Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3399 del 12/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3399 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso – erroneamente qualificato come appello – proposto da Roberto Francesco, nato a Torino il 9.9.1974;
avverso la sentenza emessa il 25 giugno 2013 dal giudice del tribunale di
Torino;
udita nella pubblica udienza del 12 novembre 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Torino dichiarò Roberto Francesco colpevole del reato di cui all’art. 5, lett. d), della legge 30 aprile
1962, n. 283, per aver posto in vendita o comunque distribuito per il consumo
alici fresche contaminate da parassiti appartenenti alla famiglia ANISAKIDAE,
senza aver effettuato il prescritto autocontrollo, e lo condannò alla pena
dell’ammenda di € 2.000.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Silvia Navone, propone ricorso per cassazione – erroneamente qualificato come appello – deducendo:
1) erronea interpretazione ed applicazione della legge penale in ordine alla
ritenuta sussistenza del reato, nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che il giudice ha trascurato la circostanza — pure emersa in
dibattimento che le alici poste in vendita dall’imputato erano freschissime, in
perfetto stato di conservazione e soprattutto prive di qualsiasi manifestazione
visibile di parassiti, che sono stati trovati solo dopo l’eviscerazione del pesce e
dopo molti minuti di esposizione delle interiora all’aria. Nemmeno si è tenuto

Data Udienza: 12/11/2014

conto che, secondo una nota del ministero della salute, la presenza di larve di
anisakidi nei prodotti della pesca va considerata come condizione naturale e
normale. Non è stato esaminato il profilo della nocività per la salute delle alici
sequestrate. La sentenza impugnata mostra una evidente confusione sul parassita rinvenuto, di cui è indicata solo la famiglia di appartenenza, senza la specificazione della sottofamiglia e del genere; mentre soltanto due specie del genere
Anisakis si sono dimostrate patogene, secondo la letteratura scientifica. E’
quindi del tutto apodittica l’affermazione che le larve di anisakis rinvenute fossero pericolose per la salute.
Lamenta inoltre che la sentenza omette di considerare il contenuto del verbale di accertamento nella parte in cui afferma che le larve di parassita vennero
rinvenute nei visceri del pesce, vale a dire nell’apparato digerente estratto dalla
cavità addominale, ovvero in una parte non edibile del pesce. Nel verbale si da
atto che “…la presenza dei parassiti non può essere considerata “manifesta” in
quanto il numero degli esemplari rinvenuti è limitato…”. Nella sentenza non si
motiva circa il fatto che le larve incriminate vennero rinvenute solo all’interno
dei visceri del pesce (pacificamente non commestibili) e che il parassita non si
evidenziò al controllo se non dopo un buon lasso di tempo. Non è spiegata
quindi la ragione per cui sia stato ritenuto integrato il reato malgrado la valutazione di “non manifesta” presenza di larve, espressa dagli ispettori ASL all’atto
del controllo. La normativa comunitaria, invero, vieta l’immissione sul mercato
di “prodotti della pesca manifestamente infestati da parassiti”; ed è manifestamente illogico affermare la sussistenza del reato nella fattispecie in esame. La
normativa europea fornisce precise indicazioni sul tipo di controllo visivo che
deve essere svolto dall’operatore, e la sentenza impugnata non fornisce alcuna
motivazione sulla sussistenza nel caso di specie di una “manifesta invasione” da parassiti, né altrimenti giustifica perché resti integrato tale requisito se
neppure gli ispettori che effettuarono il controllo diedero atto di siffatta condizione.
Lamenta altresì che la sentenza impugnata non motiva in modo logico
nemmeno sullo elemento soggettivo del reato perché non spiega la ragione per
la quale l’autocontrollo effettuato non sarebbe stato compiuto su un numero sufficientemente rappresentativo di campioni. Del resto, nemmeno si è considerato
che la scheda di autocontrollo non è stata chiesta al momento della prima ispezione. Né si tiene conto che i quattro cinque campioni prelevati dal Roberto per
verificare l’adeguatezza della merce acquistata erano grosso modo lo stesso numero di esemplari esaminati dagli ispettori dell’ASL: chiaramente, un numero
più che idoneo a valutare la commerciabilità di due cassette di alici. Del resto il
necessario autocontrollo sul pesce acquistato, deve essere svolto con modalità e
tempistiche compatibili con il rispetto della norma che consente l’eviscerazione
del pesce nei banchi temporanei solo al momento, su richiesta dell’acquirente.
2) eccessività della pena e manifesta illogicità della motivazione sul punto
della sua quantificazione.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato, avendo la sentenza impugnata fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto integrato il

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reato contestato e sull’infondatezza delle tesi difensive. E’ infatti risultato che i
due ispettori effettuarono un controllo visivo delle alici detenute dal Roberto
per la vendita. Prelevarono quindi dal bancone talune alici che provvidero ad
eviscerare aprendone la cavità addominale e, dopo pochi minuti dall’eviscerazione, si manifestarono delle larve di anisakis che erano vive e vitali, e pertanto,
potenzialmente pericolose per la salute. Venne quindi prelevato un ulteriore
campione di alici, e le successive analisi svolte dall’istituto Zooprofilattico accertarono che le larve visibili e vitali che erano presenti nelle alici sequestrate,
erano della famiglia degli Anisakis.
Il ricorrente sostiene ora che l’appartenenza al genere delle Anisakis non
sarebbe significativo, perché soltanto due delle relative specie sarebbero patogene. Trattasi di una eccezione di merito che non può essere svolta per la prima
volta dinanzi a questa Corte di legittimità e che comunque è generica, perché
non viene nemmeno indicato di quale specie non pericolosa si sarebbe trattato.
La motivazione sul punto non appare manifestamente illogica perché parla di
larve di parassiti potenzialmente pericoli, e non è smentito che le larve di anisakis sono appunto potenzialmente pericolose.
Le medesime considerazioni possono essere fatte in ordine alla censura secondo cui le larve sarebbero state trovate nei visceri delle alici e quindi in una
parte non edibile. Si tratta anche qui di una censura in fatto non proponibile
(per di più per la prima volta) in questa sede. Del resto il fatto che le larve si
trovassero nei visceri delle alici non esclude di per sé la loro potenziale pericolosità
Il giudice, sempre con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha messo in rilievo che le larve dei parassiti vivi e vitali si manifestarono dopo pochi minuti dalla eviscerazione, e in particolare si manifestarono ictu ocu/i come attive e vitali.
Non è pertanto censurabile la sua valutazione che si trattava di alici «manifestamente infestate da parassiti».
E’ congrua ed adeguata anche la motivazione sull’elemento soggettivo, individuato nella colpa consistita nel non avere l’imputato effettuato
l’autocontrollo richiesto dalla normativa dopo l’acquisto delle due casse di alici
al mercato ittico all’ingrosso e prima di porle in vendita. Il giudice invero ha
osservato che di tale autocontrollo non vi era alcuna prova, perché l’imputato
non era stato in grado di produrre la scheda di autocontrollo né al momento
dell’ispezione dell’Asl né in dibattimento.
Il giudice, ad abundantiam, ha altresì osservato che quand’anche fosse vero quanto affermato dall’imputato a sua difesa, e cioè che avrebbe effettuato il
controllo, tramite eviscerazione di quattro-cinque esemplari, su due cassette acquistate, ciò non sarebbe stato sufficiente ad escludere il suo comportamento
colposo. E ciò perché — specie trattandosi di prodotti ittici, quali le alici, in cui
spesso sono presenti larve parassitarie della famiglia degli anisakidi — il controllo non sarebbe stato compiuto su un numero sufficientemente rappresentativo di campioni, tale, cioè, da consentire di verificare in modo effettivo che le alici poste in vendita fossero prive di parassiti. Con congrua motivazione, quindi,
il giudice ha valutato che il comportamento del prevenuto non appariva con-

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forme alla normativa vigente, né idoneo a manifestare la sua buona fede nella
verifica della presenza di parassiti, prima della immissione in vendita del pesce
acquistato, essendosi limitato ad effettuare un controllo sommario ed approssimativo su un numero assolutamente esiguo di esemplari.
Il secondo motivo è del tutto generico e si risolve in una censura in punto
di fatto della decisione impugnata, avendo il giudice fornito adeguata motivazione sull’esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 12
novembre 2014.

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