Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34038 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34038 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

Data Udienza: 11/06/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROMANO DAVIDE N. IL 09/05/1980
avverso la sentenza n. 6757/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
09/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore G5nerale in ersona del Dott. DSG2,‘
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che ha concluso per 9
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Ritenuto in fatto

1.Con sentenza deliberata il 9 aprile 2013 la Corte di Appello di Milano,
investita dell’appello dell’imputato Davide Romano, riformava parzialmente la
sentenza dei Tribunale di Busto Arsizio dei 21 giugno 2012, che confermava nei
resto, e riduceva ad anni dodici e mesi due di reclusione la pena già inflittagli in
quanto ritenuto responsabile dei delitti di tentato omicidio in danno dell’assistente

illegale di arma da fuoco clandestina, commessi in Busto Arsizio il gennaio 2011.
1.1 Dalla ricostruzione in punto di fatto della vicenda giudicata, operata in
modo conforme dalle due sentenze di merito sulla scorta della narrazione effettuata
dalla parte lesa, delle dichiarazioni del suo collega Di Leo e degli accertamenti
sull’arma in sequestro, emergeva quanto segue. La notte del 10 gennaio 2011 una
pattuglia della Polizia di Stato, inviata nella zona del cimitero di Busto Arsizio per la
segnalata presenza di un’autovettura che in modo sospetto si aggirava a fari spenti
con due individui travisati a bordo, aveva individuato il veicolo e visto sbucare da
un cespuglio nei pressi due soggetti, dei quali uno, identificato in Umberto Izzo, si
era immediatamente fermato, l’altro, individuato grazie ad una fotografia rinvenuta
all’interno del veicolo predetto, di cui era il proprietario, in Davide Romano, si era
dato alla fuga per i campi ed era stato inseguito, dapprima dall’agente Di Leo a
piedi, quindi dai due operanti a bordo del veicolo d’istituto. Giunti a distanza più
ravvicinata, l’assistente Rosanna aveva proseguito l’inseguimento da solo a piedi e
nel corso dell’operazione, quando si era trovato alla distanza di 20-25 metri, aveva
notato l’imputato fermarsi, girarsi nella sua direzione e sparare un colpo di arma da
fuoco, percepito dalla fiammata a forma circolare, resa visibile dall’oscurità
notturna; il Rosanna aveva quindi risposto al fuoco, dapprima sparando verso il
basso a scopo intimidatorio, ma il fuggitivo aveva proseguito la corsa in diagonale
nel campo ed aveva a sua volta esploso altri due colpi in direzione dell’inseguitore,

della Polizia di Stato Ivano Rosanna, di resistenza a pubblico ufficiale e di porto

il quale aveva risposto nuovamente, questa volta alzando un poco il tiro. Quando
l’imputato aveva scavalcato una rete metallica ed un muretto aveva perduto nel
movimento un oggetto che era caduto a terra, recuperato dall’assistente Rosanna e
risultato essere una pistola semiautomatica clandestina ed inceppata, perché
rinvenuta con il carrello aperto e due proiettili incastrati.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
a mezzo del suo difensore, il quale ha articolato i seguenti motivi.
a) Inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione quanto al giudizio di responsabilità in ordine ai
reati di cui ai capi A) e B) della rubrica. In particolare, ha dedotto:

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-la Corte di Appello, nel confermare la colpevolezza dell’imputato sulla scorta della
testimonianza dell’assistente Rosanna, ritenuta riscontrata dalle altre emergenze
probatorie, era incorsa in plurimi profili di illogicità e contraddittorietà, non potendo
ritenersi confermato l’utilizzo dell’arma contro l’operatore di polizia per il fatto che
egli avesse detenuto la pistola, fatto comunque controverso, così come costituiva
un dato neutro la circostanza che il ricorrente avesse riportato una ferita di arma da
fuoco dopo essere stato colpito dal Rosanna, perché compatibile anche con una

-Era parimenti illogica la motivazione sul punto del mancato ritrovamento dei
bossoli asseritamente esplosi dall’imputato, circostanza giustificata con la possibilità
del loro sprofondamento nel terreno dovuto alla perlustrazione del giorno
successivo, in quanto: a) si era trattato di un’accurata ricerca svolta da personale
specializzato e con l’impiego di cani addestrati nel reperimento di esplosivi, il che
esclude un’indagine approssimativa e non professionale; b) nessuna risultanza
probatoria avvalora l’ipotesi del conficcamento nel terreno; c) anche se si fossero
conficcati nel suolo ghiacciato, ciò non avrebbe impedito il loro ritrovamento per
essere rimasti in superficie, stante il permanere del congelamento del terreno.
-La ritenuta conferma della versione fornita dai Rosanna da parte della
testimonianza del Di Leo non aveva tenuto conto del fatto che costui aveva riferito
di aver percepito tre spari, in numero corrispondente ai colpi esplosi dal Rosanna,
mentre era apodittico ed illogico sostenere che non avrebbe udito altri spari perché
allontanatosi a bordo della vettura di servizio, conclusione che non spiega la
mancata percezione e non considera la massima di esperienza, secondo la quale nel
silenzio notturno in zona isolata è più agevole sentire i rumori, specie se si tratti di
esplosioni. Inoltre, non si era tenuto presente che, stante la situazione in sé
pericolosa, egli doveva certamente aver rivolto la sua attenzione a quanto stava
accadendo e che la sua testimonianza era compatibile anche con la tesi difensiva
dello sparo di tre colpi soltanto da parte dell’agente di polizia. La ricostruzione
fattuale esposta nella sentenza impugnata ignorava la singolare convergenza del
mancato ritrovamento dei bossoli, sparati dall’arma detenuta dall’imputato e dei
contenuti della deposizione del Di Leo, in sé significativa della mancata esplosione
di colpi da parte del ricorrente.
-La valutazione della circostanza dell’inceppamento

dell’arma nel possesso del

ricorrente era avvenuta in modo illogico perché l’alternativa postulata dalla
sentenza del malfunzionamento della pistola durante la sparatoria, oppure prima di
poterla realizzare introduceva un elemento di incertezza e di perplessità nella
ricostruzione dei fatti, rendendo illogica la conferma del giudizio di responsabilità.
b) Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 56 e 575 cod. pen. e mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: l’affermazione della
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sparatoria attuata per primo dall’inseguitore.

colpevolezza dell’imputato in ordine al tentato omicidio non era supportata da
esplicita e logica motivazione in punto di univocità degli atti a cagionare la morte.
La riferita direzione del colpo di pistola, sparato dal ricorrente contro l’inseguitore,
desunta dalla forma circolare della fiammata, era compromessa nella sua veridicità
dai seguenti elementi: a) il Rosanna non aveva potuto descrivere se il Romano
avesse azionato l’arma col braccio disteso e dopo aver mirato; b) la distanza in quel
momento tra i due era di circa 20-25 metri; c) a tale distanza anche lo

non incide sulla visione della fiammata che sarebbe sempre rimasta circolare, pur
essendo destinato il proiettile a passare molto al di sotto del bersaglio, oppure ad
impattare col terreno, secondo quanto affermato anche dallo stesso Rosanna. La
tematica dell’idoneità ed univocità degli atti non era stata affrontata per l’ipotesi,
pure ammessa dalla Corte di merito, che l’inceppamento si fosse verificato prima di
esplodere alcun colpo, il che avrebbe dovuto escludere la configurabilità del
tentativo, anche per l’omessa verifica dell’esposizione della vita dell’agente ad un
concreto pericolo.
c) Inosservanza o erronea applicazione delle norme di cui agli artt. 43, 56, 575 cod.
pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: la
sentenza impugnata aveva affermato che l’imputato avrebbe agito anche a costo di
produrre l’evento letale con la propria azione in tal modo affermando la sussistenza
del dolo eventuale, incompatibile col tentativo, mentre gli elementi fattuali acquisiti
non consentivano di ritenere che il Romano avesse agito con dolo diretto ossia con
la rappresentazione dell’elevata probabilità di colpire il bersaglio, il che era tanto
più vero nel caso in cui l’inceppamento si fosse verificato prima di esplodere i colpi.
d) Inosservanza degli artt. 192, 178 lett. c), 360 cod. proc. pen. e vizio di
motivazione: la Corte di Appello aveva sbrigativamente affermato l’attendibilità
della testimonianza dell’assistente Rosanna, sebbene fosse emersa la possibilità che
il Romano non avesse esploso alcun colpo di arma da fuoco a causa
dell’inceppamento dell’arma detenuta, il che avrebbe dovuto sollevare dubbi
sull’attendibilità del teste, interessato a sostenere la tesi accusatoria per essere
stato lui a sparare tre colpi all’indirizzo del Romano, onde avvalorare le invocate
scriminanti del legittimo uso delle armi e della legittima difesa, così come risultava
dubbia l’effettiva perdita dell’arma da parte del fuggitivo. Inoltre, in

ordine alla

perizia sull’arma in sequestro, nel respingere le eccezioni di nullità riguardanti
l’attività di campionamento delle tracce biologiche e gli accertamenti peritati di
comparazione tra le stesse ed il dna dell’imputato, la Corte di Appello non aveva
considerato che il P.M. aveva conferito delega alla polizia giudiziaria per lo
svolgimento di accertamenti irripetibili senza il rispetto delle formalità e delle
garanzie prescritte dall’art. 360 cod. proc. pen.. Inoltre, l’attività di estrazione del
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spostamento per pochi millimetri verso l’alto o il basso della canna di arma corta

dna non costituiva un mero rilievo tecnico, ma comportava il compimento di
funzioni valutative, che avrebbero richiesto il rispetto delle garanzie difensive,
omettibili soltanto se in fase di indagini preliminari si proceda a carico di ignoti.
e) Inosservanza degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione in punto di determinazione della pena,
comminata in misura così severa nonostante l’imputato avesse agito con la forma
meno grave di dolo e non per conseguire l’impunità dopo la commissione di altro

3. Con memoria depositata il 26 maggio 2014 la difesa del ricorrente ha
ulteriormente dedotto in ordine all’illogicità della motivazione della sentenza
gravata in quanto tutte le emergenze processuali erano state lette nell’ottica di
ricercare conferme alla deposizione dell’ass. Rosanna; al contrario, la perdita
dell’arma durante la fuga non stava a significare che la stessa fosse stata brandita
contro l’agente di polizia perché avrebbe potuto anche essere scivolata dalla giacca
o dai pantaloni, così come l’essere stata brandita non comportava il suo effettivo
utilizzo e nulla indicava sulle finalità del suo uso, se a scopo offensivo, oppure
intimidatorio. Inoltre, con inaccettabile inversione dell’onere della prova la Corte di
Appello aveva rilevato che S’imputato non aveva fornito versioni alternative alla
ricostruzione dei fatti, operata dall’accusa, mentre sarebbe stato compito
dell’accusa verificare la possibile fondatezza di un diverso svolgimento dei fatti

rispetto a quanto riferito dal Rossana.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti in seguito specificati.
1.Per ragioni di ordine logico, prima ancora che giuridico, ritiene questa Corte
di dover esaminare in via prioritaria il quarto motivo di ricorso, col quale è stata
ribadita dalla difesa l’eccezione di nullità delle operazioni di acquisizione dall’arma in
sequestro e dal guanto di colore nero di tracce organiche,

successivamente

utilizzate per la comparazione col materiale biologico prelevato all’imputato.
Assume la difesa che anche tale attività implicherebbe operazioni di valutazione e
non funzioni meramente esecutive, sicchè avrebbe richiesto l’attivazione delle
garanzie difensive di cui all’art. 360 cod. proc. pen.. Ad avviso di questa Corte , la
soluzione contraria, offerta da entrambe le sentenze di merito, è giuridicamente
corretta, aderente all’orientamento interpretativo più recente della giurisprudenza
di questa Corte e giustificata con una pluralità di argomenti, non tutti contrastati
dal ricorrente.
1.1 In primo luogo, va richiamata la distinzione, propria della giurisprudenza
di legittimità (Cass. sez. 6, n. 10350 del 6/2/2013, Granella, rv. 254589; sez.
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grave reato e senza tener conto delle particolari condizioni economico-sociali.

2087 del 10/01/2012, Bardhaj e altri, rv. 251775; sez. 2, n. 34149 del 10/7/2009,
Chiesa ed altri, rv. 244950; sez. 1, nr. 14852 del 31/1/2007, Piras ed altri, rv.
237359) tra rilievi ed accertamenti, consistendo i primi nell’attività esecutiva di
raccolta di dati pertinenti al reato, i secondi nel loro studio e nella loro valutazione
secondo criteri tecnico – scientifici; soltanto rispetto a questi ultimi viene in rilievo
e va apprezzato il requisito dell’irripetibilità, sia in quanto effettuati su oggetti
suscettibili di modificazione, sia perché determinanti la distruzione del reperto,

Nel caso in esame l’eccezione di nullità investe soltanto le operazioni di
estrazione del profilo genetico dal materiale organico rilevato sull’arma sequestrata,
attività richiedente cognizioni specifiche, ma esecutive e quindi non identificabile
nell’accertamento tecnico irripetibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. pen..
1.2 Oltre ai superiori rilievi, i giudici di merito hanno fondatamente escluso
ogni ipotesi di irripetibilità e quindi di nullità per violazione delle prescrizioni
imposte dall’art. 360 citato, in ragione della possibilità materiale, consentita al
perito nominato dal Tribunale con tutte le possibili garanzie difensive, di analizzare
“quanto residuato al termine delle analisi effettuate dalla polizia scientifica”, ossia di
esaminare il materiale biologico campionato, non esaurito o andato distrutto all’atto
dell’effettuazione dell’accertamento tecnico compiuto nel corso delle indagini
preliminari, qualificato dunque come ripetibile.
1.3 La Corte di Appello ha poi ulteriormente osservato che l’attività di
estrazione del profilo biologico dall’arma e dal guanto recuperati lungo il percorso di
fuga dell’imputato era stato condotta previo avviso alla difesa dell’imputato della
data di effettuazione dell’attività e previo suo differimento per consentire ad un
consulente dell’indagato di potervi presenziare; in tal modo era stato garantito
l’esercizio dei diritti difensivi, tant’è che anche il Tribunale aveva disposto
l’accertamento peritale senza ritenere compromessa la validità ed utilizzabilità del
pregresso campionamento. Inoltre, ha anche escluso l’avvenuta alterazione dei
campioni per effetto dei precedenti esperimenti balistici con il conseguente
maneggiamento dell’arma da parte di soggetti diversi dall’imputato: tale possibilità
è stata negata dal perito, secondo il quale il materiale biologico acquisito era
sufficiente all’espletamento dell’incarico e, pur avendo rilevato la presenza minima
di profili genetici di altri

individui, ha comunque

concluso per la certa

corrispondenza del dna estratto dai campioni e di quello del Romano. A fronte di tali
rilievi, di ineccepibile puntualità e pertinenza al tema dibattuto, la difesa ha
lamentato presunte violazioni delle prerogative dell’imputato, ma senza specificarne
la consistenza e la portata, né indicare in modo dettagliato le facoltà non potute
esercitare e la loro incidenza eventuale sull’esito conclusivo dell’indagine tecnica.

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impedendo in ogni caso la ripetizione futura dell’indagine.

Deve dunque escludersi la fondatezza dell’eccezione difensiva e ritenere
correttamente valutato il dato informativo relativo alla certa disponibilità dell’arma
da parte dell’imputato nel corso dell’episodio, dal quale sono scaturiti gli addebiti in
contestazione: la convergenza dimostrativa della deposizione del teste Rosanna, confermata da quella del collega Di Leo, al quale era stata mostrata la pistola subito
dopo il rinvenimento nel punto nel quale il Romano era sfuggito all’inseguimento,
scavalcando una recinzione ed un muretto e lasciando cadere al suolo un oggetto,

dirimente sull’effettiva commissione dei reati di detenzione e porto in luogo
pubblico di arma clandestina, come contestato al capo D), per i quali il giudizio di
responsabilità non è stato nemmeno oggetto di critica specifica da parte del
ricorrente.
2. Assume rilievo preliminare anche la censura che muove obiezioni al giudizio
di attendibilità espresso dai giudici di merito in riferimento alla testimonianza
dell’assistente della P.d.S. Ivano Rosanna. Sul punto, la sentenza in verifica ha
confermato la piena credibilità del teste anche in considerazione del fatto che la
difesa con i motivi di appello non aveva formulato specifiche censure al riguardo,
che ha mosso piuttosto col quarto motivo di ricorso in modo tardivo e non
ammissibile; la Corte di merito ha comunque indicato in modo analitico gli elementi
di parziale riscontro alla narrazione del principale

teste d’accusa,

forniti

dall’istruttoria dibattimentale, avendo evidenziato che:
– l’inseguimento del Romano lungo il campo ha trovato conferma nella testimonianza
del Di Leo e nel ritrovamento alle ore 04.30 lungo il percorso seguito dal fuggitivo
del guanto sinistro, recante le sue tracce biologiche;
– tale azione era avvenuta perché l’operatore di polizia lo aveva osservato e seguito
a contatto visivo mentre si era allontanato sino ad averlo attinto con un colpo della
pistola d’ordinanza ad una gamba, cagionandogli la ferita da arma da fuoco,
constatata come recente ed ancora sanguinante quando alle ore 07.00 del mattino,
quindi a poche ore dall’inseguimento, il Romano era stato rinvenuto presso la sua
abitazione senza essersi recato presso un presidio sanitario per ricevere le cure
necessarie, che aveva cercato di darsi da sé, al fine appunto di non rivelare
l’occorso e quindi di offrire elementi autoindizianti su quanto accaduto quella notte.

Romano aveva certamente con sé una pistola, che aveva tenuto in mano, come

desumibile da due circostanze: l’arma all’atto del rinvenimento in corrispondenza
del luogo si era presentata inceppata per quanto rivelato anche visivamente
all’apertura del carrello dalla presenza di due proiettili incastrati, il che indica il suo
azionamento perché diversamente, se già in precedenza non funzionante, non
sarebbe stata portata in quel contesto in quanto inservibile e pericolosa. Inoltre,
soltanto l’azione esercitata dal suo detentore sul grilletto nell’atto di sparare aveva
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recuperato dal suo inseguitore-, e degli accertamenti peritali offre certezza

consentito di rilevare la presenza di tracce biologiche -presenti anche sulle
guanciole destra e sinistra- univocamente riconducibili alla sua persona ed
all’utilizzo dell’arma. Tali emergenze consentono di escludere che la pistola fosse
soltanto detenuta all’interno delle tasche degli indumenti dell’imputato e fosse
scivolata accidentalmente nel corso della fuga, ma dimostrano con ragionevole
certezza che egli l’aveva brandita ed aveva quanto meno cercato di farne uso
nell’azione di sparo contro inseguitore.

dell’autovettura di servizio, dopo l’inizio dell’inseguimento operato dal collega aveva
avvertito, dapprima un colpo di pistola, quindi a breve distanza altri due colpi,
mentre in seguito si era allontanato dal luogo per riportarsi nei pressi
dell’autovettura del Romano, al fine dichiarato di impedirne la fuga col veicolo,
senza però avere percepito altre esplosioni.
2.1 Oltre ad aver valorizzato tali parziali riscontri, i giudici di appello hanno
fatto ricorso ad argomenti logici, laddove hanno osservato che la testimonianza del
Rosanna era suffragata dall’evoluzione dell’episodio e che la sua condotta non
avrebbe avuto alcun senso, se non nel contesto degli avvenimenti dallo stesso
descritti: in particolare, la ricerca dell’oggetto caduto al fuggitivo era avvenuta
soltanto perché tale particolare era stato effettivamente visto nel momento in cui
questi aveva scavalcato la

metallica e quindi rallentato la fuga,

recinzione

consentendo all’inseguitore di avvicinarsi maggiormente alla sua persona; subito
dopo il rinvenimento l’arma era stata mostrata al Di Leo; parimenti, la ricerca dei
bossoli, condotta immediatamente dopo la riferita sparatoria e proseguita il mattino
seguente mediante anche unità cinofile addestrate al ritrovamento di esplosivi era
avvenuta soltanto perché finalizzata a rinvenire i bossoli degli spari dell’imputato,
essendo certi i colpi, ed il loro numero, esplosi dal Rossana. Tanto evidenzia la
spontaneità, l’immediatezza e la genuinità del racconto reso dal teste, consentendo
di escluderne la riconducibilità ad una strategia postuma, diretta a creare i
presupposti di fatto per beneficiare di qualche scriminante per le lesioni cagionate
all’imputato, che sarebbero state scoperte soltanto alle ore 7.00 dopo i
comportamenti sopra descritti.
2.2 La Corte di merito ha anche replicato efficacemente, in modo logico e
coerente con i dati probatori acquisiti alle obiezioni che la difesa ripropone col

ricorso.
2.2.1 Ha rilevato che il possesso dell’arma da parte dell’imputato in fuga,
effettivamente dimostrato, offriva conferma anche della concreta possibilità che lo
stesso ne avesse fatto uso contro l’operatore di polizia per rallentarne o comunque
ostacolarne l’inseguimento ed impedirgli di raggiungerlo, secondo il racconto
fattone dal Rosanna; non si tratta di un dato neutro, ma di un elemento oggettivo
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-La testimonianza resa dal Di Leo attesta che costui, rimasto nei pressi

che riscontra il teste d’accusa e dà conto in modo plausibile delle ragioni della fuga
e della volontà di sottrarsi al controllo. Sul punto, non ha pregio l’obiezione della
difesa sulla mancata commissione di reati di tale gravità da giustificare quella
condotta: al contrario, non soltanto il Romano era in possesso di arma clandestina,
della cui illiceità era perfettamente consapevole, motivo in sé sufficiente per voler
evitare le conseguenti responsabilità, ma non è dato conoscere in quale attività egli
fosse stato impegnato in precedenza e cosa avesse realmente portato sulla sua

quale si era accompagnato, quell’Izzo che alla vista degli agenti di polizia si era
fermato e sottoposto senza reazioni al controllo, l’essere riuscito in quel frangente a
sfuggire all’inseguimento gli aveva consentito di dileguarsi e quindi di sbarazzarsi di
eventuali oggetti compromettenti. Inoltre, anche il ferimento riportato dal Romano
avvalora in modo oggettivo la narrazione del Rosanna, che ha effettivamente e
lealmente riferito di avere esploso più colpi con l’arma di ordinanza ed il secondo
dopo avere alzato un poco il tiro contro il bersaglio in movimento.
2.2.2 Non è affatto illogica la motivazione in riferimento alla circostanza del
mancato rinvenimento dei bossoli esplosi dall’arma detenuta dal ricorrente;
entrambe le sentenze di merito hanno osservato al riguardo che tali oggetti
avrebbero potuto essere sfuggiti alle ricerche perché penetrati nel terreno, -reso
fangoso dal rialzo della temperatura verso mattina e comunque non ghiacciato
nemmeno nel corso della notte in modo tale da essere reso una lastra di ghiaccio
unica, uniforme ed impenetrabile-, anche a causa del passaggio di quattro-cinque
componenti della squadra addetta alle ricerche e dei cani. Tale valutazione non è
affatto irrazionale o apodittica, ma è stata giustificata dal Tribunale alla luce dei
rilievi fotografici del luogo, evidenzianti il materiale sassoso presente e dalla Corte
di Appello anche in considerazione della deposizione del teste Piazza e della sua
descrizione della consistenza fangosa del suolo, oltre che dell’insufficienza del
ricorso alle unità cinofile. Le obiezioni difensive, che si appuntano su massime di
esperienza in ordine alla persistenza del ghiaccio nelle prime ore della mattina
ignorano i dati di fatto considerati dai giudici di merito e riferiti alla concreta
situazione riscontrata, documentata dalle prove acquisite, testimoniali e
fotografiche.
2.2.3 Altrettanto destituite di fondamento sono le contestazioni che
riguardano la valutazione della deposizione del Di Leo: assume la difesa che costui,
per avere riferito di aver udito almeno tre colpi di arma da fuoco, avrebbe percepito
soltanto quelli esplosi dal collega Rosanna, non i tre sparati dall’imputato. Così
certamente non è: la sintesi delle dichiarazioni rese dal Rosanna, riportata nella
sentenza di appello, che in ciò ha ripreso quanto esposto in quella di primo grado,
indica l’avvenuto sparo di due soli colpi da parte del predetto teste di accusa,
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persona, oltre all’arma. A differenza del comportamento tenuto dal soggetto al

primo orientato a terra a scopo dissuasivo in risposta al colpo del Romano, che
aveva fatto uso dell’arma per primo, il secondo, alzando un poco il rito, dopo che
questi aveva nuovamente esploso altri colpi contro la sua persona. Ebbene, poiché
non viene posta in discussione l’attendibilità del Di Leo e la fedeltà al vero dei suoi
ricordi, è evidente che il numero di esplosioni distinte non riguarda i due soli colpi
sparati dal Rosanna e corrispondenti al numero di bossoli riconducibili alla sua arma
d’ordinanza,

rinvenuti nel terreno, ma include almeno

uno sparo operato

anche altre due conseguenze: la deposizione del Di Leo conferma l’avvenuto sparo
di colpi in numero superiore ai bossoli rinvenuti nel terreno, a prescindere
dall’individuazione dell’arma che li espulse, e quindi la non completa e risolutiva
ricerca condotta anche con le unità cinefile, come ritenuto dai giudici di merito e
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente. In altri termini, il principale
elemento di smentita sul piano probatorio e logico alla tesi accusatoria, ossia il
mancato rinvenimento dei bossoli sparati dall’arma dell’imputato, non è indicativo
della mancata realizzazione dell’azione di sparo da parte di questi e perde valore e
significato univoco, perché addebitabile alle condizioni del terreno ed all’incapacità
di recuperare i bossoli di quanti ne avevano fatto ricerca in una situazione operativa
effettivamente difficile e tale, -per il buio notturno delle prime investigazioni e per
la natura accidentata e pietrosa del suolo-, da non essere stata condotta con pieno
successo. Al tempo stesso i tre spari, riferiti dal Di Leo in assenza di prova
contraria, consentono di ritenere del tutto razionale e consequenziale il
ragionamento inferenziale esposto nella sentenza impugnata circa l’effettiva
verificazione della prima parte dell’episodio, descritta dal Rosanna, ossia lo sparo di
un primo colpo addebitabile al Romano e dopo un po’ di tempo di altri due esplosi
dall’agente di Polizia.
Inoltre, sempre il Di Leo risulta aver riferito che, dopo le esplosioni avvertite,
si era spostato a bordo dell’autovettura di servizio per raggiungere quella del
Romano: da ciò si è dedotto che egli non avesse avuto modo di percepire altri
rumori analoghi per l’allontanamento ed il moto veicolare. Per contrastare tale
rilievo si assumono da parte della difesa circostanze generiche, quali la possibilità di
udire quei rumori a distanza anche di centinaia di metri, ma senza dedurre e
dimostrare

quale

fosse

l’effettiva distanza tra il

luogo di svolgimento

dell’inseguimento e quello in cui si era trasferito il Di Leo e la situazione ambientale
in termini di assenza o meno di ostacoli, tali da consentire la propagazione del
suono e la certa percezione, se effettivamente prodotto.
2.2.4 Non può certamente condividersi l’assunto difensivo, che addebita alla
sentenza impugnata la valutazione frazionata delle emergenze probatorie e la
violazione dei criteri metodologici per l’utilizzo probatorio della prova indiziaria: l
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dall’imputato con la pistola certamente in suo possesso. Da tale rilievo discendono

contrario, i singoli indizi sono stati vagliati nella loro portata e nella loro valenza
individuale, quindi sono stati apprezzati nel loro insieme per rintracciarne la
convergenza e la capacità di dimostrare la fondatezza della tesi accusatoria.
2.2.5 Quanto al particolare dell’intervenuto inceppamento dell’arma, la
sentenza impugnata ha effettivamente affermato in alternativa due ipotesi: che
l’imputato avesse sparato contro il Rosanna e poi non avesse potuto continuare
l’azione per il malfunzionamento dell’arma, oppure che ciò si fosse verificato prima

circostanze ai fini della ricostruzione della responsabilità in ordine al tentativo di
omicidio, stante la non configurabilità nel caso della fattispecie del reato impossibile
perché l’arma costituiva uno strumento in sé micidiale, la sua direzione contro la
persona indicava la volontà di colpirla con esiti sicuramente letali e non era risultata
assolutamente inidonea allo sparo e quindi incapace di determinare la morte,
perchè bloccatasi per evento accidentale.
Ebbene sul punto ritiene questo Collegio di non poter avallare la coerenza
logica di siffatte asserzioni: per quanto fondate sul pertinente richiamo di
consolidati principi interpretativi della propria giurisprudenza in tema di reato
impossibile, deve evidenziarsi che le due ipotesi ammesse dalla Corte milanese non
possono definirsi foriere delle stesse conseguenze e conducono ad esiti difformi
quanto all’acquisizione della prova di colpevolezza ed al giudizio di attendibilità della

testimonianza della parte lesa. E’ evidente che se l’inceppamento si fosse verificato
prima che l’arma avesse potuto concretamente sparare, ciò non soltanto darebbe
conto del mancato ritrovamento dei relativi bossoli, ma offrirebbe al processo un
forte argomento di smentita alla narrazione del Rosanna ed ostacolerebbe in modo
serio la possibilità di ravvisare la condotta di resistenza, non riscontrabile nel
comportamento di chi si dia alla fuga e non compia alcun atto realmente offensivo,
di ostacolo al compimento di attività doverosa da parte del pubblico ufficiale. Deve,
invece, assecondarsi perché logica, coerente e fedele rispetto ai dati probatori
acquisiti ed esposti nella sentenza, l’altra ipotesi dell’effettivo compimento
dell’azione di sparo prima dell’inceppamento, secondo quanto descritto dal teste
d’accusa.
3.La motivazione della sentenza in verifica risulta parimenti compromessa
nella sua tenuta logica laddove ha ritenuto di confermare il giudizio di responsabilità

in ordine al tentato omicidio. In realtà, la Corte distrettuale, nell’affermare l’idoneità
ed univocità del comportamento dell’imputato a cagionare la morte, non pare avere
tenuto conto delle condizioni specifiche, evincibili dalla sua stessa ricostruzione in
punto di fatto, nelle quali erano avvenuti l’inseguimento e l’esplosione dei colpi da
parte dell’imputato: ciò si era verificato al buio, in orario notturno ed in zona
isolata, in situazione nella quale la visibilità era consentita dal chiarore prodott

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di esplodere anche un solo colpo, giungendo a ritenere equivalenti le due

dall’impianto di illuminazione stradale, distante però dal campo percorso dal
Romano e dal Rosanna. Inoltre, costui ha descritto in venti-venticinque metri la
distanza che l’aveva separato dall’imputato quando quest’ultimo aveva fatto uso
della pistola, orientandola contro la sua persona, evento dedotto dalle
caratteristiche della fiammata circolare, vista fuoriuscire dalla canna dell’arma. Il
teste ha però anche affermato di non avere percepito il gesto proprio dello
sparatore, ossia l’estrazione dell’arma, la distensione dei braccio con il quale era

bersaglio, costituito dal suo corpo e ha aggiunto come anche un minimo
spostamento verso l’alto o verso il basso della canna della pistola, per le sue
caratteristiche di arma corta, se da un lato non avrebbe determinato una differente
visione della fiammata e della sua forma circolare, dall’altro avrebbe potuto far
dirigere il proiettile secondo una traiettoria non impattante contro la persona, ma
molto al di sopra o al di sotto della stessa.
3.1 Tali dati fattuali, ben evidenziati dalla difesa anche con l’atto di appello,
diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, non offrono una solida e
coerente base conoscitiva, dalla quale potersi dedurre con certezza che gli spari
fossero stati diretti contro il Rosanna ad altezza d’uomo e non piuttosto verso

il

terreno o in aria per intimidirlo ed arrestarne la corsa e che tale azione, compiuta
con strumento aggressivo di elevata offensività, fosse stata realizzata al fine di
cagionarne la morte, piuttosto che il ferimento, oppure soltanto l’intimidazione,
concretizzando la possibile verificazione di conseguenze ben più serie con la
reiterazione degli spari. A fronte di tali elementi di incertezza e di un quadro
informativo incompleto sulla gestualità dell’imputato e sull’effettiva traiettoria
seguita dai proiettili, risulta illogico affermare che gli atti compiuti siano stati idonei
ed univocamente orientati soltanto a produrre la morte del soggetto inseguitore, la
cui incolumità non emerge con sicurezza essere stata esposta a concreto pericolo.
3.2 Al riguardo si ricorda che, secondo la costante lezione interpretativa della
giurisprudenza di legittimità, in linea di principio, non è dalla severità delle lesioni
prodotte, oppure dall’impossibilità di realizzare il proposito criminoso per
l’interferenza di fattori esterni all’agente, che può giudicarsi l’idoneità dell’azione a
cagionare l’evento morte, dovendosi piuttosto valutare tale profilo “ex ante” in base
alle sue caratteristiche ed alle modalità di realizzazione, in modo da stabilire la

reale adeguatezza causale e l’attitudine a determinare una situazione di pericolo
attuale e concreto di lesione del bene protetto; non vengono dunque in rilievo le
effettive conseguenze del comportamento, perché, viceversa, nel caso di un delitto
tentato in cui l’evento non si realizza, l’azione non sarebbe mai idonea (Cass. sez.
1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, Rv. 248550; sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010,
Resa e altri, Rv. 248305; sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, Rv. 241339).
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impugnata e la presa della mira per direzionare specificamente il colpo contro il

3.3 Quanto all’elemento soggettivo del dolo, la sentenza non ha condotto
un’analisi approfondita degli aspetti fattuali e ha ignorato nella propria valutazione i
parametri che la giurisprudenza di legittimità ha più volte indicato come indici,
apprezzabili “ex post”, dotati della capacità di rivelare in via sintomatica secondo le
regole di esperienza e “l’id quod plerumque accidit” la direzione teleologica della
volontà dell’agente; si è basata soltanto sullo strumento utilizzato e sulle sue
caratteristiche di elevata potenzialità lesiva, senza considerare che nessun colpo

aggressore e vittima non era ravvicinata e la visuale non era ottimale e chiara
anche per l’imputato, che con quell’arma egli avrebbe potuto sparare al suolo o in
aria, producendo egualmente la fiammata circolare, senza aver mirato e direzionato
i colpi contro l’inseguitore. Inoltre, stante l’assenza di qualsiasi plausibile ragione di
pregressa ostilità personale da parte del Romano, i giudici di appello non hanno
considerato che la finalità di guadagnare l’impunità e proseguire la fuga non aveva
postulato unicamente un’azione così aggressiva da cagionare la morte, essendo
egualmente idoneo a quello scopo anche un gesto minaccioso, capace di intimidire
l’agente e di dissuaderlo dal proseguire nell’inseguimento.
Per le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata parzialmente
quanto al giudizio di responsabilità in ordine al delitto di tentato omicidio con rinvio
ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per il rinnovato giudizio sul punto,
che dovrà tener conto dei rilievi e dei principi di diritto sopra enunciati. Nel resto il
ricorso va respinto.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di tentativo di omicidio
e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte di Appello di
Milano; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 1’11 giugno 2014.

aveva attinto il Rosanna, dal quale poter desumere la traiettoria, che la distanza tra

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