Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34035 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34035 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO SIMONE N. IL 11/11/1986
avverso la sentenza n. 61/2013 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 16/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore nerale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la

e civile, l’Avv

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Data Udienza: 09/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte Militare di appello, con sentenza del 16/10/2013, provvedendo
sull’appello proposto da Rizzo Simone avverso la sentenza del Tribunale militare
di Verona di condanna alla pena di anni uno e giorni dieci di reclusione militare
per i reati di allontanamento illecito e truffa militare pluriaggravati e continuati,
confermava la sentenza impugnata.
Rizzo è imputato di non essersi presentato al Corpo di appartenenza fino al

infatti, secondo l’imputazione, aveva prenotato un volo aereo di ritorno da Riga
(Estonia) per il 28/4/2011 e, per giustificare la ritardata presentazione, aveva
prodotto un certificato medico datato 27/4/2011 (data in cui egli si trovava
all’estero) di tre giorni, così inducendo in errore il Reparto di appartenenza
sulla effettiva sussistenza del proprio stato di infermità per procurarsi l’ingiusto
profitto dell’indebita percezione dello stipendio per l’importo di euro 116,30.
All’imputato sono contestate le aggravanti di essere militare rivestito di un grado
e di avere commesso il fatto in danno dell’Amministrazione Militare.
La prenotazione del volo di andata e ritorno Bergamo – Riga era stata
effettuata prima che l’imputato ricevesse dal Comandante del reparto una licenza
ordinaria fino al 26 aprile 2011; Rizzo, consapevole di non potere rientrare in
tempo, si era fatto rilasciare un certificato medico compiacente, da un medico
che non lo aveva visitato.
L’appellante aveva chiesto l’applicazione della scriminante dell’art. 54 cod.
pen. e, comunque, l’assoluzione dell’imputato: nella telefonata che l’imputato
aveva fatto al superiore con cui comunicava di non potere rientrare il giorno
previsto, l’imputato aveva riferito di trovarsi a Riga e di essere afflitto da
lombosciatalgia; per la truffa mancava il dolo specifico.
Il difensore aveva anche eccepito la mancanza della condizione di
procedibilità di cui all’art. 9 cod. pen., trattandosi di reato commesso all’estero
da cittadino italiano, atteso che i reati si erano consumati quando l’imputato si
trovava ancora in Estonia.

La Corte militare rilevava che l’art. 9 cod. pen. non trova applicazione
per i reati militari, per i quali opera la norma dell’art. 18 cod. pen. mil .
pace; comunque entrambi i reati erano stati commessi in Italia, atteso che
l’allontanamento illecito si era consumato con la mera assenza dal reparto
per oltre un giorno, irrilevante risultando il luogo dove l’imputato si trovasse,
mentre la truffa era stata consumata in Italia dove l’imputato aveva percepito lo
stipendio.
2

29/4/2011 alle ore 15’00, trovandosi legalmente assente fino al 26/4/2011; egli,

La Corte respingeva il richiamo allo stato di necessità, ritenendo un
espediente l’invio del certificato medico e non sussistendo il “giusto motivo”
che, ai sensi dell’art. 147 cod. pen. mil . pace avrebbe escluso l’arbitrarietà
dell’assenza.
Anche la truffa era ritenuta sussistente. Mediante la produzione di
certificati medici non genuini, Rizzo intendeva dare una copertura all’assenza
arbitraria: egli non intendeva svolgere l’attività lavorativa cui era tenuto,
continuando, tuttavia, a percepire lo stipendio. In caso di volontà contraria egli

della licenza più breve. Appariva evidente che egli era perfettamente
consapevole che nello stipendio gli sarebbe stato conteggiato anche il periodo
di arbitraria assenza. Sussistevano, poi, gli artifizi e l’induzione in errore
dell’Amministrazione, che erogò effettivamente la somma non dovuta, e quindi
permise all’imputato di percepire l’ingiusto profitto.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Rizzo Simone, deducendo distinti
motivi.
In un primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 18 cod. pen.
mil . pace e 9 cod. pen.. Nel caso di specie trova applicazione la norma del codice
penale, in quanto quella applicata dalla Corte Militare riguarda soltanto reati
militari commessi all’estero da militari per motivi inerenti il servizio.
Poiché il reato è stato commesso all’estero e la richiesta del Ministro della
Giustizia è mancante, il reato è improcedibile.

In un secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione.
La sentenza era illogica nel passaggio in cui riteneva di poter dedurre dalla
prenotazione del volo aereo di ritorno per il 28 aprile 2011 l’inesistenza della
lombosciatalgia attestata nel certificato medico; né sussisteva la motivazione
della consapevolezza da parte di Rizzo che gli sarebbe stato corrisposto lo
stipendio anche per i due giorni di assenza. In effetti, per la truffa non è
sufficiente il dolo eventuale, ma deve ricorrere effettivamente la consapevolezza
dell’agente.
Tutte le considerazioni esposte nella sentenza vengono contestate alla luce
dell’effettiva insorgenza della malattia certificata.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Il difensore del ricorrente ha depositato note difensive, deducendo la
contraddittorietà della sentenza impugnata con riferimento al reato di truffa:
in effetti, la condotta di Rizzo era consistita nell’essere rientrato con due giorni

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avrebbe chiesto una licenza di maggior durata ovvero si sarebbe accontentato

di ritardo al corpo di appartenenza, dopo una licenza legittimamente erogata e
goduta; la sua condotta non era equiparabile a quella descritta nel precedente
giudiziario cui aveva fatto riferimento la Corte militare, in cui il fatto materiale
era qualificabile come truffa ab origine: nel caso di specie, dal punto di vista
psicologico la posizione del ricorrente era opposta, poiché egli era stato costretto
a rientrare in ritardo per il sopravvenire di una malattia invalidante in un paese
straniero che gli aveva impedito di rientrare nel termine previsto per la sua
licenza.

vi deve essere una corrispondenza tra condotta posta in essere ed evento non
voluto ma accettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.

Si deve escludere che i reati contestati all’imputato siano stati commessi
all’estero: la competenza del Tribunale militare del luogo in cui ha sede il corpo
o il reparto al quale l’imputato apparteneva o avrebbe dovuto presentarsi è
affermata, per il reato di allontanamento illecito, da questa Corte a Sezioni
Unite (Sez. U, n. 14 del 08/05/1996 – dep. 14/06/1996, Conti. comp. GIP Trib.
Mil . Roma e GIP Trib. Mil . Torino in proc. Sabatelli, Rv. 204827); il luogo di
consumazione del reato di truffa, poi, è quello della percezione dell’ingiusto
profitto (giurisprudenza costante: da ultimo Sez. 2, n. 42958 del 18/11/2010 dep. 03/12/2010, Gentile e altro, Rv. 249282).

Nessuna manifesta illogicità si rinviene nella argomentazione della Corte
che deduce l’inesistenza della malattia dall’acquisto, precedente alla concessione
della licenza, del biglietto di ritorno per una data successiva a quella del previsto
rientro: il ricorrente sembra ignorare che, oltre a questo dato comunque assai
eclatante, vi è quello altrettanto significativo del rilascio del certificato medico
da parte di un sanitario italiano in data 27/4/2011, giorno in cui il ricorrente si
trovava in Estonia.

Anche i motivi di ricorso concernenti il reato di truffa sono manifestamente
infondati: nel momento in cui, al rientro, Rizzo produsse all’Amministrazione
il certificato medico cui si è fatto cenno, agì – oltre che per giustificarsi del
ritardato rientro – anche per ottenere il pagamento dello stipendio anche con
riferimento ai due giorni di ritardo, facendo figurare un’inesistente malattia;

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La truffa non era configurabile nemmeno sotto il profilo del dolo eventuale:

obiettivo raggiunto, come dimostrato documentalmente.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege,
in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 9 maggio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Cost. n. 186 del 2000).

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