Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33883 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33883 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Gabriele Giuseppe, nato a Palermo il 26/05/1961

avverso la ordinanza del Tribunale di Agrigento, in funzione di giudice del
riesame, del 28/10/2013SZu 22 ‘4 13. U19’

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Alfredo Pompeo Viola,
che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
udito il Difensore del ricorrente, avv. Salvino Mondello, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la ordinanza deliberata il 28/10/2013 dal Tribunale di Agrigento,
in funzione di giudice del riesame, di rigetto del ricorso proposto contro il decreto
con il quale, in data 10/04/2012, il Giudice per le indagini preliminari dello stesso
Tribunale aveva disposto, in danno di Giuseppe Gabriele, il sequestro preventivo

Data Udienza: 26/03/2014

della somma di € 112.500,00, già sequestrata in via d’urgenza dalla polizia
giudiziaria.

2. Al fine di facilitare l’individuazione del thema decidendum è necessaria una
ricostruzione delle principali cadenze che hanno segnato il procedimento
cautelare fino al ricorso odierno.
2.1. Il 10/04/2012 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Agrigento ha disposto il sequestro preventivo della somma di euro 112.500,

Lampedusa.
Nell’ambito di una più vasta indagine per fatti corruttivi, che aveva coinvolto
anche il Sindaco del Comune, era stato ritenuto sussistere il

fumus di fatti

sanzionabili a norma degli artt. 318 e 319 cod. pen.: il sequestro si sarebbe
dunque legittimato sia nella prospettiva dell’art. 322-ter del codice citato, sia in
applicazione dell’art.

12-sexies del decreto-legge n. 306/1992, sussistendo

sproporzione tra l’accertata disponibilità di denaro ed il reddito dichiarato o le
attività economiche del Gabriele.
Il competente Tribunale del riesame, con provvedimento del 30/04/2012,
aveva confermato il provvedimento cautelare, ritenendo sussistere il fumus dei
delitti ipotizzati e le condizioni per una confisca a norma dell’art.

12-sexies, e

considerando assorbite le questioni poste con il ricorso per riesame
relativamente all’applicazione dell’art. 322-ter cod. pen.
Questa Corte, con sentenza n. 33883 del 2012, aveva annullato con rinvio il
provvedimento, in primo luogo assumendo che il Tribunale distrettuale avrebbe
dovuto pronunciarsi anche sul sequestro ex art. 322-ter, i cui presupposti sono
diversi da quelli fissati con riferimento all’art.

12-sexies del decreto-legge n.

306/1992. In secondo luogo – ribadendo che la cautela reale può fondarsi sul
mero fumus commissi delicti ma che quest’ultimo deve essere misurato in
relazione alle circostanze del caso concreto e con riguardo ad una specifica
ipotesi di reato – la Corte aveva rilevato il carattere “generale e generalizzante”
degli argomenti spesi in proposito dal Tribunale, in sostanza centrati sulla
reiterazione di esposti che prospettavano fenomeni di corruttela in ambito
comunale, e sul segnale confermativo ed individuale rappresentato da
disponibilità economiche non giustificabili in base al reddito.
2.2. In sede di rinvio, con ordinanza del 5/11/2012, il Tribunale del riesame di
Agrigento aveva nuovamente rigettato il ricorso difensivo relativamente al
sequestro ex art. 12-sexies, revocando invece la misura cautelare con riguardo
all’art. 322-ter cod. pen.

2

[9,

rinvenuta nella disponibilità del Gabriele, capo dell’Ufficio tecnico del Comune di

Diffondendosi sul

fumus degli ipotizzati delitti di corruzione propria ed

impropria, il Tribunale aveva focalizzato per un verso lo strettissimo rapporto
riscontrato tra il Gabriele e l’architetto Gioacchino Giancone,

dominus di una

società (Labproject s.r.I.) coinvolta nelle vicende urbanistiche poste sotto
osservazione per gli ipotizzati fatti di corruttela. Per altro verso erano stati
esaminati tre specifici episodi.
Un tale Albero aveva potuto acquistare un terreno di proprietà comunale con
l’intesa, secondo l’accusa, che ne avrebbe rivenduta una cospicua porzione a

familiare.
In secondo luogo erano state evidenziate anomalie nell’iter amministrativo per
il rilascio di un permesso di costruire a favore della s.r.l. Edilmare.
In terzo luogo era stata evocata la vicenda relativa alla sostituzione del
progettista e direttore dei lavori per la ristrutturazione della sede comunale di
Lampedusa: in luogo del professionista originariamente deputato, con un
provvedimento non registrato e non pubblicato, era stato designato il noto
Giancone. Con il vantaggio, secondo l’accusa, di consentire al professionista di
lucrare gli elevati compensi connessi all’incarico, di promuovere varianti che
avevano enormemente dilatato il valore dell’appalto e di procurare subappalti
alla società dello stesso Giancone.
Poiché la Difesa dell’indagato aveva nuovamente impugnato il provvedimento
di riesame, è intervenuta una seconda sentenza di questa Corte, recante il
numero 27309 del 2013.
Ripercorse le cadenze processuali fin qui richiamate, e valutati brevemente i
primi due tra gli episodi valorizzati dal Tribunale, il Collegio aveva ritenuto che di
nuovo il Giudice del riesame avesse provveduto in base ad un ragionamento
ipotetico e circolare, non superando i vizi argomentativi che avevano portato
all’annullamento del suo primo provvedimento confermativo. Di qui la nuova
decisione di annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

3. L’ordinanza cui si riferisce l’odierno ricorso, dunque, è la terza che provvede
sulla richiesta di riesame contro l’originario provvedimento di sequestro del
Giudice per le indagini preliminari.
Il Tribunale, in via preliminare, ha elencato una serie di fonti cognitive
sopravvenute, considerate utilizzabili nel giudizio di rinvio, essendo state le
stesse poste a disposizione delle parti con la possibilità di un pieno
dispiegamento del relativo contraddittorio.

3

(9,

Giancone e Gabriele, che intendevano edificare delle ville per il proprio uso

3.1. Relativamente alla vicenda Edilmare, le lacune dell’ordinanza impugnata
sarebbero state colmate – ai limitati fini della valutazione concernente il fumus
commissi delicti

dal deposito della relazione del consulente tecnico designato

dal Pubblico ministero, che ha rilevato come: fossero state assentite opere che
violavano platealmente la vigente disciplina delle distanze, e che elevavano fuori
terra un numero di piani superiore a quello massimo previsto dagli strumenti
urbanistici, con sforamento d’un metro e mezzo dell’altezza massima consentita;
fosse stata consentita la realizzazione di unità abitative più piccole dei minimi

dell’opera con occupazione parziale di suoli di proprietà di terzi; fossero stati
adottati accorgimenti testuali o grafici utili a dissimulare almeno in parte le
violazioni indicate, anche mediante accordi diretti tra Giancone e Gabriele
(conversazione telefonica intercettata). L’utilità dello scambio corruttivo sarebbe
consistita nel conferimento, da parte di Edilmare, di un appalto alla nota
Labproject, con la quale, secondo quanto accertato fin dall’inizio grazie a
numerose informazioni testimoniali, i rapporti del Gabriele erano strettissimi.
3.2. Gli accertamenti e le considerazioni del consulente tecnico del pubblico
Ministero sarebbero risolutivi anche quanto alla vicenda Albero. Sarebbero state
riscontrate violazioni di legge e falsità nel procedimento per la cessione del suolo
di pertinenza comunale, interamente gestito dal Gabriele, e sarebbe privo di
giustificazione tecnica il pedissequo provvedimento di rilascio del permesso di
costruire una villa bifamiliare sul suolo in questione.
Le vistose anomalie renderebbero attendibile l’ipotesi accusatoria della
promessa di una successiva rivendita parziale del terreno a favore di Gabriele e
Giancone, al fine appunto di costruirvi l’indicata abitazione.
3.3. Dopo aver rilevato che la sentenza di questa Corte n. 27309 del 2013
non ha mosso rilievi alla motivazione concernente i lavori di ristrutturazione della
sede comunale di Lampedusa, il Tribunale ha osservato che, comunque, vi
sarebbero anche al proposito nuove acquisizioni. In particolare, sarebbe stato
accertato che la variante approvata da Gabriele aveva consentito opere in
difformità dall’autorizzazione in proposito rilasciata dalla competente
Soprintendenza dei beni culturali e ambientali.
3.4. Passando all’esame delle tesi difensive circa l’assenza di una sproporzione
tra risorse lecitamente acquisite dal ricorrente e disponibilità accertate a suo
carico – tema per altro non pregiudicato dalle sentenze di annullamento – il
Tribunale ha operato una ricostruzione di dettaglio degli accertamenti e delle
valutazioni espresse dalla Guardia di finanza, anche in replica a memorie e
deduzioni difensive. Le valutazioni iniziali sono state più volte corrette,
omologando i periodi di raffronto, tenendo conto di redditi non dichiarati, del
4

fissati dalla normativa igienica di riferimento; fosse stata permessa l’elevazione

contributo della moglie dell’interessato alla spese familiari, omettendo la
considerazione di somme asseritamente percepite “in nero” ma smentite dai
presunti elargitori, considerando i movimenti finanziari concernenti una società
cui Gabriele era interessato. Alla fine, anche grazie alle conferme venute dalla
consulenza tecnica disposta sul punto dal Pubblico ministero, il Tribunale ha
ritenuto accertata – nella misura necessaria e sufficiente per la sede – una
sproporzione tra impieghi e redditi quantificabile in circa 397.000 euro.
3.5. Da ultimo, il Tribunale ha ritenuto irrilevante la circostanza allegata dalla

valore eccedente la somma liquida in sequestro, dei quali l’imputato non avrebbe
intenzione di disfarsi.

4. Ricorre nuovamente il Difensore del Gabriele (nei cui confronti, nelle more del
procedimento, è stata avanzata richiesta di rinvio a giudizio).
4.1. Con un primo motivo – dedotto a norma dell’art. 606, comma 1, lettera
c), in relazione agli artt. 34, comma 1, 623, comma 1, lettera a), cod. proc.
pen., e 111 Cost. – il ricorrente assume la nullità del provvedimento impugnato
poiché pronunciato dai medesimi magistrati che avevano deliberato l’ordinanza
del 5/11/2012.
4.2. Con un secondo motivo – proposto in base all’art. 606, comma 1, lettere
b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 110, 416, 323, 476, 483, 353
cod. pen. – il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla configurabilità
dei reati ascritti al Gabriele, e, comunque, l’illegittimità del sequestro disposto a
norma dell’art. 12-sexies.
Le pretese sopravvenienze, rispetto ad un quadro indiziario considerato
inconsistente da questa Corte, sarebbero in sostanza irrilevanti. D’altra parte il
provvedimento impugnato avrebbe violato il principio per il quale la sproporzione
tra redditi e disponibilità deve essere valutata con riguardo ai singoli acquisti ed
al relativo valore. Gli immobili dei coniugi Gabriele sarebbero stati acquistati
quasi tutti prima che l’uomo divenisse funzionario del Comune di Lampedusa,
sarebbero state trascurate ingenti risorse finanziarie disponibili all’inizio del
periodo monitorato a fini di “bilancio” tra redditi e acquisti, sarebbero state
escluse senza ragione somme percepite “in nero” nell’ambito di compravendite
immobiliari, sarebbe stato trascurato che la stessa Guardia di Finanza, nel 2009,
aveva considerato congruo l’impegno del Gabriele nella società cui già si è fatto
cenno.
L’indagine,

completamente

omessa,

avrebbe

dovuto

riguardare

specificamente la somma in sequestro e la sua compatibilità con il complesso dei
redditi e delle disponibilità del ricorrente.
5

(9°

Difesa del Gabriele, cioè la presenza nel patrimonio di questi di beni immobili di

4.3. Con un terzo motivo – art. 606, comma 1, lettere b) e c), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 12-sexies del decreto-legge n. 306/1992 – il ricorrente
sostiene che il periculum in mora avrebbe dovuto essere misurato sulla capienza
patrimoniale dell’imputato, «più che idonea a garantire l’eventuale danno che
dovesse accertarsi essere conseguenza del reato ipotizzato».

CONSIDERATO IN DIRITTO

specificate.
È infondato per altro il primo motivo dell’impugnazione, relativo ad un preteso
vizio di procedura, secondo il quale l’ordinanza de qua sarebbe nulla in quanto
deliberata da giudici in posizione di incompatibilità, trattandosi degli stessi
magistrati che avevano già deliberato sul medesimo ricorso per riesame, con un
provvedimento poi annullato da questa Corte.
Non è corretto, in particolare, l’assunto presupposto alla tesi della pretesa
nullità, e cioè che non possa partecipare al giudizio di rinvio il magistrato che
abbia deliberato in merito ad una istanza di riesame poi annullata. La
giurisprudenza esclude costantemente l’incompatibilità, avuto riguardo
all’assenza di contrarie indicazioni nel testo dell’art. 623 cod. proc. pen. ed alla
connotazione incidentale del procedimento de libertate, che non comporta, per
sua natura, un accertamento sul merito della contestazione (ex multis, Sez. 2,
Sentenza n. 15305 del 29/01/2013, rv. 255783; Sez. 5, Sentenza n. 16875 del
24/03/2011, rv. 250173; Sez. 6, Sentenza n. 3884 del 11/12/2009, rv. 246135;
Sez. 5, Sentenza n. 43 del 16/11/2005, rv. 233060; Sez. 6, Sentenza n. 22464
del 20/04/2005, rv. 232236; Sez. 1, Sentenza n. 23502 del 07/10/2003, rv.
228125; Sez. 6, Sentenza n. 36332 del 19/06/2003, rv. 228411).
Analogamente, il magistrato partecipe del giudizio di riesame relativamente ad
una determinata misura coercitiva può ben prendere parte alla delibazione
sull’appello cautelare promosso contro una ordinanza de libertate attinente alla
stessa misura (Sez. 1, Sentenza n. 29690 del 09/07/2003, rv. 225461; Sez. 1,
Sentenza n. 742 del 31/01/2000, rv. 215499).
Neppure potrebbe dirsi – se questo è il senso dei vaghi riferimenti difensivi
alla giurisprudenza costituzionale in materia di incompatibilità – che la disciplina
in questione contrasti con le garanzie previste dalla Carta. Proprio la
giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito come l’incompatibilità sia
istituto mirato a prevenire che la pronuncia sul merito della contestazione sia
pregiudicata da determinazioni già assunte, riguardo al medesimo fatto,
attraverso provvedimenti cautelari, sempre che gli stessi siano stati adottati in
6

(9,

1. Il ricorso deve essere accolto, per le ragioni che saranno di seguito

fasi diverse del giudizio. Una decisione in tema cautelare non può assumere
valore pregiudicante rispetto ad altra decisione cautelare, quand’anche i relativi
provvedimenti abbiano il medesimo oggetto.

2. Il principio di preclusione, e la stessa logica del sistema impugnatorio,
necessariamente ispirata ad un criterio di effettività delle decisioni del giudice di
grado superiore, impongono che il giudice della cautela si adegui alle
deliberazioni assunte in sede di impugnazione. Ed infatti la legge stabilisce

giudice del rinvio «provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento» (art.
623, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.).
Naturalmente, trattandosi di materia cautelare, ogni decisione deve intendersi
assunta rebus sic stantibus. È sufficiente in proposito, nella sede presente, un
mero cenno alla complessa elaborazione giurisprudenziale in tema di cd.
«giudicato cautelare», ove appunto si specifica che la preclusione indotta dal
giudizio impugnatorio non opera, riguardo al connotato di gravità del quadro
indiziario, quando siano sopravvenuti elementi idonei a modificarne la
consistenza. Va anche precisato che non ogni sopravvenienza implica il
superamento della preclusione, ché altrimenti le garanzie di effettività dei
provvedimenti impugnatori sarebbero facilmente vanificate. Rilevano, piuttosto, i
soli elementi che, aggiungendosi al compendio probatorio già valutato in sede di
impugnazione, ne modificano la fisionomia in modo significativo, cioè tale da
legittimarne in ipotesi una diversa lettura.
Nel caso di specie, come si è visto, per due volte questa Corte ha identificato
uno scostamento dal corretto modello di ragionamento probatorio nei
provvedimenti che, in sostanza, imputavano le «irregolarità» connesse a tre
vicende amministrative ad un accordo corruttivo di volta in volta concluso tra il
Gabriele e le persone interessate, sia pure nella prospettiva tipica della sede,
cioè quella del fumus commissi delicti.

Per due volte, questa Corte ha definito

assertiva e «circolare» la giustificazione offerta dal Giudice del riesame per
l’assunto che non mancherebbe, nella specie, il fumus della corruzione.
Con l’ordinanza impugnata il Giudice del rinvio, ben consapevole della
necessità di motivare diversamente o con riferimento ad un quid novi, ha
stabilito, con ampia ed argomentata valutazione, che rilevanti elementi di prova
si sarebbero aggiunti al compendio del quale la pubblica accusa disponeva
all’epoca della seconda sentenza di annullamento. Si tratta dunque di un
provvedimento attento, e pienamente conforme all’astratto modello legale cui
doveva ispirarsi e conformarsi. Questa Corte, però, deve dissentire dall’opinione

7

espressamente che, quando la Corte di cassazione annulla una ordinanza, il

che, nel caso di specie, le sopravvenienze abbiano significativamente mutato il
quadro preesistente.
Si tratta d’un profilo di illegittimità sufficientemente delineato dal ricorrente,
che pure ha privilegiato il tema «sostanziale» dell’esistenza di indizi apprezzabili
del fatto corruttivo. In ogni caso, la motivazione del provvedimento impugnato
non supera l’obiezione posta da questa Corte con i provvedimenti richiamati, e
cioè che l’esistenza di uno «scambio» tra gli atti dell’ufficio ed una prestazione
corruttiva non può essere meramente enunciata, neppure quando si tratti di

3. Il Tribunale ha concentrato la propria attenzione soprattutto sulla cd. «vicenda
Edilmare», della quale già sopra si è detto (cfr. § 2.2. e § 3.1. del Ritenuto in
fatto), elencando una serie di atti processuali rappresentativi di un «ulteriore
sviluppo».
Si tratta di atti successivi alla sentenza di questa Corte n. 33883 del 2012 e
antecedenti – esclusa la richiesta di rinvio a giudizio, irrilevante sul piano
probatorio – a quella n. 27309 del 2013, deliberata il 29 maggio dello scorso
anno. Occorre aver riguardo, in realtà, alle risultanze illustrate nell’ordinanza del
5/11/2012, poi annullata con la seconda delle sentenze citate. Ma ogni specifica
indagine al proposito è resa superflua dalla stessa ed accurata esposizione del
Tribunale. Nessuno degli atti indicati veicola la diretta rappresentazione di
circostanze di fatto in precedenza sconosciute. L’unica eccezione è (forse) data
dalla relazione di consulenza tecnica richiesta dal Pubblico ministero e depositata
1’8/02/2013, nella quale sono indicati specifici profili di illegittimità del
procedimento e dei provvedimenti amministrativi assunti nell’ambito della
vicenda.
Ora, l’illegittimità di atti riferibili al Gabriele, nel suo ruolo di capo dell’Ufficio
tecnico del Comune di Lampedusa, era stata ipotizzata ab initio, e comunque non
era stata oggetto di rilievi nei provvedimenti impugnatori. Nella sua prima
ordinanza il Tribunale agrigentino aveva sviluppato un ragionamento generico ed
ipotetico. Tale ragionamento era stato corretto, anche mediante uno specifico
riferimento al sinallagma tra conferimento dell’appalto alla Labproject e
«forzature» nell’iter amministrativo, con la seconda ordinanza. Questa Corte ha
però giudicato espressamente irrilevante tale correzione, criticando la confusione
e la scarsa comprensibilità dei riferimenti alle anomalie della procedura, ma
soprattutto enunciando la «circolarità» del ragionamento probatorio ed un
perdurante tono «possibilistico» della motivazione a proposito dell’accordo
corruttivo.

8

(pP

verificare i presupposti di una misura cautelare reale.

Da questo punto di vista, le novità introdotte dalla relazione del consulente
tecnico sono palesemente irrilevanti. Ed in effetti l’ipotesi che Gabriele avesse
agito dietro promessa del conferimento dell’appalto alla Labproject – ipotesi non
priva di plausibilità – per la terza volta risulta oggetto di una mera enunciazione,
di una possibilità non acclarata da elementi di prova storica né da stringenti
elementi di prova logica. Anzi, proprio le caratteristiche generali e particolari
della vicenda, e del rapporto tra il ricorrente e l’indicata società di progettazione,
smorzano la potenziale concludenza del dato rappresentato dalle irregolarità di

commesso a fini di ingiusto arricchimento proprio od altrui, pur nell’assenza
(appunto) di una promessa corruttiva (e per il delitto di cui all’art. 323 cod. pen.
non è prevista la confisca ex art. 12-sexies del decreto-legge n. 306/1992).

4. Considerazioni analoghe si impongono, mutatis mutandis, relativamente ai
due episodi ulteriori cui si riferisce il provvedimento impugnato, per altro
collocandoli in prospettiva subordinata rispetto a quella della vicenda Edilmare.
La consulenza tecnica richiesta dal Pubblico ministero ha meglio focalizzato
irregolarità della procedura nella vicenda Albero, ma non attiene al sinallagma
ipotizzato dai Giudici del merito (la promessa di una successiva cessione parziale
del terreno in questione), di nuovo oggetto di mera enunciazione.
Da ultimo, e negli stessi termini (sebbene – come nota il Tribunale – la
seconda sentenza di questa Corte abbia omesso specifiche considerazioni al
proposito), il Collegio ritiene di valutare la vicenda della ristrutturazione del
palazzo comunale di Lampedusa, ove, per vero, non si comprende bene neppure
la sequenza, causale se non cronologica, tra il coinvolgimento della Labproject e
le irregolarità asseritamente commesse dal Gabriele nel proprio ruolo di
funzionario comunale.

5. La Corte deve dunque concludere – pur a fronte di un provvedimento corretto
nell’impostazione ed accuratamente motivato – che i rilievi svolti dal Tribunale
non valgono a superare la preclusione generata dai provvedimenti susseguitisi
nel corso del tempo, e comunque ad identificare con sufficiente nettezza, e sia
pure in termini di fumus, un preciso fatto di corruzione cui ancorare la cautela
patrimoniale. L’ordinanza va dunque annullata con rinvio, affinché il Tribunale
possa di nuovo esaminare il ricorso per riesame, definendolo alla luce dei principi
e dei rilievi cumulatisi nelle fasi impugnatorie.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

9

(9,

procedura: basti pensare all’eventualità di un abuso di ufficio, in ipotesi

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Agrigento.

Così deciso il 26/03/2014.

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