Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33874 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33874 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Di Gioia Isidoro nato il 20 gennaio 1982 avverso
l’ordinanza del tribunale della libertà di Napoli del 20 febbraio 2014. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; lette le
conclusioni del sostituto procuratore generale Gianluigi Pratola, sul rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Napoli,
decidendo sull’appello presentato nell’interesse di Di Gioia Isidoro avverso
l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 13 dicembre 2013 che aveva rigettato l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare
della custodia carceraria – ha confermato l’ordinanza impugnata.
Nel ricorso presentato si contestano violazione di legge – con riguardo agli
artt. 275 comma 3 0 cod. proc. pen., 16 nonies legge n. 45 del 2001 – e vizio
di motivazione rilevando come il Tribunale si sia limitato a respingere il
gravame sulla osservazione che l’intervenuta scelta collaborativa
dell’imputato, la quale pure ha consentito un notevole guadagno investigativo

Data Udienza: 15/07/2014

nello smantellamento dell’organizzazione criminale di stampo mafioso
capeggiata dallo stesso, oltre al comportamento processuale concretamente
tenuto, non sarebbero sufficienti nel caso concreto a superare la presunzione
di pericolosità sociale determinata dalla contestazione dell’aggravante del
metodo mafioso, e ciò benché la detta attività di collaborazione, riconosciuta
proficua in sede di cognizione, costituisca uno di quegli elementi ritenuti dal
legislatore idonei a superare la presunzione di sussistenza delle esigenze

modalità mafiose o per agevolare l’attività delle associazioni mafiose.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Nel suo provvedimento, il Tribunale ha chiarito come, acclarata nel caso
concreto la esistenza di esigenze cautelari, a seguito dell’intervenuta
condanna in primo grado del ricorrente per i delitti ascritti, non siano
intervenuti fatti nuovi e diversi sufficienti a giustificare una riconsiderazione
sulla attualità delle esigenze già all’epoca accertate come esistenti, che possa
concludersi con un giudizio di adeguatezza della meno affittiva misura degli
arresti domiciliari.
Chiarisce il tribunale come non possano rilevare evidentemente a tal fine né
– per quanto esposto – il profilo indiziario e nemmeno la semplice attività di
collaborazione avviata dai ricorrente la quale, in se stessa considerata, non
può ritenersi garanzia sufficiente di una scelta radicale di rimozione di
qualsivoglia legame con la precedente attività delinquenziale.
In questa valutazione, il tribunale correttamente richiama la giurisprudenza di
legittimità per cui in tema di misure cautelari personali, la scelta di collaborare
con la giustizia, pur essendo elemento rilevante ai fini del superamento della
presunzione di pericolosità sancita dall’art. 275, comma 3, c.p.p., non
comporta automaticamente la prognosi di adeguatezza di una misura meno
afflittiva, essendo comunque necessaria la valutazione delle esigenze cautelari
e la concreta verifica che il comportamento collaborativo sia garanzia, nella
prospettiva della diversa condizione di vita intrapresa, di una scelta radicale di
rimozione di qualsivoglia legame con la criminalità organizzata e, in
particolare, con la precedente attività delinquenziale (Cass. sez. I, 5.4.2011,
n. 21245).
Sempre fondatamente la corte territoriale rileva che il programma di
protezione provvisorio stabilito a favore dell’odierno ricorrente non risulta
ancora approvato. L’inserimento nel programma presuppone infatti un

cautelari di speciale rigore stabilite in relazione ai delitti commessi con

accertamento positivo delle qualità personali, che non richiedono un onere
dimostrativo da parte dell’interessato ai fini della valutazione sull’esistenza
della pericolosità sociale; con la conseguenza che in questi casi, il requisito
della pericolosità deve essere accertato sulla base di elementi di fatto in grado
di superare la presunzione che il proposto abbia reciso i legami con il mondo
criminale, presunzione derivante proprio dalla ammissione al programma di
protezione per i collaboratori di giustizia (Cass. sez. VI, 4.12.2012, n. 17930).

inserimento, si comprende come l’attività collaborativa realizzata dal
ricorrente non abbia assunto la caratura necessaria per significare la definitiva
rottura del rapporto tra il soggetto ristretto cautelarmente e le organizzazioni
criminali in cui in precedenza si trovava ad essere inserito.
A fronte di ciò, il tribunale argomenta sulla gravità, continuatività ed intensità
della condotta criminale tenuta negli anni dell’odierno ricorrente, condotta
manifestatasi in fatti di estorsione continuata ed aggravata oltre che nelle
vicende che vedono l’odierno ricorrente protagonista di diversi procedimenti
penali pendenti e lo trovano attualmente attinto da ulteriori titoli custodiali per
fatti analoghi a quelli oggetto del presente processo.
Sulla scorta di queste considerazioni, logicamente, il tribunale esclude che la
meno affittiva misura degli arresti domiciliari sia idonea a contenere il pericolo
di reiterazione dei gravi reati riferibili all’imputato, avendo egli dimostrato un
elevato tasso di trasgressività ed una notevole capacità di porre in essere
comportamenti tali da costítire un serio pericolo per l’intera comunità nella
quale si trova ad essere inserito.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p.

Così deliberato il 15.7.2014

Nel caso di specie, tuttavia, non essendosi ancora realizzato il citato

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