Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33864 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33864 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Leopoldo Lidia, nato il 17 gennaio 1969, avverso la
sentenza della corte di appello di Napoli del 19 marzo 2013. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite le
conclusioni del sostituto procuratore generale Gianluigi Pratola, sulla
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la corte di appello di Napoli, decidendo
sull’appello proposto da Leopoldo Lidia avverso la sentenza del tribunale della
medesima città in data 19 giugno 2008, di condanna della stessa per i reati
ascritti, ha dichiarato non doversi procedere in relazione a taluni reati perché
estinti per prescrizione, confermando invece la condanna per i delitti di
ricettazione e riducendo di conseguenza la pena inflitta.
Nel ricorso presentato personalmente dall’imputata si lamenta vizio di
motivazione in ordine alla responsabilità per l’episodio del giorno 21 luglio
2000 giacché le emergenze documentali e dibattimentali confliggerebbero con
le argomentazioni sviluppate dalla corte, determinandosi pertanto la

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Data Udienza: 15/07/2014

contraddittorietà della sentenza rispetto agli atti processuali costituiti dal
verbale del 19 gennaio 2006, nella quale data si tenne un’udienza in cui
l’ispettore Pontone, in qualità di teste, si limitò a richiamare le proprie
relazioni di cui fu disposta l’acquisizione, che in realtà avvenne soltanto in
parte: cosicché il fatto da provare non risulterebbe compiutamente
rappresentato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Nella sentenza impugnata, a pagina 4, la corte di appello, dopo aver
richiamato la compiuta motivazione del tribunale, ha chiarito come nessun
dubbio sussiste sulla penale responsabilità dell’imputata per il fatto di
ricettazione in questione alla luce delle relazioni tecniche del 10 febbraio 2001
e del 5 settembre 2002 a firma dell’ispettore Pontone, relazioni acquisite in
atti con il consenso delle parti, nonché alla luce dei verbali di sequestro
acquisiti al fascicolo dibattimentale con gli atti irripetibili avenbi ad oggetto sia
gli assegni che i documenti di identità risultati di provenienza furtiva e
falsificati con l’apposizione della fotografia di riconoscimento dell’odierna
imputata; e inoltre in ragione delle deposizioni assunte nel corso del
dibattimento di primo grado, soprattutto quelle degli inquirenti, le quali
ricostruiscono i fatti di cui ai capi di imputazione e dettagliatamente
riferiscono dell’attività di polizia giudiziaria svolta: con particolare riguardo alla
identificazione della odierna ricorrente come autrice dei contestati fatti di
reato.
A fronte di tale logica motivazione, e delle precise affermazioni in essa
contenute circa gli elementi costituenti la piattaforma probatoria su cui è stata
pronunciata la sentenza di condanna, il ricorso si limita a sintetiche
affermazioni circa la non corrispondenza al vero di quanto sostenuto dalla
corte; sempre nel ricorso, l’imputata dichiara di allegare documenti che invece
non allega; né si preoccupa di prendere posizione circa le contrastanti
affermazioni della corte territoriale: con ciò dimostrando anche un difetto di
correlazione rispetto la sentenza impugnata.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente
al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle

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spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deliberato il 15.7.2014

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