Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3401 del 13/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3401 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Urso Giovanni, n. a Milano il 25/04/1968;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano in data 22/03/2013;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale M. Fraticelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni del Difensore di fiducia, Avv. P. Rossini, che si è riportata ai
motivi;

RITENUTO IN FATTO

1.Urso Giovanni ha proposto ricorso avverso la sentenza con cui la Corte
d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano di
condanna per il reato di cui all’art.44 lett. b) del d.P.R. n.380 del 2001 per avere
edificato abusivamente un manufatto in muratura.

2. Con un primo motivo lamenta violazione di legge processuale deducendo che,
pur avendo, in sede di esame dibattimentale, eletto domicilio presso il proprio

Data Udienza: 13/11/2014

..

..

difensore di ufficio, Avv. G.M. Molino, era risultato erroneo il tentativo di notifica
del decreto di citazione di appello presso il precedente domicilio in via Lazzaro
Papi con conseguente notifica via fax presso il difensore d’ufficio ad un numero
corrispondente tuttavia al precedente studio da cui poi lo stesso Avvocato si era
trasferito per andare altrove. Evidenzia che, sulla base del vincolo fiduciario
caratterizzante l’elezione di domicilio, la Corte d’Appello, nel notificare il decreto,

facilmente reperibile sul sito dell’Ordine. Né l’intervenuta comunicazione per
ricevuta dello stesso difensore, cui il precedente studio ebbe a trasmettergli gli
atti, potrebbe sanare alcunché, versandosi in ipotesi di nullità assoluta ed
insanabile.

3.

Con un secondo motivo lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta

illogicità della motivazione con riguardo alla mancata valorizzazione di prove
testimoniali e documentali. Segnatamente censura il ragionamento della Corte
secondo cui la deposizione del padre dell’imputato, pur effettivamente trascurata
dal Tribunale, non sarebbe comunque stata in contrasto con le altre risultanze
dibattimentali. Al contrario, rileva come detto padre avesse del tutto escluso che,
avendo cercato l’imputato presso il campo nomadi, egli si trovasse in loco e
aveva affermato che l’impresa edile che ivi si trovava nulla aveva a che fare con
lo stesso. Inoltre, la documentazione in atti provava che lo stesso,
tossicodipendente ed in cura presso comunità terapeutiche, mai avrebbe potuto
eseguire i lavori edilizi addebitatigli. Censura inoltre la ritenuta inattendibilità
delle dichiarazioni dell’imputato (con cui lo stesso aveva affermato di avere
unicamente fatto dei lavoretti, consistiti nel dare lo stucco ed imbiancare, per la
madre di un conoscente, tale Di Rocco, ma aveva negato di avere edificato
alcunché) in ragione delle sue condizioni psichiche al momento dell’esame
nonché la spiegazione congetturale data dalla Corte alle ragioni alla base della
richiesta di esaminare come imputata ex art. 210 c.p.p. la suddetta Di Rocco.

4. Con un terzo motivo lamenta mancanza e contraddittorietà della motivazione
con riguardo alla valutazione delle prove testimoniali e dei documenti offerti in
comunicazione, in particolare censurando la valorizzazione dei dati unicamente
indiziari e suggestivi ricavabili dalla deposizione dell’operante Rosa Flavio, della
Polizia locale di Milano, e la non considerazione della risultata cessazione, al
momento dei fatti, delle società edili riconducibili all’imputato. Rileva quindi
come la testimonianza della Signora Di Rocco non poteva essere considerata

avrebbe dovuto utilizzare il nuovo recapito via fax dell’avvocato d’ufficio,

sufficiente, nel quadro complessivo probatorio acquisito, a fondare la
colpevolezza dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

161, comma 4, c.p.p., del decreto di citazione per il giudizio di appello è stata
eseguita, via fax, ad indirizzo al quale il Difensore di ufficio non era più reperibile
perché trasferitosi altrove, va considerato che, come già sottolineato dalla
sentenza impugnata, lo stesso Difensore ebbe, successivamente, ad inoltrare un
fax di conferma dell’avvenuta ricezione con la propria firma, essendosi dunque la
notifica regolarmente perfezionata.

6. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili giacché
afferenti al punto relativo all’affermazione di responsabilità, sono inammissibili
consistendo, in realtà, a dispetto della dedotta contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, in censure sulla valutazione del compendio
probatorio, del cui contenuto si pretende di dare una diversa lettura rispetto a
quella logicamente offerta dai giudici di merito.
In realtà, la sentenza impugnata, in tal modo implicitamente richiamando la
motivazione della sentenza di primo grado, ha essenzialmente ed
esaustivamente fondato le ragioni che hanno condotto ad individuare
nell’imputato l’autore delle opere abusive contestate sulle dichiarazioni del teste
– agente di polizia municipale Flavio Rosa, che, recatosi unitamente alla collega
Nobile presso il campo nomadi in oggetto, aveva riscontrato l’esistenza di una
costruzione abusiva realizzata per ampliare la preesistente abitazione di Rocco
Maria Cristina trovando presente sul posto lo stesso imputato, con in mano la
bindella e indossante abiti di lavoro, e sulle dichiarazioni della committente
Rocco quale teste assistito, secondo cui fu appunto l’imputato ad occuparsi su
suo incarico dei predetti lavori di ampliamento, progettando le fondazioni e
l’erezione dei muri e fornendo il materiale necessario a tal fine nonché dando le
opportune istruzioni e direttive a due muratori che avevano materialmente
proceduto all’esecuzione.
Di qui, dunque, tenuto conto che le dichiarazioni del teste operante hanno
riscontrato quanto affermato dal teste assistito, la logica, e pertanto qui
insindacabile, conclusione raggiunta dai giudici di merito in ordine all’attribuzione
ad Urso dei lavori svolti illegittimamente; né, come già rilevato dalla sentenza
3

5. Il primo motivo è manifestamente infondato : pur vero che la notifica ex art.

impugnata, la considerazione della deposizione del padre dell’imputato, secondo
cui questi era tossicodipendente e non svolgeva lavori edili per quanto a sua
conoscenza, avrebbe potuto condurre ad esiti contrastanti con detta conclusione.
Anche il fatto che le società edili eventualmente riconducibili a quest’ultimo
fossero, al momento dei fatti, cessate, non è circostanza tale da incidere sulla
tenuta logica delle argomentazioni spese dalla sentenza impugnata, ben potendo

svolti indipendentemente da una loro formale riconducibilità a società di sorta.

7. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, comportando ciò
l’impossibilità, per la mancata instaurazione del rapporto processuale, di
prendere atto della prescrizione del reato maturata in data 18/08/2013, e
dunque solo successivamente alla sentenza impugnata (cfr. Sez. U., n. n. 32 del
22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di denaro di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2014.

i lavori, come puntualmente affermato anche dalla Corte territoriale, essere

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