Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3406 del 20/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3406 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA

IL

2 6 GEN

nis

sul ricorso proposto da:
Cauzzi Siro, nato a Cavriana il 20.11.64
imputato art. 256 D.Lgs. 152/06

avverso la sentenza del Tribunale di Mantova, sez. dist. Castiglione delle Stiviere

dell’8.5.12

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Giuseppe Corasaniti, che ha chiesto una
declaratoria di inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza impugnata, il
ricorrente è stato condannato alla pena di 15.000 C di ammenda per avere, nella sua qualità di
amministratore unico della ditta “Cauzzi Siro Conto terzi” effettuato, su un piazzale retrostante
un capannone di sua proprietà, un’attività di raccolta di rifiuti non pericolosi, derivanti da
demolizioni edili, in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di
legge.

Data Udienza: 20/11/2014

Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso,

nella parte in cui
1) eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 593 c.p.p.
preclude la appellabilità delle condanne alla sola pena pecuniaria dell’ammenda. A tal fine, egli
fa notare che il reato de quo (art. 256 d.lgs 152/06) è punito con pena a lternativa e che, quindi, è
dalla scelta del giudice di irrogare la sola pene pecuniaria – non dal legislatore – che deriva una
limitazione delle facoltà difensive.
Oltretutto, nella specie, la decisione sarebbe stata anche motivata contraddittoriamente
visto che, dapprima, il Tribunale si è diffuso nel sottolineare la gravità e pericolosità della
condotta ascritta (tanto da negare le invocate attenuanti generiche) salvo, poi, irrogare una sanzione
solo pecuniaria.
Il ricorrente ritiene che la disposizione, così come attualmente congegnata, violi il
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 cost., il diritto di difesa ( art. 24 cost.) ed anche quello
di ragionevole durata ( art. 11 cost.) dal momento che, impedendo all’imputato di ottenere, con un
secondo giudizio di merito, una formula ampiamente liberatoria di cui giovarsi nelle altre sedi,
l’interessato è esposto al rischio di tre gradi di giudizio in sede civile e/o amministrativa. Pur
ricordando che già la Corte costituzionale (nella sentenza N. 85/08) ha respinto la questione perché
non è possibile attribuire alla Consulta un potere “creativo”, il ricorrente ritiene che il presente
contesto sia diverso perché si tratta di escludere che il giudice abbia un potere normativo che
non gli compete. Vi è da soggiungere, altresì, che la scelta legislativa di negare l’appello per i
reati puniti con l’ammenda nasce dal rilievo che, di norma, si tratta di reati “bagatellari” cosa
che, però, non sembra possibile affermare per un reato ambientale come quello in esame che,
per di più, è punito con una sanzione pecuniaria di tutto rispetto (da 2600 a 26.000 €);
2) erronea applicazione della legge e vizio della motivazione dal momento che
la pronuncia di responsabilità si è basata su valutazioni contraddittorie ed insussistenti.
Trattandosi di reato commissivo, infatti, avrebbe dovuto essere fornita, dall’accusa, la prova
della responsabilità dell’imputato mentre, invece, i giudice ne hanno affermato la colpevolezza
sulla base del teorema che egli “non poteva non sapere” che i rifiuti venivano depositati sulla
sua proprietà sì che sarebbe responsabile, quantomeno a titolo di “concorso”. Replica il
ricorrente che, non solo non è stato indicato in alcun modo chi sarebbe l’eventuale concorrente
che ha depositato i rifiuti ma, per di più, la contestazione non è stata formulata in questi
termini sì che, a tutto concedere, si sarebbe al cospetto di una violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p..;
c.p. e
inosservanza o erronea applicazione degli artt. 133, 62 bis
3)
motivazione contraddittoria e/o manifestamente infondata.
Si ricorda, infatti, che la molteplicità di argomenti che hanno indotto il giudice a negare
le attenuanti generiche non ha impedito, per contro, l’irrogazione della sola pena pecuniaria. In
ogni caso, gli “indici di pericolosità” elencati dal Tribunale sono solo frutto di asserzioni
apodittiche.
Si fa, altresì, notare che la perdurante protrazione della condotta si basa solo sulle
“tracce di scarrocciamento sul fondo del piazzale” che però ben possono esser riferibili alla
normale attività imprenditoriale svolta in modo continuativo. Infine, si obietta che il
risparmio economico derivante dal mancato, corretto, smaltimento è puramente ipotetico come
pure solo potenziale è il rischio di reimpiego illecito dei rifiuti. Per contro, il giudice avrebbe
dovuto considerare, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, lo stato di
incensuratezza dell’imputato visto che i fatti risalgono al 2008 quando ancora non era stato
modificato in senso restrittivo l’art. 62 bis c.p..

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

2. Motivi del ricorso personalmente, deducendo:

Il ricorso è infondato.

In particolare, con riguardo al primo motivo, non si registra, nella specie alcuna
limitazione degli spazi decisionali della difesa, ad esempio, con riferimento alla possibilità di
chiedere l’oblazione (perché, asseritannente, condizionata dalla decisione del giudice) visto che la scelta
defensionale prescinde dalla pena che, in concreto, irrogherà il giudice posto che, nel caso di
pena alternativa, l’art. 162 bis c.p. già contempla la preventiva possibilità per l’imputato di
chiedere l’oblazione.
Né sembra si possa parlare di incostituzionalità di una scelta legislativa che, rendendo
inappellabili le sentenze che irrogano solo la sanzione dell’ammenda, impedisce la esperibilità
di questo mezzo di impugnazione laddove – nel caso di pena alternativa – il giudice infligga
solo quest’ultima. Ed infatti, si tratta di una naturale conseguenza di una precisa scelta del
legislatore collegata a sanzioni più miti ed, a fortiori, essa ha una ragion d’essere quando il
fatto sia così grave da essere prevista per esso, in alternativa, anche una pena detentiva.
Infine, non va trascurato che proprio la sentenza n. 85/08 della Consulta, affrontando
il tema, è pervenuta alla conclusione che valutare la possibilità di dichiarare l’incostituzionalità
della previsione di cui all’art. 593 comma 3 c.p.p., darebbe luogo ad una soluzione “creativa”
con risultato estraneo alla voluntas legis.
E’ infondato anche il secondo motivo perché la censura che il ricorrente svolge ai motivi
con i quali il Tribunale ha supportato la propria decisione non attengono alla sua tenuta logica
ma si risolvono in una mera espressione di dissenso e nella prospettazione di ipotesi
alternative qui certamente non valutabili. Invero, non si coglie alcun profilo illogico nel fatto di
avere ritenuto la responsabilità del Cauzzi per il reato ascrittogli sul rilievo che i rifiuti sono
stati rinvenuti, accatastati alla rinfusa, in un’area di sua proprietà «interamente recintata e
nella disponibilità dello stesso» alla quale gli operanti ebbero accesso per essere stato loro
aperto il cancello proprio dall’imputato. Il Tribunale evidenzia, altresì, che i rifiuti erano disposti
in modo tale da rendere impossibile non vederli (anche nella eventualità vi fossero stati posti, a sua
insaputa ed a nulla rilevando l’obiezione difensiva circa la non individuazione di eventuali concorrenti).

Del resto, è lo stesso ricorrente a ricordare, nel formulare il terzo motivo, che, colà, si
svolgeva “in modo continuativo” l’attività della ditta di Cauzzi. La condotta illecita, pertanto,
risulta – come sottolinea il giudice – ragionevolmente frutto dell’ambito professionale nel quale
i rifiuti sono stati raccolti e, quindi, è immune da censure anche la decisione di negare le
attenuanti generiche non avendo il decidente ravvisato, nella fattispecie concreta, elementi
favorevoli ma, semmai, altri di segno contrario.

Deve, però, soggiungersi che la complessiva infondatezza dei motivi di ricorso non può
definirsi manifesta sì che la regolare insaturazione del rapporto di impugnazione legittima una
rilevazione, da parte di questa S.C., della causa estintiva del reato, di cui all’art. 157 c.p., che,
medio tempore, è maturata.
Conseguente è una declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
perché il reato si è estinto.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato si è estinto per prescrizione.

Così deciso il 20 novembre 2014
Il Presidente

3. Motivi della decisione –

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