Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34064 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34064 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Giuseppe VISCIGLIA, nato a Torino il 27.10.1955,
avverso l’ordinanza emessa in data 16.12.2013 dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Torino.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso.

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Data Udienza: 27/06/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Torino, decidendo quale giudice dell’esecuzione, accoglieva l’istanza
avanzata da Giuseppe Visciglia, volta alla declaratoria della continuazione tra i
reati oggetto delle sentenze:
a) emessa a seguito di giudizio abbreviato, definitiva il 22.6.2012, di
condanna alla pena complessiva di 4 anni e 4 mesi di reclusione e 1.000,00 euro
di multa, per i reati di rapina e ricettazione commessi il 19.8.2011;
b) emessa a seguito di giudizio abbreviato, irrevocabile il 28.12.2012, di
multa, per quattro rapine aggravate commesse il 9.7.2011, il 15.7.2011, il
23.7.2011 e il 5.8.2011.
Per l’effetto, presa a base la pena inflitta con la prima sentenza,
rideterminava la pena per ciascuno dei reati di cui alla seconda sentenza in 8
mesi di reclusione e 100,00 euro di multa, calcolando così l’aumento in
continuazione per detti reati in complessivi 2 anni e 4 mesi di reclusione e
400,00 euro di multa.
Osservava, a ragione, che ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. il
reato più grave doveva ritenersi quello di rapina aggravata della sentenza sub
a), e che alle determinazioni di tale sentenza in punto di applicazione delle
circostanze, continuazione tra i reati oggetto di quel giudizio, e pena finale
poteva farsi integrale rinvio. Determinava quindi la pena per i restanti reati
richiamando i criteri dell’art. 133 cod. pen. e sottolineando, in particolare, il
rilevante allarme sociale destato dai fatti commessi con pistola ai danni dei
titolari di esercizi commerciali; la particolare pervicacia delittuosa e il numero dei
delitti commessi in breve lasso di tempo; gli altri precedenti penali, anche
specifici, del ricorrente, risultanti dal suo certificato penale e in ragione dei quali
gli era stata contestata la recidiva di cui all’art. 99, commi secondo e quarto,
cod. pen.
2. Ha proposto ricorso il condannato personalmente, chiedendo
l’annullamento della ordinanza impugnata.
Denunzia violazione di legge (in riferimento agli artt. 81 cod. pen. e 671
cod. proc. pen.) e vizi di motivazione, dolendosi in particolare:
2.1. della comprensiva della pena per la rapina e, in continuazione, della
pena per il concorrente reato di ricettazione, con omessa specifica indicazione,
perciò, della pena per il reato base;
2.2. della determinazione degli aumenti di pena per i reati satelliti oggetto
della seconda condanna in misura superiore a quelle individuate dal giudice della
cognizione (che per ciascuna delle rapine in continuazione aveva individuato la
pena in 6 mesi di reclusione), al proposito evidenziando:
nell’indirizzo
quanto sostenuto
contrariamente a
2.2.1.
che
giurisprudenziale prevalente – il divieto di reformatio in peius, anche in sede
esecutiva, della pena per i reati satelliti discenderebbe da ragioni di ordine
sistematico (legate alla natura di principio cardine di detto divieto,
all’intangibilità del giudicato, alla tassatività delle fasi di giudizio) e che non

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condanna alla pena complessiva di 4 anni, e 4 mesi di reclusione e 720 euro di

poteva condividersi la tesi secondo cui l’unico limite al giudice
dell’esecuzione nella materia sarebbe quello posto dall’art. 671 cod. proc.
pen., così rendendolo libero di travolgere completamente le valutazioni
effettuate in sede di cognizione;
2.2.2. che, in ogni caso, tale straordinario potere di rivedere le valutazioni
del giudice della cognizione potrebbe riconoscersi al giudice dell’esecuzione
solo in casi particolari e in considerazione di specifiche ragioni che
giustifichino in concreto una sua più severa valutazione, delle quali però la
motivazione del provvedimento impugnato non dava conto.

1. Il Collegio ritiene che il ricorso sia sotto ogni aspetto quantomeno
infondato.
2. Infondata, in particolare, è la prima censura, con la quale si denunzia
l’erronea individuazione quale pena base dell’intera pena inflitta con la prima
sentenza, giacché in realtà, come evidenziato in fatto, l’ordinanza impugnata
espressamente richiama per relationem criteri e calcoli effettuati nella prima
sentenza in ordine alla individuazione del reato più grave, circostanze e
continuazione. Sicché, nonostante la rapidità della motivazione, può senz’altro
dirsi che la determinazione della pena per il reato base, espressamente
individuato nella rapina oggetto della prima sentenza, e per i reati connessi già
considerati in continuazione in quella, è stata effettuata correttamente in
conformità a quanto statuito in detta pronuncia e ad essa rimandando.
3. Infondata deve ritenersi quindi anche la seconda doglianza, concernente
la determinazione della pena per i reati oggetto della seconda sentenza.
Il giudice dell’esecuzione, riconoscendo la continuazione tra tutti i fatti
giudicati con la prima sentenza e tutti i fatti giudicati con la seconda, ha, come
già evidenziato, individuato quale reato più grave la rapina oggetto della prima e
ha mantenuto gli stessi aumenti a titolo di continuazione per gli altri fatti oggetto
della stessa sentenza; ha quindi rideterminato la pena per i reati della seconda,
e per tutte le quattro rapine cui si riferiva la stessa ha fissato la pena della
reclusione di otto mesi, minore di quella individuata dal giudice della cognizione
per la rapina originariamente considerata reato più grave e posta a base della
continuazione, ma maggiore di quelle individuate per le altre tre rapine già
considerate in continuazione.
Il ricorrente censura dunque la determinazione della pena per tali ultimi fatti
in misura superiore a quella calcolata dal giudice della cognizione, sotto due
aspetti: la violazione del divieto di reformatio in peius, che avrebbe secondo la
sua impostazione valenza generale, di sistema; in subordine, la mancanza di
adeguata motivazione.
3.1. In relazione al primo aspetto, tuttavia, occorre ricordare che secondo la
giurisprudenza di questa Corte, da circa un ventennio assolutamente consolidata
e che il Collegio condivide, il giudice dell’esecuzione nel determinare la pena
finale per il reato continuato incontra i soli limiti stabiliti dagli artt. 187 disp. att.

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

cod. proc. peri, e 671 cod. proc. pen., relativi, quanto a reato e pena base, al
vincolo della individuazione del reato più grave in quello per il quale è stata
inflitta la pena più grave e, quanto a reati e pene in continuazione nonché a
trattamento sanzionatorio complessivo, al solo divieto di superamento della
somma delle sanzioni inflitte con ciascuna sentenza (Sez. 2, n. 4024 del
04/10/1995, Golino; Sez. 1, n. 1663 del 26/02/1997, Spinelli; Sez. 1, n. 1138
del 24/02/1998, Greco, Rv. 210247; Sez. 1, n. 4862 del 06/07/2000, Basile, Rv.
216752; Sez. 1, n. 32277 del 25/02/2003, Mazza, Rv. 225742; Sez. 1, n. 31429
del 08/06/2006, Serio, Rv. 234887; Sez. 1, n. 12704 del 06/03/2008, D’Angelo,
Rv. 239376; Sez. 1, n. 46905 del 10/11/2009, Castorina, Rv. 245684; Sez. 1, n.
Cena, Rv. 256051; Sez. 1, n. 32870 del 10/06/2013, Sardo, Rv. 257000; Sez. 2,
n. 43768 del 08/10/2013, Bacio Terracino Rv. 257664).
Ed é proprio l’espressa enunciazione di tali, specifici limiti, che ha convinto
la giurisprudenza che nella determinazione delle pene ad opera del giudice
dell’esecuzione, ex art. 671 cod. proc. pen., per le singole frazioni di pena
relative ai reati ritenuti in continuazione non valga il divieto di reformatio in
peius, giacché, al di là della collocazione di tale divieto nell’ambito della disciplina
delle impugnazioni sistematicamente non esportabile alla fase esecutiva, le
regole citate, specie quella dell’art. 671, comma 2, cod. proc. pen., non
avrebbero avuto ragione d’essere enunciate, se fossero state da applicare quelle,
più rigide, dell’art. 597 cod. proc. pen.
3.2. Infondata è quindi la censura subordinata, attinente alla motivazione. Il
giudice dell’esecuzione ha infatti adeguatamente, ancorché brevemente, dato
ragione della sua più severa valutazione, non solo richiamando i criteri di cui
all’art. 133 cod. pen., ma specificatamente individuando gli aspetti che
giustificavano il suo apprezzamento in ordine agli aumenti di pena per i reati in
continuazione, in particolare evidenziando sia la gravità e intrinseca pericolosità
dei fatti (rapine con uso di arma da fuoco a danni di esercizi commerciali), sia il
numero dei delitti realizzati nell’ambito di breve periodo per effetto della stessa
risoluzione criminosa (ovviamente ora maggiore di quelli originariamente
considerati, e tanto sarebbe già sufficiente), sia gli altri precedenti penali del
ricorrente, dai quali era scaturita la contestazione della recidiva di cui all’art. 99,
commi secondo e quarto, cod. pen.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
processuali.
Così deciso in Roma il aiorno 27 ohm nn

7 n -+A

DEPOSI!

pagamento delle spese

5832 del 17/01/2011, Razzaq, Rv. 249397; Sez. 1, n. 25426 del 30/05/2013,

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