Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33888 del 15/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33888 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PAGLIARO GIANLUCA N. IL 20/03/1971
avverso la sentenza n. 2443/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
14/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 15/05/2014

i

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 14 febbraio 2013 la Corte di Appello di Catania
confermava la sentenza del Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Augusta, in
data 15 giugno 2010, che aveva condannato l’imputato Gianluca Pagliaro alla pena
di giorni venti di arresto, sostituita con la corrispondente sanzione pecuniaria di
euro 760,00 di ammenda, in quanto ritenuto responsabile del reato di porto

2007 in Augusta.
2.Avverso l’indicato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato personalmente, il quale ne ha chiesto l’annullamento per mancata
ammissione di prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al denegato
espletamento di perizia per accertare la natura delle tracce di sostanze residue sul
coltello in sequestro, accertamento che avrebbe consentito di verificare che l’arma
era stata condotta con sé perché funzionale alla propria attività lavorativa.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile in quanto basata su motivi manifestamente
infondati.
1.11 ricorrente si duole del mancato espletamento di perizia, ma trascura che
tale istituto non può considerarsi in senso proprio prova nella disponibilità delle
parti, e tanto meno prova decisiva, in modo che il suo diniego possa essere oggetto
di doglianza deducibile col ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 cod. proc.
pen., comma 1 lett. d): si tratta piuttosto di strumento di “carattere neutro” la cui
introduzione nel processo è “il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da
adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione” (Cass. sez. 6, n. 43526 del
03/10/2012, Ritorto e altri, Rv. 253707; sez. 6, n. 456 del 21/9/2012, Cena ed
altri, rv. 254226; sez. 4, n. 14130 del 22/01/2007, Pastorelli e altro, rv. 236191;
sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, P.G. in proc. Ligresti ed altri, rv. 229665).
2. Inoltre, non ha alcun fondamento anche la censura che solo genericamente
sostiene essere carente la motivazione della sentenza impugnata laddove ha
ritenuto inconducente la perizia sollecitata dalla difesa: il ricorrente si limita a
ribadire la decisività dell’indagine peritale, ma omette di specificare a quale
concreta attività sarebbe stato destinato il coltello e non tiene conto che tale
strumento era stato rinvenuto nel cruscotto della sua autovettura privata e non
all’interno del veicolo utilizzato per l’attività di autotrasportatore. Difetta dunque la
prova della correlazione tra il motivo addotto a giustificazione della condotta e le
circostanze nelle quali l’oggetto era stato condotto al di fuori dell’abitazione.
1

/71.1 v•

ingiustificato fuori dell’abitazione di un coltello, fatto commesso il 15 novembre

2.1 Come fondatamente rilevato nella sentenza impugnata, per costante
insegnamento di questa Corte, “il “giustificato motivo” del porto degli oggetti di cui
all’art. 4, comma secondo, L. 18 aprile 1975 n. 110, ricorre solo quando particolari
esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali
lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto,
alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento, alla normale
funzione dell’oggetto” (Cass. sez. 1, n. 4498 del 14/01/2008, Genepro, Rv.

5/12/1995, Paterni, rv. 203466).
L’impugnazione incorre, pertanto, ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen. nella
sanzione dell’inammissibilità; segue di diritto, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché in
relazione ai profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, al
versamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2014.

238946; sez. 1, n. 41098 del 23/9/2004, Caruso, rv. 230630; sez. 1, n. 580 del

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