Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34034 del 09/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 34034 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAVALIERI VINCENZO N. IL 06/04/1956
avverso la sentenza n. 134/2012 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 09/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore,Generale in2ersona del Dott.
che ha concluso per

k n2t,t .,,à(k, o –,Tro,2_ o

Udito, per la parte ‘ile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

‘\J(Tr

Data Udienza: 09/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30/5/2013, la Corte militare di appello, pronunciando
in sede di rinvio a seguito di annullamento della precedente sentenza da parte
di questa Corte, confermava la sentenza del Tribunale militare di Napoli di
condanna di Vincenzo Cavalieri, Vice Brigadiere della Guardia di Finanza, alla
pena di anni uno di reclusione militare, interamente condonata ai sensi dell’art.
1 legge 241 del 2006, per numerosi reati riuniti per continuazione e con la

cui all’art. 234 comma 2 cod. pen. mil . pace.
Cavalieri Vito è stato dichiarato colpevole di numerosi episodi di truffa
aggravata ai sensi dell’art. 234 comma 2 cod. pen. mil . pace (così diversamente
qualificate le condotte contestate come di peculato militare) con riferimento:
1) alle somme di denaro equivalenti al controvalore di fornitura di materiali
di pulizia da parte del commerciante Rizzo Salvatore Florindo mai avvenute
(capi da 1 a lc; da lj a 1 o): in tutti i casi Cavalieri, in qualità di addetto alla
Segreteria Affari Generali avrebbe attestato con la propria firma la ricezione della
merce; 2) ad un’altra somma di lire 6.000.000 sempre concernente fornitura di
materiale di pulizia mai avvenuta; in questo caso l’imputato avrebbe predisposto
l’atto autorizzativo e istruito la pratica amministrativa, prendendo accordi con
il commerciante in ordine alla somma da indicare nei preventivi e nella fattura
giustificativa dell’ordine di pagamento; 3) a diverse somme equivalenti al
controvalore delle riparazioni mai effettuate da parte di Aloisio Giovanni, con cui
Cavalieri avrebbe preso gli accordi (capi 3, 13, 16, 55, 57 e 62); 4) a diverse
somme equivalenti a forniture non effettuate o solo parzialmente effettuate
dallo stesso Aloisio (capi 4, 22, 25 e 54): alcune somme erano di importo
notevole – una superiore a lire 13.000.000 per la fornitura di tre fotocopiatrici;
talvolta Cavalieri aveva attestato la ricezione della merce in realtà non avvenuta,
mediante firma apposta sulla fattura accompagnatoria.

Il Tribunale aveva evidenziato, a carico dell’imputato, una serie di anomalie
nei procedimenti in cui era stato coinvolto: egli apparteneva ad ufficio diverso
dalla sezione acquisti; sui preventivi della ditta aggiudicataria mancava il numero
di protocollo; mancava l’annotazione delle forniture sul registro dei beni di
consumo; gli importi venivano frazionati artificiosamente per aggirare i vincoli;
talvolta i comandi locali destinatari delle forniture non ne avevano fatto richiesta;
la XX Legione aveva speso per i materiali di pulizia somme nettamente superiori
al normale nel periodo in esame; per di più gli appalti per le pulizie dei locali
prevedevano la fornitura del materiale da parte della ditta aggiudicataria. In
2

concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla riconosciuta aggravante di

alcune occasioni Cavalieri, che aveva firmato per la ricezione della fornitura, si
trovava in un luogo diverso da quello dove avrebbe ritirato la merce.
Quanto alle riparazioni mai effettuate (capi 3 e 16), Cavalieri non era
addetto alla sezione acquisti e aveva firmato per attestare l’avvenuta esecuzione
di riparazioni presso una caserma che non ne aveva fatto richiesta; era, per di
più, legato da un rapporto collusivo con il commerciante Aloisio.
Il capo 4 – fornitura di 100 toner, la cui consegna era stata attestata
dall’imputato – risultava provato tenendo conto del rapporto collusivo con Aloisio,

toner forniti.
Considerazioni simili venivano esposte per il capo 13, per i capi 22 e 25
(si tratta della forniture di fotocopiatrici, mai rintracciate ma la cui ricezione
era attestata dall’imputato), per il capo 54 (Cavalieri risultava avere istruito
la pratica nonostante non facesse parte dell’ufficio acquisti; la firma di un
altro finanziere era risultata apocrifa; la fornitura proveniva da Aloisio, non
corrispondeva ad alcuna richiesta dell’ufficio competente ed era di valore
sproporzionato), e infine per i capi 55, 57 e 62, aventi ad oggetto riparazioni
effettuate dalla solita ditta Aloisìo ed istruite da Cavalieri e per le quali i
Comandanti dei reparti interessati avevano riferito di non avere mai chiesto né
attestato l’esecuzione dei lavori.
Il Tribunale aveva ritenuto esatta la qualificazione giuridica della condotta
come truffa aggravata.

Il materiale probatorio utilizzato comprendeva non solo l’ampia istruttoria
dibattimentale, ma anche una sentenza del Tribunale di Lamezia Terme del 2/
10/2006 che aveva dichiarato Aloisio colpevole di truffa per l’emissione di alcune
fatture oggetto del presente processo, ma anche la responsabilità di Cavalieri
in relazione ad un episodio di corruzione risalente al 1993: la motivazione della
sentenza descriveva la genesi dei rapporti tra Aloisio e la XX Legione della
Guardia di Finanza e lo sviluppo dei rapporti tra Aloisio e Cavalieri che, pur
essendo addetto alla Segreteria Affari generali, si occupava di fatto di istruire
le pratiche per l’acquisto di beni e servizi; attestava la sistematica violazione
della disciplina di evidenza pubblica per le forniture di Aloisio e la mancata
effettuazione dei lavori di riparazione nonché di alcune forniture di beni.
Venivano utilizzate anche due sentenze irrevocabili della Corte Militare di
appello che avevano accertato che Di Piccoli, capo del servizio amministrativo
della XX Legione, nell’estate del 1997, in una riunione, per coprire un ammanco
di cassa aveva dato la direttiva di ricorrere al sistema dell’aggiudicazione a
commercianti compiacenti di beni e servizi di prestazioni che sarebbero state

3

della mancanza di richiesta dell’ufficio interessato e del numero sproporzionato di

fatturate ma non eseguite.

Dopo che questa Corte aveva annullato la sentenza d’appello che aveva
dichiarato i reati estinti per prescrizione per essere validamente espressa la
rinuncia da parte dell’imputato, la Corte Militare ha confermato la sentenza di
primo grado.

La Corte individua quattro affermazioni di carattere generale dell’appellante:

Cavalieri non aveva ricevuto alcun incarico inerente la gestione di capitoli di
spesa o la contrattazione per ottenere la fornitura di beni o servizi; 3) non vi
è alcun atto rivolto da Cavalieri al Capo Ufficio Amministrazione al fine di fare
effettuare riparazioni agli arredi od acquistare beni o servizi da ditte specifiche;
4) la firma apposta da Cavalieri sulle fatture o bolle accompagnatorie è
successiva ad atti dispositivi ed autorizzativi posti in essere da altri militari a ciò
preposti.
In sostanza, l’appellante negava un suo contributo al procedimento
amministrativo e contestava la natura giuridica dello stesso procedimento: ma,
secondo la Corte, l’apporto causale garantito dall’imputato non è escluso dal
fatto che egli abbia posto in essere solo alcuno degli atti del procedimento, in
base ai principi sul concorso di persone nel reato.
Quanto alla natura del procedimento amministrativo, la Corte conferma che,
per spese inferiori a lire 2.400.000, era sufficiente la semplice autorizzazione del
relatore, ma osserva che si tratta di circostanza irrilevante: sia perché talvolta
l’importo della fornitura era superiore al limite, sia perché – come permesso dalla
normativa – gli organi amministrativi della XX Legione della Guardia di Finanza
avevano deciso di seguire una procedura diversa (indagini di mercato con
acquisizione di preventivi da parte di diverse ditte), sia, infine, perché a venire
in gioco non è tanto la violazione della procedura, ma la condotta di aver fatto
risultare come avvenute forniture di materiali o di servizi che non lo erano.
Di conseguenza, le irregolarità concernenti la scelta del contraente
– mediante presentazione di preventivi falsi all’insapute delle ditte che
apparivano – riguardano solo specifiche contestazioni e sono indice di anomalie
procedimentali altrettanto gravi e complesse.

La Corte territoriale rigetta il motivo di appello incentrato sull’applicazione
dell’art. 238 bis cod. proc. pen. con riferimento alle sentenze del Tribunale di
Lamezia Terme e a quelle dei giudici militari: il Tribunale Militare di Napoli aveva
valutato il fatto in esse accertato alla luce degli altri elementi emersi nell’ambito
4

1) non sarebbe corretto parlare di procedimento ad evidenza pubblica; 2)

del presente procedimento. In particolare il Tribunale Militare si era limitato a
prendere atto della prova di un precedente rapporto corruttivo tra Cavalieri e
Aloisio per episodi distinti da quelli oggetto del presente processo, che peraltro
vedevano i due protagonisti negli stessi ruoli e aveva preso atto delle anomalie
gestionali che avevano portato alle sentenze della Corte Militare di appello,
ma non aveva direttamente tratto dalle pronunce la prova della responsabilità
dell’imputato, anche se il contesto che emergeva – in particolare quello relativo

Entrando nel merito delle singole imputazioni, la Corte affronta quelle
concernenti le forniture mai effettuate dalla ditta Rizzo Salvatore Florindo,
osservando che per tutti gli episodi menzionati al capo 1, all’imputato è
contestato di avere attestato falsamente con la propria firma la ricezione della
merce, mentre in quello di cui al capo 2 è contestato di avere predisposto l’atto
autorizzativo ed avere istruito la pratica amministrativa per l’acquisto.
La Corte ripercorre il contenuto delle deposizioni dei testi Margiotta e
Megale, sottolineando che – contrariamente a quanto sostenuto nell’atto
di appello – essi non avevano affatto riferito circostanze conosciute da
informatori di cui non avevano rivelato il nome, ma dati e elementi dagli stessi
personalmente accertati e riscontrati dalla documentazione acquisita, nonché
dalle dichiarazioni di testimoni e poi dello stesso Aloisio.
Tornando alle imputazioni concernenti le forniture di Rizzo, la Corte osserva
che l’enormità delle anomalie riscontrate consentiva di affermare, al di là di
ogni ragionevole dubbio, che la scelta del contraente Rizzo Salvatore Florindo
per la fornitura del materiale di pulizia era stata effettuata coscientemente in
piena violazione delle più elementari regole amministrative; pur dando atto della
mancanza di prova diretta dell’omessa consegna del materiale, trattandosi di
beni consumabili, la Corte rileva che i quantitativi sono tali da escludere che gli
stessi siano stati effettivamente consegnati ed utilizzati come attestato nella
relativa documentazione; indicano la mancata consegna anche la circostanza
della mancata annotazione negli appositi registri e le numerosissime ulteriori
irregolarità; addirittura, le ingenti provviste non potevano essere custodite
in nessuno spazio della XX Legione e i mezzi utilizzati erano insufficienti al
loro trasporto. Ulteriori elementi indicativi della fittizietà delle forniture e
della consapevolezza da parte di tutti i soggetti coinvolti sono la prassi del
frazionamento degli acquisti (in modo da far scendere l’importo sotto la somma
di lire 2.400.000), nonché i pagamenti “in tempo reale”, sconosciuti alla Pubblica
Amministrazione in generale, ma, nello specifico, adottati solo per le forniture in
questione e non per quelle di altre forniture alla stessa Legione.

5

ai rapporti tra Cavalieri e Aloisio – era molto significativo.

La Corte rigetta la versione dell’imputato di essere mero “scrivano”: in
numerose forniture egli risultava l’autista che aveva proceduto al ritiro della
merce, apponendo la propria sottoscrizione sulle relative fatture; di per sé
uno “scrivano” può essere destinato a diverse mansioni, ma nello svolgimento
delle stesse egli non poteva non rendersi conto che le forniture di cui attestava
la ricezione erano inesistenti; in determinate occasioni, poi, nel giorno e nell’ora
indicata nell’attestazione di ricezione, egli risultava a riposo o si trovava in luogo

Quanto al capo 2, Cavalieri risultava autore della minuta (cioè dell’originale)
della pratica con la quale si disponeva il pagamento in tempo reale del presunto
fornitore, modalità anomala e per la quale egli non aveva alcuna competenza.
Ancora: Cavalieri aveva certamente ritirato preventivi falsi dalle mani di
chi li aveva falsificati, atteso che l’apparente autore aveva negato di averli mai
redatti e consegnati.
In definitiva, gli elementi a carico di Cavalieri dimostravano che si era
trattato di uno dei principali responsabili: egli aveva ricoperto ruoli ben diversi
da quello di scrivano ed autista e non l’aveva nemmeno negato, ammettendo di
avere svolto mansioni per le quali sarebbe stato incompetente.

Secondo la Corte, la prova della responsabilità delle restanti imputazioni,
concernenti forniture e riparazioni effettuate dalla ditta Aloisio, era raggiunta
anche più agevolmente: la maggior parte di esse concerneva, infatti, forniture
fittizie che Cavalieri aveva dichiarato essere state regolarmente effettuate presso
enti della Guardia di Finanza esterni.
Le prove testimoniali e documentali dimostravano che le prestazioni non
erano state né richieste, né effettuate: eppure Cavalieri aveva svolto incombenze
per le quali era incompetente, attestando la fornitura o persino formando l’ordine
di pagamento. La condotta di Cavalieri aveva arrecato un contributo causale
determinante alla commissione dell’illecito e assai intensa era la prova della
piena consapevolezza di contribuire alla sua realizzazione.

La Corte ritiene decisamente inattendibile il teste Aloisio; ricorda che,
seppur non vi fosse prova di dazione di denaro o altra utilità al fine di ottenere
l’assegnazione delle forniture, l’istruttoria dibattimentale aveva dimostrato
che Cavalieri (come altri finanzieri) si recava presso l’azienda di Aloisio a
ritirare cesti natalizi; ribadisce che il ruolo marginale di Cavalieri era stato
smentito dall’istruttoria dibattimentale; rigetta specificamente i motivi di appello
concernenti la mancanza di prova delle singole violazioni contestate.

6

diverso a svolgere un compito differente.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Vito Cavalieri.

Viene inizialmente riprodotto il contenuto dell’atto di appello.
Dopo aver precisato (Capitolo Primo della Parte Prima) i capi e i punti
della sentenza avverso i quali non era stato proposto appello, nel Secondo
Capitolo il ricorrente trattava dell’assenza di prova che Cavalieri avesse
commesso la condotta per la quale è stato condannato, sottolineando: 1.
L’insussistenza degli assiomi probatori dichiarativi e documentali, utilizzati dalla
Corte Militare per la dichiarazione di colpevolezza; 2. L’errata trasfusione del
contenuto decisorio della sentenza n. 234/06 del Tribunale di Lamezia Terme, in
violazione dell’art. 238 bis cod. proc. pen., atteso che il difensore di Cavalieri
aveva partecipato all’assunzione della prova limitatamente ai fatti contestati al
capo D del decreto di rinvio a giudizio in quel processo, le cui prove non hanno
alcuna valenza probatoria rispetto ai reati contestati nel presente processo: in
effetti, i procedimenti a carico di Cavalieri e a carico di Aloisio e Ciccolella erano
stati separati all’udienza del 28/10/2005 per essere poi riuniti a quella del 3/4/
2006; 3. La mancanza del fatto storico, desumibile dalle sentenze del Tribunale
di Lamezia Terme e della Corte Militare d’appello, per il quale poter ritenere che
Cavalieri avrebbe commesso alcuni dei reati specificati nel capo di imputazione:
in particolare Aloisio aveva negato di essere divenuto fornitore della XX Legione
per il tramite di Cavalieri e di avere elargito denaro o altre utilità allo stesso; il
ruolo di Cavalieri era di mero scrivano addetto alla segreteria generale, né
esisteva prova che alcuno dei preventivi di cui al capo di imputazione fosse stato
consegnato nelle mani dell’imputato, né che avesse partecipato alla riunione
convocata da De Piccoli per coprire l’ammanco di cassa.
Nel Capitolo Terzo il ricorrente sviluppava il tema dell’assenza di prova
che il fatto sussistesse e/o che il Cavalieri l’avesse commesso con riferimento a
ciascuno dei capi di imputazione per i quali era intervenuta condanna.

Nella parte seconda dell’atto vengono sviluppati i motivi del ricorso per
cassazione.
In un primo motivo, il ricorrente deduce mancanza o, quantomeno,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla richiesta di
riapertura dell’istruttoria dibattimentale, con violazione del diritto di difesa.
Il ricorrente aveva chiesto di disporre l’acquisizione di copia conforme di
tutte le fatture originali allegate alle pratiche, citate nei capi di imputazione:
si trattava di acquisizione diretta a provare che le forniture o le riparazioni
erano effettivamente avvenute. Con riferimento al capo 25 dell’imputazione,
l’acquisizione delle fatture al fascicolo per il dibattimento aveva dimostrato

che l’attestazione dell’avvenuta fornitura era stata apposta sull’originale del
documento, e non sulla minuta, dal capo ufficio amministrazione Paglino.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce mancanza o vizio della
motivazione sul contributo concorsuale e volitivo di Cavalieri a commettere il
reato concorsuale.
La Corte militare aveva condannato Cavalieri in quanto soggetto necessario
del procedimento amministrativo nonostante i presunti concorrenti fossero stati

Cavalieri era solo scrivano ed autista e non era stato affatto delegato a trattare e
definire il procedimento. In nessun modo la Corte aveva motivato sull’assenza di
prova di un pactum sceleris tra i vari imputati intenzionati ad appropriarsi delle
somme di denaro indicate nei capi di imputazione, né con il commerciante che
emetteva la fornitura.
In definitiva, secondo il ricorrente, non esiste prova documentale ed
orale che Cavalieri avesse apportato un contributo causale concorsuale alla
realizzazione del fatto contestato, abbia apposto la sua firma sulle fatture o
su bolle accompagnatorie con la consapevolezza e volontà di cooperare alla
commissione concorsuale del delitto.

In un terzo motivo, il ricorrente deduce mancanza o vizio della motivazione
sui singoli motivi di appello proposti dal ricorrente.
Il ricorrente sottolinea che l’apposizione della sottoscrizione sulle fatture
o bolle di accompagnamento non avrebbe nessuna rilevanza – essendo esse
conformi al contenuto dell’atto dispositivo e/o autorizzativo – nella consumazione
della truffa, salvo che fosse stato provato il pactum sceleris con gli autori degli
ulteriori documenti oppure il P.M. avesse dimostrato che Cavalieri aveva indotto i
Superiori a firmare detti atti.
In realtà tale prova mancava, come quella di un accordo tra Cavalieri ed
Aloisio. Di conseguenza la sentenza era affetta da vizio di motivazione e palese
violazione dell’art. 40 cod. pen. in quanto tutti gli elementi specificati nella
sentenza impugnata mancano del necessario rapporto eziologico con la condotta
e la volontà di Cavalieri a concorrere alla commissione dei fatti criminosi.

Il ricorrente indica alcuni fatti travisati e alcune specifiche manifeste
illogicità della motivazione: tra di esse la svalutazione della testimonianza
del teste Aloisio; la possibilità che Cavalieri, benché a riposo o trovandosi in
luogo diverso, potesse essere comandato dai superiori di passare a ritirare la
merce; la circostanza che la merce di cui Cavalieri aveva attestato la ricezione
8

assolti dal giudice di primo grado per insussistenza del fatto: ma, appunto,

corrispondesse agli atti autorizzativi e dispositivi e che i Superiori di Cavalieri
erano stati assolti per insussistenza del fatto, così dovendosi ritenere che la
fornitura era stata effettuata; la circostanza dell’apposizione della firma – non
disconosciuta – del Capo Ufficio amministrazione maggiore Mauro Re in calce
agli ulteriori atti dei procedimenti contestati ai capi 4, 13 e 16 nonché quelle del
maggiore Salvatore Paglino, colonnello Mario Berardinelli nei procedimenti di cui
ai capi 22 e 25, nonché del colonnello Sergio De Piccoli nei procedimenti di cui ai

In un ulteriore motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per
violazione del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la
sentenza.

Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.

Quanto al primo motivo di ricorso, il ricorrente non tiene in alcuna
considerazione la circostanza che la mancata effettuazione delle forniture
da parte delle ditte Rizzo e Aloisio è stata dedotta da molteplici elementi,
singolarmente elencati per ciascuna fornitura o prestazione e ampiamente
esposti nelle deposizioni dei testi Margiotta e Megale.
Come ha ampiamente chiarito la Corte militare d’appello, la questione
decisiva non è quella della regolarità della documentazione amministrativa ma,
al contrario, quella dell’inesistenza delle forniture o delle riparazioni pur risultanti
da una (non sempre) regolare documentazione. In effetti, il ruolo di Cavaliere,
per la maggior parte dei capi di imputazione, concerneva proprio l’attestazione di
una circostanza fattuale (la consegna di una fornitura, di cui egli aveva attestato
la ricezione) in realtà inesistente: tale attestazione permetteva alla procedura
amministrativa di proseguire, fino al pagamento (talvolta rapidissimo).

Il secondo motivo di ricorso tralascia del tutto le ampie considerazioni della
Corte territoriale in tema di concorso di persone nel reato e di responsabilità di
altri militari.
La Corte ribadisce che è “certamente sussistente” la responsabilità anche di
altri militari, ma osserva che tale responsabilità non è oggetto della sentenza; ciò
che rileva è il contributo consapevolmente fornito da Cavalieri alla realizzazione
9

capi 57 e 62.

delle truffe, in quanto la sua condotta è punibile anche in mancanza di prova
di un pactum sceleris con altri militari, purché si dimostri che con essa egli
aveva attestato una realtà fattuale inesistente, contribuendo a far sì che
l’Amministrazione pagasse notevoli somme alle due imprese per forniture o
prestazioni mai effettuate.

La Corte motiva, altresì, sulla sicura consapevolezza da parte di Cavalieri di
attestare con i suoi atti circostanze non vere: perché, evidentemente, non si può

tale materiale non viene scaricato e visto da chi provvede all’attestazione.

Il terzo motivo di ricorso ripropone la tesi della necessità – per giungere
alla condanna per il reato di truffa in concorso – che tutti i responsabili del
procedimento amministrativo conclusosi con il pagamento indebito siano
condannati in forza di un pactum sceleris.
Al contrario, una volta accertato – come i giudici di merito hanno fatto con
ampiezza – che le forniture e le prestazioni di opera pagate dall’Amministrazione
non erano state effettuate e verificato che le false attestazioni apposte da
Cavalieri non erano conseguenza di errori di percezione o esecuzione di
ordini di superiori, la prova della responsabilità dell’imputato è raggiunta, pur
nell’impossibilità di acquisire un quadro completo di quelle di altri soggetti: le
attestazioni, infatti, costituivano un passaggio essenziale per la conclusione
del procedimento amministrativo e il conseguente pagamento, in quanto – se
non vi fosse stata attestazione della ricezione di merce o dell’esecuzione della
riparazione – l’iter si sarebbe bloccato.

Il travisamento delle prove denunciato nel motivo di ricorso non pare affatto
sussistere: per ciascuno dei capi di imputazione la Corte territoriale (come, del
resto, in precedenza già aveva fatto il Tribunale Militare) indica specificamente le
prove e le considerazioni necessarie a dimostrare la responsabilità di Cavalieri.

L’ultimo motivo di ricorso – concernente l’asserita violazione del principio
della correlazione tra imputazione e sentenza – non è affatto sviluppato: in
ogni caso, i Giudici di merito hanno proceduto a riqualificare giuridicamente
la condotta, così come permesso dal codice di rito; né il diritto di difesa
dell’imputato è stato leso in alcun modo, atteso che i singoli capi di imputazione
descrivevano in dettaglio la condotta contestata a Cavalieri, che – per alcuni dei
capi formulati – è stata ritenuta esistente e rispetto alla quale la difesa è stata
esercitata.

10

attestare come personalmente ricevuta una fornitura di materiale di pulizia se

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 9 maggio 2014

Il Presiden

Il Consigliere estensore

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA