Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33862 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33862 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fava Stefano, n. a Civitavecchia il 23 agosto 1968;
Verde Gioacchino, n. Roma il 4 agosto 1951
Mastracco Massimo, n. a Roma il 22 novembre 1967
ricorrono avverso la sentenza, in data 9.11.0212, della Corte di Appello di Roma che, in
riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato rispettivamente Fava Stefano alla pena
di anni uno mesi otto di reclusione ed euro 600,00 di multa, con sospensione condizionale della
pena per i delitti di ricettazione e truffa; Verde Gioacchino alle pena di anni tre di reclusione ed
euro 2000,00 di multa per il reato di riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen.; Mastrocco Massimo
alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 1500,00 di multa per il delitto di
ricettazione.
Sentito il relatore cons. Giovanni Diotallevi,

Data Udienza: 03/06/2014

Udite le conclusioni del P.G. cons. Elisabetta Cesqui, che ha concluso per l’inammissibilità dei
ricorsi;
sentito l’avv.to Davide Verri del foro di Roma, di fiducia per Verde Gioacchino, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Fava Stefano, Verde Gioacchino, Mastracco Massimo ricorrono avverso la sentenza, in dataì
..

9.11.2012, della Corte di Appello di Roma che, in riforma della pronuncia di primo grado ha
condannato i ricorrenti rispettivamente alla pena di: anni uno mesi otto di reclusione ed euro

600,00 di multa, con sospensione condizionale della pena a favore di Fava Stefano, per i delitti
di ricettazione e truffa; Verde Gioacchino alle pena di anni tre di reclusione ed euro 2000,00 di
multa per il reato di riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen.; Mastracco Massimo alla pena di anni
tre mesi sei di reclusione ed euro 1500,00 di multa per il delitto di ricettazione.
Chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato Fava deduce:

a) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in

La Corte di Appello avrebbe acriticamente fatto riferimento alla motivazione del giudice di
primo grado senza valutare le specifiche doglianze proposte in sede di appello. Già in fase di
appello il ricorrente aveva lamentato la carenza di motivazione della sentenza di primo grado,
a cui i giudici di secondo grado si sarebbero integralmente riportati. L’assenza di una congrua
motivazione, pertanto, determinerebbe la nullità assoluta della sentenza impugnata.

b)

Inosservanza di norme penali e processuali, mancanza, contraddittorietà, manifesta

illogicità della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 125 comma 3, 192 commi 1 e 2 cod. proc. pen., art. 648, 42,43 cod. pen.
La Corte d’appello si sarebbe riportata alle conclusioni dei giudici di primo grado e la
motivazione sarebbe del tutto carente; non sarebbe stata fornita la prova in ordine
all’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, considerato che il ricorrente ha versato
l’assegno sul proprio conto personale e non su altri a lui non riferibili. Pertanto, mancherebbe
la prova circa la consapevolezza dell’illecita provenienza dello stesso, o dell’accettazione del
rischio atta a configurare anche una forma meno intensa di dolo eventuale. Del resto, a
connotare la trasparenza della condotta del Fava vi sarebbe anche il fatto che il conto è stato
aperto nel luogo di residenza dello stesso, fatto questo, non valutato dal giudice di primo
grado.
Inoltre di sarebbe dovuto tenere in considerazione che il Fava, ad un mese dal versamento
dell’assegno, versò una somma a titolo di compensazione legale a favore della banca.
Infine si doveva considerare che la falsificazione dell’assegno non era stata rilevata nemmeno
dagli stessi impiegati della banca.
Per tutte queste ragioni, quindi, mancherebbero elementi su cui fondare la responsabilità in
capo al Fava per il delitto di ricettazione.

c) Inosservanza di norme penali processuali, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125
comma 3 cod. proc. pen., 42,43,54 e 648 cod. pen.
La Corte avrebbe giudicato sussistente l’elemento soggettivo del dolo solo sulla base della
accertata alterazione dell’assegno. La sentenza, in considerazione degli elementi sopra citati,

relazione agli artt. 125 comma 3, 192 comma 1 e 3 cod. proc. pen.

risulterebbe gravemente erronea e contraddittoria, posto che le circostanze del caso concreto
avrebbero ampiamente dimostrato la totale assenza in capo al Fava di un intento illecito, ossia
di trarre profitto e di celare una precedente attività illecita.
Allo stesso modo, non può condividersi la valutazione della Corte circa la valutazione relativa
all’assenza di cause di giustificazione; invero, il giudice d’appello avrebbe dovuto valutare la
grave condizione di precarietà in cui versava il ricorrente.

d) Inosservanza o erronea applicazione di norme penali e processuali, contraddittorietà,

relazione agli artt. 133,157, 125 comma 3, 192 commi 1 e 3 cod. proc. pen., 648 comma 2 ,
62 bis e 133 cod. pen.
La Corte territoriale, in ragione dei dati esposti, avrebbe dovuto derubricare l’ipotesi nella
fattispecie attenuata di cui all’art. 648 comma 2.
Peraltro, il fatto di reato così riqualificato sarebbe estinto per intervenuta prescrizione.

e) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, mancanza contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 62 bis, 648 comma 2, 163, 164 cod. pen.
La Corte avrebbe erroneamente determinato la pena, escludendo l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche, per una gravità dei fatti che in realtà non risulterebbe
sussistente.

Gioacchino Verde, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato deduce:

a) Carenza, contraddittorietà della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. In
relazione alla mancanza dell’elemento psicologico del reato allo stesso contestato, ovvero
assoluta carenza di motivazione in merito alla ipotizzata sussistenza del favoreggiamento di cui
all’art. 379 cod. pen. in alternativa al più grave reato di riciclaggio.
Il giudice dell’appello avrebbe operato un totale rinvio, sia in punto di diritto che di fatto, alla
motivazione della sentenza di primo grado. Dalla articolata istruttoria dibattimentale, invero,
sarebbe emersa una diversa verità processuale che avrebbe consentito di contraddire quanto
ritenuto dal giudicante relativamente alla piena consapevolezza della provenienza delittuosa
dei soldi transitati sul conto corrente del ricorrente.
Dagli atti del processo, infatti, sarebbe emersa la condizione dirimente data dal vincolo
parentale dell’imputato con il fratello, tanto che il ricorrente avrebbe deciso di non fare alcuna
domanda né di operare alcun accertamento sulla provenienza del bene, ritenendosi garantito
dalla figura del fratello.
Invero, le argomentazioni della Corte avrebbero fondato l’elemento psicologico del delitto in
questione solo ed esclusivamente su circostanze concrete dell’azione, quali il numero degli

manifesta illogicità della motivazione, ex art. 606 comma 1 lett. b), c) ed e9 cod. proc. pen., in

assegni, l’importo complessivamente rilevante, la mancata giustificazione da parte del Verde
Antonio del tipo di operazione portata a termine e le note condizioni personali e giudiziarie di
quest’ultimo. Da tali dati, però, non emergerebbe alcuna indicazione in ordine all’elemento
soggettivo.
Ciò posto, il giudice non avrebbe nemmeno tenuto in considerazione l’ipotesi alternativa
prospettata dalla difesa, in ordine alla riqualificazione del fatto come favoreggiamento reale e
non come riciclaggio, ed anzi, avrebbe respinto questa differente ricostruzione con una

b) Mancanza di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen.
Le risultanze dibattimentali avrebbero dovuto indurre il giudicante ad una dosimetria della
pena più contenuta, anche alla luce del ruolo assunto dall’imputato. L’omessa applicazione
delle citate attenuanti, del resto, sarebbe stata giustificata con una motivazione erronea ed
eccessivamente sintetica.
Nell’applicazione della pena, infine, la Corte non avrebbe correttamente utilizzato i criteri di
dosimetria sanciti dall’art. 133 cod. pen.

Massimo Mastracco, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato deduce:

a) Inosservanza e erronea applicazione della legge penale ex art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen. in relazione agli artt. 62, 62 bis e 133 cod. pen.
Il ricorrente sostiene che avrebbero dovuto essergli riconosciute le circostanze suddette posto
che al momento dei fatti egli era incensurato, che il reato sarebbe stato compiuto dietro
minaccia di ritorsioni alla sua famiglia, che lo stesso avrebbe collaborato con le autorità per
individuare gli autori del reato, e che i giudici avrebbero riconosciuto le attenuanti generiche e
la sospensione condizionale della pena all’altro imputato, Stefano Fava, colpevole dei medesimi
reati ascritti al ricorrente, a parità di condizioni.

motivazione carente e contraddittoria.

b) Violazione articolo 3 della Costituzione
Caik riferimento a quanto dedotto sub a) i giudici d’appello avrebbero violato i principi di
eguaglianza davanti alla legge e di proporzionalità della pena.

c) Violazione e erronea applicazione di legge penale ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc.
pen. in relazione all’art. 533 cod. pen.
In ragione della particolare tenuità dell’incasso i giudici avrebbero dovuto applicare la 1
fattispecie attenuata di cui al comma 2 dell’art. 648 cod. pen., applicando le circostanze
attenuanti e concedendo i benefici di legge richiesti.

d) Inosservanza e erronea applicazione dell’articolo 10 comma 2 e 6 legge 251/2005.
Il fatto reato avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione

e) riforma della sentenza per ciò che concerne il pagamento delle spese processuali, tenuto
conto del fatto che il Mastracco è padre di famiglia e disoccupato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono manifestamente infondati.

sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso e che peraltro erano già
state proposte in appello.
Peraltro, ritiene il collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello
non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità “ex officio” in
ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei
motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico
– giuridici, come è avvenuto nel caso di specie. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una
delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata
inammissibile a norma dell’art. 606, terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen.”. ( Cass. pen.,
sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748) (si veda sui vari punti la ricostruzione dei fatti e l’analisi
critica delle doglianze del ricorrente, esente da censure logico giuridiche fatta dalla Corte
d’appello alle pag. 21 – 23 della sentenza impugnata).

3. Con riferimento ai motivi di ricorsi del Verde Gioacchino anch’essi, a parere della
Corte, sono inammissibili. E’ infatti assolutamente infondata la prospettata ipotesi di qualificare
come favoreggiamento l’attività delittuosa configurata come riciclaggio. Nel caso in esame è
stato applicato il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale il delitto di
favoreggiamento reale è una figura criminosa sussidiaria rispetto a quella del riciclaggio di
denaro, allorquando siano ravvisabili gli estremi di detta ipotesi delittuosa, sicchè, in tal caso,
va affermata la sussistenza del reato di riciclaggio ed esclusa quella del reato di
favoreggiamento reale (v. per tutte,

Sez.

2,

Sentenza n.

43295 del

24/11/2010

Ud. (dep. 06/12/2010 ) Rv. 248949. Ciò premesso deve ritàrsi che integra il delitto di
riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche
a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità
(Sez. 2, n. 1422 del 14/12/2012 – dep. 11/01/2013, Atzori, Rv. 254050), come è avvenuto nel
caso in esame, in cui il ricorrente ha messo a disposizione del fratello il proprio conto corrente
ove versare gli assegni intestati a persona a lui sconosciuta per un importo rilevante , pari a
50.000,00 euro. In apparenza dunque si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si
prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente, ciò che non è
consentito nel giudizio di legittimità; si prospettano, cioè, in gran parte questioni di mero fatto

2. Osserva il collegio che il ricorso del Fava è manifestamente infondato perchè nella

che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una
motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da
questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di
legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n° 12/2000, .lakani, rv
216260), in particolare con il vaglio operato nei confronti delle affermazioni della sentenza di
primo grado, analiticamente e criticamente rivisitate in appello (v. pagg. 24 ,25 della sentenza
impugnata).
Per quanto riguarda il capo b) del ricorso osserva la Corte che i criteri di dosimetria

condotta processuale, al disvalore della condotta e appaiono coerenti anche nella logica
complessiva dell’equilibrio della sanzione tra tutti i correi.

4.

Osserva la Corte che, in ordine ai motivi dedotti dal ricorrente Mastracco e

concernenti la mancata concessione delle attenuanti generiche, dell’attenuante di cui all’art.
648 cpv. c.p. e i criteri di dosimetria della pena la motivazione è ampia e articolata, sia con
riferimento al valore della somma incassata, centinaia di migliaia di euro,attraverso titoli di
provenienza delittuosa contraffatti, di cui non ha giustificato il possesso, sia con riferimento
alla qualità criminale dell’azione posta in essere (v.pagg. 19 e 20 della sentenza impugnata);
allo stesso modo è assolutamente infondata la richiesta declaratoria di prescrizione in ordine al
reato di ricettazione, non essendo ancora trascorso, alla data della pronuncia della presente
sentenza, il termine decennale previsto dalla legge a far data dalla commissione del reato (28
giugno 2004 – 15 settembre 2004); il ricorso, per tutti questi punti, è inammissibile stante
l’assoluta genericità dello stesso. Sotto questo profilo il ricorso è infatti privo della specificità,
prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni
svolte dal giudice d’appello, che non risultano viziate da illogicità;
Questa corte ha stabilito che “La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti
prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivi- rende
l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi,
quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla
dichiarazione di inammissibilità”. (Cass. pen., sez 1, 22.4.97, Pace, 207648);
5. Alla luce delle suesposte considerazioni , va dichiarata, pertanto l’inammissibilità dei
ricorsi cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrentk: al
pagamento delle spese processuali nonché di ciascuno al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorso, si
determina equitativamente in Euro 1000;

della pena utilizzati sono stati ampiamente richiamati, in relazione alla gravità dei fatti, alla

PQM
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
peiascuno , inoltre, al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle

ammende.

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