Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34045 del 14/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34045 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAZZEO NUNZIO FABIO N. IL 17/06/1984
avverso l’ordinanza n. 670/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
25/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Ro-Zel.70 “Plu’eP,Co, C4D(141(ft.•

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Uditi difensor Avv.;

(’44 . C41 ‘-131

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Data Udienza: 14/03/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Messina, con ordinanza del 25 luglio 2013,
rigettava la richiesta di riesame proposta da Mazzeo Nunzio Fabio avverso
l’ordinanza del G.i.p. della sede che aveva applicato nei confronti del predetto
indagato la misura della custodia cautelare, siccome raggiunto da gravi indizi di
colpevolezza in relazione ai delitti: di rapina aggravata (capo 23) e di porto e
detenzione illegale di armi (capo 24); reati aggravati, ai sensi dell’art. 7 legge n.

anche ex art. 61 n. 2 cod. pen..
1.1 Con riferimento alle imputazioni mosse al Mazzeo, i giudici del riesame
valorizzavano, quale grave elemento di accusa, in primo luogo, le dichiarazioni
del collaboratore di giustizia Campisi Salvatore.
Secondo quanto riferito dal predetto collaboratore, infatti, l’indagato, nipote di
Nino Mazzeo detto “Piritta”, avrebbe partecipato con lui, con Crisafulli Carmelo
detto “Pistolo” e con Maio Carmelo, questi ultimi tutti gravemente indiziati come
il Campisi per partecipazione ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso
(la famiglia “dei barcellonesi”), alla consumazione di una rapina commessa il 2
luglio 2010 in danno dell’ufficio postale sito in Rodì Milici.
In particolare secondo il Campisi all’indagato, nella consumazione della rapina che fruttò un bottino di € 2500,00 destinato, con elevata probabilità, in
considerazione delle note ferree regole compartimentali imposte
dall’appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, ad agevolare le attività
dell’associazione stessa – sarebbe stato assegnato il compito di agevolare
l’ingresso dei complici nell’ufficio postale (dotato di porta di accesso apribile solo
dall’interno), nel senso che costui entrò nell’ufficio come un normale utente (a
volto scoperto) e non appena la porta elettrica di cui l’ufficio era dotato venne
aperta dall’interno, venne travolto dagli altri compici, armati e travisati, e
scaraventato a terra da uno di essi (il Maio). Disattendendo specifiche deduzioni
della difesa, i giudici del riesame ritenevano, che le dichiarazioni del Campisi,
scevre da intenti calunniatori, risultavano pienamente attendibili, avendo trovato
anche molteplici elementi di riscontro, rappresentati: (a) dalle dichiarazioni di
un’impiegata dell’ufficio postale, Trifirò Marilena, che aveva riferito come i
rapinatori si fossero effettivamente introdotti nei locali spintonando un giovane
presentatosi alla porta dell’ufficio che era stata aperta dall’interno per favorirne
l’accesso; (b) dalle immagini del sistema di video sorveglianza, che aveva
permesso di accertare che il giovane travolto dalla furia dei malviventi (che
indossava una maglietta bianca a maniche corte, bermuda, scarpe da tennis ed
un cappellino con visiera), circa quarantacinque minuti prima della rapina, era
entrato nell’ufficio postale per prelevare dei bollettini di pagamento; (c) dalla
1

203/1991, in quanto ritenuti di “chiara matrice mafiosa” e quanto alla rapina,

testimonianza di Bilardo Salvatore, brigadiere dei Carabinieri, che la mattina del
2 luglio 2010, mentre percorreva una strada comunale in direzione di Rodì Milici,
aveva notato uno scooter con a bordo tre persone, tutte travisate ed armate, e
subito dietro un’autovettura Alfa 147, con alla guida una persona con il volto
coperto da passamontagna, dichiarazione questa che confermava il narrato del
collaboratore, secondo cui mentre egli, unitamente al Maio ed al Crisafulli si era
dato alla fuga su di uno un motorino rubato, il Mazzeo, si era invece allontanato
con la propria autovettura; (d) dall’accertata disponibilità da parte dell’indagato

questa desumibile dai numerosi controlli di polizia subiti dall’indagato, trovato in
un’occasione, in compagnia del Campisi; (e) il ritrovamento presso l’abitazione
dell’indagato, di una maglietta e di un cappellino del tutto identici a quelli
indossati dal soggetto ripreso dalle telecamere dell’ufficio postale.
Quanto poi alle esigenze cautelari, i giudici del riesame, premessa l’operatività
nel caso in esame della presunzione di esclusiva adeguatezza di cui all’art. 275
comma 3 cod. proc. pen., tenuto conto del dictum della sentenza n. 57 del
2013 , ritenevano in effetti insussistenti elementi positivi da valorizzare per poter
superare detta presunzione, osservando, in particolare, con specifico riferimento
alla contestata adeguatezza della misura applicata, che il pericolo di reiterazione
di reati non poteva ritenersi fronteggiabile attraverso la misura degli arresti
domiciliari, la cui efficacia è rimessa alla volontà discrezionale degli interessati di
conformarsi alle relative prescrizioni, deponendo in tal senso, la “deprecabilità”
delle azioni contestate, le modalità particolarmente spregiudicate della condotta;
l’accertata vicinanza a soggetti di elevata caratura criminale quali il Campísi.
2. Il difensore dell’indagato, avvocato Tindaro Celi, ha proposto ricorso per
cassazione avverso detta ordinanza, prospettando tre motivi d’impugnazione.
2.1 Con il primo motivo, si contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del
vizio di motivazione, l’affermazione dei giudici del riesame in merito alla
sussistenza di un grave quadro indiziario a carico del Mazzeo, evidenziando, al
riguardo: (a) che la chiamata in correità proveniente dal collaboratore Campisi
risulta priva di riscontro, dal momento che nel presente giudizio non è stata
svolta alcuna attività istruttoria (ricognizione personale; riconoscimento
fotografico) che consenta di ritenere che l’indagato fosse presente all’interno
dell’ufficio postale, rappresentando tale circostanza solo una congettura; (b) che
anche la deposizione del teste Belardo, non può considerarsi un adeguato
riscontro alla chiamata in correità, ove si consideri che l’auto Alfa 147 di
proprietà dalla madre dell’indagato risulta acquistata nel 2011, in epoca
successiva alla consumazione della rapina.
2.2 Con il secondo motivo si censura, invece, sotto il profilo della violazione di
legge e del vizio motivazionale, la ritenuta configurabilabilità dell’aggravante ex
2

di un’autovettura Alfa Romeo 147, seppure intestata alla madre, circostanza

art. 7 legge n. 203/1991, incongruamente affermata, tenuto conto che
all’indagato non risulta contestata l’appartenenza ad alcun sodalizio mafioso e
che la destinazione del provento della rapina alla presenta consorteria mafiosa è
ritenuta dagli stessi giudici del riesame una mera probabilità.
2.3 Con il terzo motivo si censura, infine, la ritenuta sussistenza di esigenze
cautelari, evidenziando che l’indagato è incensurato e non ha altri procedimenti
penali a carico; che i fatti risalgono a tre anni prima dell’arresto, e che in tale
ampio lasso di tempo l’indagato non ha commesso altri reati, sicché deve

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Mazzeo Nunzio Fabio non può trovare
accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
1.1 Il Tribunale ha adeguatamente motivato sulle ragioni che militano per un
giudizio di complessiva attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal
collaboratore di giustizia Campisi, le quali hanno significativamente integrato il
materiale di gravità indiziaria in danno del ricorrente, relativamente ai delitti a lui
contestati.
Ha proceduto, con criterio di logica coerenza, ad una positiva verifica di
attendibilità soggettiva delle suddette dichiarazioni, motivatamente escludendo,
anche in applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte, qualsiasi
apprezzabile “inquinamento del narrato” ovvero l’assenza di elementi che
disvelassero il carattere artificioso e precostituito delle stesse, evidenziando, tra
l’altro, come le dichiarazioni del predetto collaboratore di giustizia aveva già
costituito la rilevante fonte di prova nell’ambito dei procedimenti cautelari
promossi nei confronti di numerosi affiliati.
1.2 II Tribunale poi, anche attraverso il legittimo ricorso alla tecnica della
motivazione per relationem,

richiamando il provvedimento applicativo della

misura cautelare, ha preso in esame specificamente le suddette dichiarazioni del
Campisi, evidenziando come le stesse si sono connotate per sufficiente
precisione, coerenza, costanza e spontaneità ed hanno trovato significativi,
rilevanti riscontri, con riferimento alle peculiari modalità di esecuzione della
rapina (deposizione di Trifirò Marilena) con riferimento all’utilizzazione per la
fuga di un’auto Alfa 147, il ritrovamento presso l’imputato di abiti identici a quelli
utilizzati per commettere la rapina.
1.3 In presenza di un apparato motivazionale logico e coerente, tutte le
argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, invero prive di specificità e
adeguati riscontri, secondo cui le dichiarazioni del Campisi, sarebbero
scarsamente attendibili e prive di adeguati riscontri, lungi dal segnalare effettivi
3

ritenersi insussistente un effettivo pericolo di reiterazione della condotta.

profili di illegittimità dell’ordinanza impugnata, si risolvono sostanzialmente in
una sollecitazione a compiere una rilettura delle risultanze processuali in senso
più favorevole agli indagati.
Di talché, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul
grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa
degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di
certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata
supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può

ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza,
prescritti dall’art. 273 cod. proc. pen. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi
della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle
valutazioni riservate al giudice di merito.
Quanto, infine alla sussistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale ha
confermato la necessità di disporre la misura di massimo rigore, ritenendo
inidonee misure cautelari meno afflittive malgrado la dedotta incensuratezza,
oltre che per la persistente operatività della presunzione ex art. 275 comma 3
cod. proc. pen. in assenza di ulteriori elementi positivi da valorizzare, anche in
ragione del pericolo di reiterazione di gravi reati, in considerazione della estrema
gravità del reato contestato, della condotta particolarmente spregiudicata posta
in essere e dell’accertata sua vicinanza a soggetti di elevata caratura criminale.
La denuncia di mancanza di motivazione è quindi infondata. Le diverse
valutazioni espresse dal ricorrente circa l’asserita insussistenza di esigenze
cautelari integrano invero censure di merito, non ammesse nel giudizio di
legittimità.
2. In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso
deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp.
att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
cessuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
ettore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.,
ma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2014.

non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità

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