sodali, anziché a quello dell’unico episodio corruttivo
contestato in concorso all’indagato (pari a 150.000,00 euro).
solamente le seguente indicazioni per i beni del Pinardi fatti oggetto di
sequestro: 1) nuda proprietà per 250/100 di un immobile sito a Napoli in via
Francesco Petrarca n. 47; 2) quote sociali del capitale della S.p.A. AXOS per un
importo pari a C 10.000; 3) quote sociali del capitale della S.r.l. Kosmos Service,
per un importo pari a C 2000; 4) quote sociali del capitale della S.r.l. Pinardi, per
un importo pari a C 7500; 5) quote sociali del capitale della S.r.l. Tecnoquality
per un importo pari a C 45.000; 6) un motociclo Yannaha 500; 7)
un’imbarcazione Cris Craft, sea Hawak 213, ormeggiata al porto turistico Marina
di Villasimius. La stessa Corte di cassazione, nella sentenza di annullamento con
rinvio, aveva fatto riferimento ad un valore complessivo dei beni, esclusa la nuda
proprietà dell’immobile di Napoli e il ciclomotore, pari a C 128.000 circa – valore
individuato dallo stesso ricorrente sia in sede di riesame sia in sede di ricorso per
cassazione -. In particolare, per le quote sociali occorreva fare riferimento al
valore nominale, pari complessivamente a C 67.500, attesa l’assenza di ogni
diversa allegazione da parte dell’interessato idonea a dimostrare che le stesse
potessero avere un valore di mercato superiore; e, per l’imbarcazione, sia
nell’istanza di riesame sia nel ricorso il valore della stessa era stato indicato
dall’interessato in circa C 60.000, e d’altronde, considerate le caratteristiche del
mezzo, a motore, non cabinato, usato e di lunghezza inferiore a 7 metri, non
poteva certamente ipotizzarsi un valere maggiore. Al fine di raggiungere la quota
di C 150.000 poteva quindi sicuramente computarsi anche il motociclo Yamaha, il
cui valore di mercato sicuramente non era superiore a C 7.000. Nessuna stima
poteva farsi, invece, per l’immobile, in relazione al valore del quale nessun
elemento specifico veniva fornito nell’informativa della Guardia di Finanza, né
emergeva dalla richiesta del Pubblico ministero o dal provvedimento del giudice
per le indagini preliminari. Per conseguenza, non essendovi elementi per
discostarsi dal valore di C 200.000 indicato da ricorrente, detto bene andava
escluso dal novero di quelli suscettibili di sequestro per equivalente.
La circostanza, poi, che fosse stato disposto sequestro preventivo anche nei
confronti dei coimputati nello stesso reato non incideva sulla legittimità del
sequestro per equivalente nei confronti del ricorrente per un valore
corrispondente al provento complessivamente conseguito con la corruzione. I
coimputati colpiti dal provvedimento cautelare reale, difatti, erano accusati
anche di altri reati e il valore, modesto, dei beni sequestrati loro era ben lontano
dal coprire interamente i profitti conseguiti con la somma dei fatti corruttivi loro
addebitati.

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Il decreto del Giudice per le indagini preliminari recava, d’altro canto,

2. Ricorre il Pinaldi a mezzo del difensore, avvocato Marcello D’ascia, che
chiede l’annullamento del provvedimento impugnato.
Denunzia:
1) erronea applicazione di legge e violazione di legge, penale e sostanziale,
e comunque manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla disciplina
del sequestro per equivalente, avuto riguardo al profilo della valutazione dei beni
sequestrati; erroneamente il Tribunale aveva ritenuto di poter effettuare
un’autonoma stima dei beni da sequestrare, che non rientrava tra i suoi poteri
(si cita il proposito Sez. 3, n. 326 del 4/4/2012, dep. 2013), ed aveva inoltre
macroscopicamente errato in detta valutazione, specie con riferimento al valore
anziché in ordine al superiore valore effettivo, di mercato;
2) erronea applicazione e violazione di legge, penale e sostanziale, anche
con riferimento all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., e comunque manifesta
illogicità della motivazione, con riferimento alla disciplina del sequestro
preventivo e al principio di diritto stabilito nella sentenza di annullamento con
rinvio, avuto riguardo alla ritenuta possibilità di confermare il sequestro per
equivalente in misura corrispondente all’intero profitto del fatto di corruzione
ascritto in concorso alla ricorrente; illegittimamente, in particolare, il Tribunale
aveva ritenuto di poter criticare il principio di diritto affermato dalla Cassazione
relativo alla illegittimità di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca
avente ad oggetto un compendio di beni superiore a quello confiscabile; del tutto
apoditticamente, quindi, resosi conto dell’errore, il Tribunale aveva affermato che
comunque il valore dei beni sequestrati ai coimputati non raggiungeva la soglia
di quelli confiscabili, senza procedere – e poter procedere, in assenza di elementi
concreti e dati economici forniti dal Pubblico ministero – ad alcuna specifica
attendibile valutazione degli stessi (bastava, d’altro canto, scorrere l’elenco dei
beni sequestrati al solo Calcagni, per rendersi conto che essi superavano
largamente il valore dell’ipotetico profitto illecito di 4 milioni di euro).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il primo motivo, relativo alla valutazione, in tesi
non consentita ad opera del Tribunale del riesame e comunque manifestamente
illogica, del valore dei beni sequestrati è sotto il primo aspetto infondato, e sotto
il secondo inammissibile.
1.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelari reali, spetta difatti al giudice che, in sede di riesame,
proceda alla conferma del sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore
del profitto del reato, il compito di valutare l’effettiva equivalenza tra il valore dei
beni sottoposti a vincolo e l’entità del suddetto profitto (Sez. 6, n. 19051 del
10/01/2013, Soc. Tecno Hospital s.r.I., Rv. 255256). Mentre dalla natura di
gravame puro del riesame discende che la cognizione in tale sede ha lo stesso
ambito e la stessa ampiezza di quella del giudice che ha emesso il
provvedimento impugnato.
Non dice cosa sostanzialmente diversa Sez. 3, n. 326 del 4/4/2012, dep.
2013, citata dal ricorrente che, letta per esteso, si limita a rimarcare che «se è

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delle quote societarie, stimate illegittimamente secondo il loro valore nominale

vero che da parte del Tribunale (come del GIP) non può essere compiuta alcuna
valutazione sul valore dei beni sequestrati in assenza di dati forniti dal P.M.
richiedente né può differirsi tale valutazione alla fase esecutiva, pena il rischio
del profilarsi di seri dubbi di legittimità costituzionale, in quanto il sequestro
preventivo, funzionale alla confisca “per equivalente”, per sua intrinseca natura
non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, […]
è parimenti incontroverso che, laddove il giudice disponga di elementi di
valutazione tali da effettuare un calcolo ai fini della esatta commisurazione del

tanto ed al di fuori quindi di qualsiasi controllo giurisdizionale».
E nel caso in esame risulta da quanto esposto nel provvedimento impugnato
che i dati concreti valutati dal Tribunale erano stati appunto forniti dal Pubblico
ministero e che la valutazione effettuata era fondata sul duplice rilievo che si
trattava di valori indicati dallo stesso ricorrente ovvero mai da lui espressamente
contestati.
Circostanza, quest’ultima, che neppure risulta oggetto di specifica
confutazione nel ricorso.
1.2. La censura di manifesta illogicità della motivazione attiene invece a
valutazioni di merito non sindacabili in questa sede, tanto più in considerazione
del fatto, che – come è noto – il ricorso per cassazione contro le ordinanze
emesse a norma dell’art. 324 cod. proc. pen. in materia di sequestro preventivo
o probatorio è previsto dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. solo per
violazione di legge. E in tale nozione possono comprendersi sia gli errori in
iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali, però, da
rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del
tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice (S.U., n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov; S.U., 29 maggio 2008
n. 25933, Malgioglio; S.U., n. 5876 del 28.1.2004, Bevilacqua; S.U., n. 5 del
26/02/1991, Bruno, secondo cui la sola mancanza assoluta di motivazione, pur
essendo espressamente prevista dall’art. 606, comma 1, lettera e, ed essendo
dunque deducibile come motivo di ricorso esclusivamente ai sensi di tale
previsione, costituendo altresì violazione di legge può essere addotta come
motivo di ricorso nei casi in cui questo sia espressamente limitato a detta
violazione).
Mancanza o apparenza che nel caso in esame non è ravvisabile.
E’ appena il caso di aggiungere, perciò, che ove il ricorrente sia in possesso
di elementi non versati in atti e non valutati che dimostrino l’asserito superiore
valore delle quote societarie, ben potrebbe porli a base di una richiesta di
riduzione del sequestro.
2. Fondato appare invece, per l’aspetto che si dirà, il secondo motivo,
sostanzialmente relativo alla eccedenza del valore dei beni sequestrati al
ricorrente rispetto al profitto del reato a lui imputabile, in costanza di
contemporanei sequestri su beni degli altri coimputati, complessivamente già

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valore, tale operazione può e deve essere condotta dal Giudice, avendo il P.M.
solo il compito di fornire al giudice dati concreti per operare la valutazione senza
incorrere nel pericolo che essa sia rimessa ad libitum a soggetti non legittimati a

idonei ad assicurare la confisca per equivalente dell’intero.
Al proposito va anzitutto rilevato che le osservazioni del Tribunale in
malcelato dissenso con il principio di diritto espresso dalla Cassazione nella
sentenza di annullamento con rinvio, oltre ad essere perlomeno confuse, sono
comunque irrilevanti (improduttive di effetti), poiché il Tribunale non ha poi
ritenuto di potersi discostare dal devolutogli ed ha perciò, da un lato escluso dal
sequestro il bene eccedente il profitto dell’unico fatto di corruzione ascritto al
ricorrente, dall’altro affermato che, valutando l’insieme dei beni sequestrati
anche ai coimputati, in relazione a tutti i fatti a costoro addebitati, il valore dei

Tuttavia, tale affermazione è sorretta da motivazione effettivamente
assolutamente incongrua e nella sostanza apparente, giacché si limita ad
enunciare che il valore complessivamente assegnato ai beni sequestrati ai
coimputati è nettamente inferiore alle somme dei profitti conseguiti, ma non
offre alcun elemento specifico e concreto che consenta di apprezzare i parametri
e i criteri su cui detta valutazione si fonda, neppure chiarendo, in risposta alle
deduzioni difensive, quali siano i beni sequestrati a tutti gli altri concorrenti e
quale sia il loro presunto valore.
Il Tribunale ha dunque fatto mostra di attenersi al principio di diritto fissato
nella sentenza di annullamento con rinvio, ma non ha in concreto adempiuto
all’onere di dare giustificazione del fatto che il complesso dei beni sequestrati ai
vari coimputati non superava il valore totale del profitto del solo reato ascrivibile
al ricorrente.
3. Il provvedimento impugnato deve dunque essere annullato con rinvio al
Tribunale di Roma, perché proceda a nuovo esame adeguandosi effettivamente
al principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento n. 51799 del
2013.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Roma.
Così deciso in Roma il gi
Il Consigliere e

nsore

o 27 giugno 2014
Il Presidente

beni sequestrati ad essi e al ricorrente non poteva ritenersi eccedente il profitto
dell’unico fatto ascritto al ricorrente.

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