Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34041 del 14/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34041 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ABATE GIOVANNI N. IL 29/05/1952
avverso l’ordinanza n. 138/2013 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
18/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
letteigcattte le conclusioni del PG Dott. eda y,zLeih,
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 14/03/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 18 aprile 2013 la Corte di appello di Venezia, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza proposta da Abate Giovanni, diretta a far dichiarare «l’invalidità, inefficienza e non esecutività» della sentenza emessa nei suoi confronti dall’adita Corte territoriale il 17
giugno 1998 e divenuta irrevocabile il 2 marzo 1999; sentenza che, riformando parzialmente quella di primo grado relativamente al trattamento sanzionatorio, lo aveva

ideologico, con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
1.1 II giudice dell’esecuzione, nel premettere che l’istanza dell’Abate – sintetizzandone il contenuto, ritenuto di non facile comprensione – era basata essenzialmente sulle seguenti deduzioni: (a) che il predetto, successivamente alla deliberazione della citata sentenza di condanna era stato sottoposto ad un nuovo procedimento penale per calunnia ai danni del PM di Treviso; (b) che tale processo – svoltosi dinanzi all’autorità giudiziaria di Trieste – si era concluso con sentenza di assoluzione dell’Abate; (c) che nel corso di tale processo sarebbe stata accertata la falsità
di una serie di atti, senza tuttavia che a tale accertamento seguisse una formale declaratoria di falsità degli stessi; (d) che proposta dall’Abate, ex art. 537 cod. proc.
pen., una prima istanza diretta ad ottenere una declaratoria di falsità ditali atti, la
stessa era stata dichiarata inammissibile; (e) che riproposta una seconda istanza in
tal senso (con rappresentazione di argomenti nuovi e diversi) anche questa era stata dichiarata inammissibile; (f) che proposta tempestiva impugnazione dall’Abate
avverso tale ultimo provvedimento, lo stesso era stato annullato senza rinvio dalla
Corte di cassazione, con sentenza deliberata il 4 aprile 2012; (g) che avendo tale
pronuncia definitivamente sancito la falsità degli atti, la cui espressa declaratoria di
falsità era stata omessa dalla Corte di appello di Trieste, e fondandosi la sentenza di
condanna emessa dalla Corte di appello di Venezia il 17 giugno 1998 proprio sui
predetti documenti, la condanna doveva essere senz’altro revocata ai sensi dell’art.
670 cod. proc. pen.; la rigettava, evidenziando che la stessa sì fondava su di un errato presupposto: quello secondo cui, per effetto della sentenza della Corte di Cassazione in data 4 aprile 2012, «sia ormai definitivamente accertata e non più in discussione la falsità di tali atti e la sua omessa dichiarazione da parte dei giudici dei
processi di cognizione». In realtà la Corte di cassazione – sostiene il giudice di esecuzione – si sarebbe limitata ad annullare il decreto del giudice dell’esecuzione triestino, emesso de plano, rilevando che non sussistevano le condizioni per tale tipo di
decisione, in quanto la nuova istanza era fondata anche su circostanze non valutate

condannato alla pena di giustizia, siccome colpevole dei reati di peculato e falso

nella prima decisione, e di conseguenza aveva disposto la trasmissione degli atti al
Tribunale di Trieste, per un nuovo esame dell’istanza dell’Abate nel contraddittorio
delle parti.
Sotto altro profilo la Corte territoriale rilevava che l’assunto difensivo secondo
cui la pretesa falsità di alcuni documenti si rifletterebbe sulla legittimità della sua
condanna per peculato e falso ideologico, ove pure, in tesi fondata, integrerebbe
una questione non deducibile in sede esecutiva ex art. 670 cod. proc. pen., ma
semmai attraverso istanza di revisione, da proporre ai sensi dell’art. 630, lettera d)

2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione l’Abate,
personalmente, chiedendone, l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione (manifesta illogicità).
In particolare nel ricorso, ripercorsi i diversi snodi della complessa vicenda processuale, si deduce: a) l’erroneità dell’assunto del giudice dell’esecuzione, secondo
cui la sentenza di annullamento senza rinvio emessa dalla Corte di cassazione non
avrebbe anche accertato la falsità di alcuni atti del procedimento penale a suo carico
(in particolare la falsità della data di “chiusura” del verbale di querela sporta nei suoi
confronti ed all’origine del procedimento penale conclusosi con la sua condanna per
peculato e falso ideologico), determinato da un’interpretazione dell’art. 620 cod.
proc. pen. assolutamente incongrua e stravagante, tale da determinare il carattere
abnorme del provvedimento impugnato; b) che del tutto incongruo ed illogico deve
ritenersi, altresì, il passaggio motivazionale in cui si equipara la falsità in atti giudiziari a vizi in procedendo non deducibili in sede esecutiva, così come l’assunto, reputato anch’esso contraddittorio ed illogico, secondo cui l’accertata falsità costituirebbe
un motivo di revisione della sentenza di condanna, senza considerare, per altro, che
in tale eventualità, l’adita Corte territoriale, invece di dichiarare inammissibile l’incidente di esecuzione proposto ex art. 670 cod. proc. pen., sarebbe stata obbligata a
qualificare lo stesso come richiesta di revisione e rimettere gli atti al giudice ritenuto
competente.
3. Con memoria depositata in data 6 marzo 2014, il difensore dell’Abate, in replica alla requisitoria del Procuratore Generale presso questa Corte – il quale aveva
richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, in forza della preliminare considerazione che i fatti sopravvenuti al passaggio in giudicato della sentenza idonei a costituire prova influente in termini decisivi sull’esito del giudizio non possono che essere dedotti ricorrendo al parametro normativo individuato nella lettera d) dell’articolo 630 codice di procedura penale, secondo il quale “la revisione può essere richiesta se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità

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cod. proc. pen..

in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato” – ha ribadito
l’ammissibilità e fondatezza dell’incidente di esecuzione, in quanto unico appropriato rimedio utilizzabile per sollevare la questione dell’irrevocabilità della sentenza di
condanna, basata su documenti di accertata falsità.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta dall’Abate è inammissibile.

zioni, infatti, lungi dal segnalare effettivi profili di illegittimità del provvedimento impugnato, si risolvono, invero, nella sostanziale riproposizione in questa sede delle
stesse deduzioni già fondatamente ritenute irricevibili dal giudice dell’esecuzione e
ripropongono, soprattutto, l’infondata tesi secondo cui la sentenza di annullamento
senza rinvio pronunciato da questa Corte in data 4 aprile 2012, avrebbe accertato,
in via definitiva ed ormai irrevocabile, la falsità dei documenti su cui si sarebbe fondata la condanna dell’Abate, la cui esecuzione, andava, pertanto, quanto meno sospesa dall’adito giudice dell’esecuzione.
1.2 Al riguardo è appena il caso di rilevare, invero, che le prospettazioni svolte
nel presente giudizio dall’Abate e dal suo difensore in argomento, sono state già ritenute infondate da questa stessa Corte con la sentenza n. 20237 del 22/04/2013 dep. 10/05/2013, Abate, Rv. 256175, nella quale risulta diffusamente stigmatizzata
“la portata dell’intervento precedente di questa corte” ed è stato affermato il principio secondo cui «la dichiarazione della falsità di atti o documenti, omessa nella sentenza divenuta irrevocabile, può essere pronunciata in sede di incidente di esecuzione, a condizione che l’accertamento della falsità risulti dal testo della stessa sentenza».
Nessun profilo di abnormità è quindi ravvisabile nel provvedimento impugnato,
in quanto i giudici dell’esecuzione, accertata l’insussistenza di un positivo accertamento della falsità di alcuni atti del procedimento conclusosi con la condanna dell’Abate, hanno ritenuto preclusa la possibilità di dichiarare, in via temporanea o definitiva, la non esecutività della sentenza di condanna di cui trattasi, suscettibile al più
di essere sottoposta a revisione, ben inteso in caso di acclarata falsità di atti; in assenza della quale, non è neppure utilmente prospettabile, evidentemente, una riqualificazione dell’istanza proposta, che peraltro, anche in questa sede, l’Abate ed il
suo difensore, ritengono di dover mantenere ferma.
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero

1.1 Le argomentazioni prospettate dal ricorrente, nelle loro poliformi articola-

- al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in C 1000,00.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2014.

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