Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34049 del 23/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34049 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAPONI EMILIANO N. IL 26/07/1984
avverso l’ordinanza n. 142/2013 TRIBUNALE di ROMA, del
25/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
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Data Udienza: 23/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 25 settembre 2013 il Tribunale di Roma, in funzione di
giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da Emiliano Raponi, diretta
ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato in executivis, in
relazione ai reati giudicati con la sentenza 13/10/2006, definitiva in data
3/11/2006, del Tribunale di Roma, con la sentenza 9/8/2006, definitiva in data
4/5/2007, del Tribunale di Gaeta e con la sentenza 15/12/2006, definitiva in
data 17/5/2012, del Tribunale di Roma.

dei reati non poteva identificarsi con la generale propensione a delinquere, sotto
la spinta di impulsi occasionali o da necessità di ordine contingente. Il
programma criminoso doveva essere positivamente e rigorosamente provato,
non essendo sufficiente l’identità delle norme di legge violate, la prossimità
temporale dei fatti, la medesimezza del movente delle varie azioni criminose,
trattandosi di circostanze non probanti della preventiva deliberazione a
delinquere.
Anche con riferimento ai reati in materia di stupefacenti era necessaria la
prova che gli stessi fossero stati concepiti e portati a esecuzione nell’ambito di
un unico programma criminoso, non confondibile con la sussistenza di una
concezione di vita improntata al crimine e dipendente degli illeciti guadagni che
da esso possono scaturire. In questo caso, il generico fine di guadagno
perseguito con la condotta reiterata dava luogo agli istituti della recidiva,
abitualità, professionalità, tendenza delinquere.
Nel merito, il giudice dell’esecuzione riteneva che non vi fosse prova che i
reati furono commessi nell’ambito di un disegno criminoso unico, non ricavandosi
dalle sentenze che quando il condannato commise ciascuno dei reati giudicati,
aveva già deliberato di commettere anche gli altri reati. Ne` risultava che
all’epoca egli fosse tossicodipendente.
3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore di
Raponi, per dedurre il vizio di motivazione non avendo il giudice considerato che
il condannato era stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari presso la
Comunità Terapeutica “Solidarietà”, a seguito di ordinanza cautelare emessa dal
Tribunale di Roma, da cui era evaso per due volte con il chiaro intento di
ritornare a Roma. L’unicità del disegno criminoso si ricavava dal fatto che egli si
era allontanato dalla comunità, utilizzando un veicolo della stessa, in data
8/8/2006 e 11/8/2006. D’altra parte, la condizione di tossicodipendenza del
prevenuto si ricavava dal fatto stesso che egli si trovasse in regime di arresti
domiciliari presso una comunità terapeutica.
Ha concluso quindi chiedendo l’annullamento dell’ordinanza.
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2. Il giudice riteneva che il disegno criminoso che comportava l’unificazione

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta
ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza per non aver il giudice
dell’esecuzione illustrato i fatti e reso una motivazione apparente, avulsa dalle
risultanze processuali e con asserzioni apodittiche. Non era stato nemmeno
considerato il fattore della tossicodipendenza, in contrasto con l’articolo 671
codice di procedura penale, che rientra tra gli elementi che possono incidere
sull’applicazione della disciplina del reato continuato, quando debba ritenersi che
i reati siano stati consumati in relazione a tale stato e concorrano gli ulteriori

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso, circoscritto ai fatti giudicati con le sentenze del Tribunale di
Roma 13 ottobre 2006 e del Tribunale di Gaeta 9 agosto 2006, è fondato e va
accolto per quanto di ragione.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte,
l’elemento caratterizzante l’istituto della continuazione va ravvisato nell’unicità
del disegno criminoso, inteso quale scopo unitario dei singoli reati, i quali si
presentano come realizzazione di un programma, delineato – sia pure a grandi
linee – ab initio nella mente del soggetto.
Tale originaria preordinazione dei singoli episodi criminosi va intesa, quindi,
nel senso che, da quando si commette la prima violazione, le altre siano già
deliberate, per cui le singole manifestazioni della volontà violatrice della norma o
delle norme esprimono l’attuazione, sia pur dilazionata nel tempo, di un unico
intellettivo disegno criminoso.
La prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di più benevolo
trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si
determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di
spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo la sfera psichica del
soggetto, va ricavata da indici esteriori alla condotta posta in essere, quali
l’omogeneità delle violazioni, la tipologia di reati commessi, il bene protetto, la
contiguità temporale delle condotte.
Quanto poi, in particolare, allo stato di tossicodipendenza ed alla modifica
introdotta dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, è stato chiarito che l’innovazione
legislativa deve essere interpretata alla luce della volontà del legislatore, che ha
inteso attenuare le conseguenze penali della condotta sanzionatoria nel caso di
tossicodipendenti, con la conseguenza che tale “status” può essere preso in
esame per giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che
siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano anche le altre

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elementi che rendono riconoscibile l’identità del disegno criminoso.

condizioni individuate dalla giurisprudenza per la sussistenza della continuazione
(Cass. pen., Sez. 1, 14/02/2007, n. 7190).
Ed allora, non può non rilevarsi che il giudice a quo non abbia fatto di essi
puntuale applicazione. Il giudice a quo infatti ha ben distinto la nozione di unità
del disegno criminoso, propria della disciplina di cui all’art. 81 c.p., dalla generica
inclinazione a commettere reati a ciò indotti da occasionalità ovvero da una vera
e propria scelta di vita, ma ha del tutto ignorato la disciplina novellatrice dell’art.
671 c.p., comma 1, di guisa che risulta radicalmente omessa la valutazione dello

che era certamente desumibile dalla circostanza che il condannato si trovava
sottoposto agli arresti domiciliari in una comunità terapeutica.
È ben vero che la commissione di reati si rapporta ad una scelta di vita, però
ciò non può escludere la continuazione per i fini che qui interessano, dovendosi
altrimenti privare di significato la modifica legislativa.
Ne consegue che il il ragionamento sviluppato dal giudice a quo sconta una
omissione la cui rilevanza è imposta dalla legge, e cioè la considerazione dello
stato di tossicodipendenza del richiedente.
Alla stregua- delle esposte considerazioni l’ordinanza in esame va cassata
con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame che
tenga conto dei rilievi motivazionali innanzi esposti.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al diniego della continuazionW -di
cui alle sentenze 13/10/2006 del Tribunale di Roma e 9/8/2006 del Tribunale di
Gaeta, e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

stato di tossicodipendenza fra gli elementi da utilizzare per la decisione, stato

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