Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3386 del 06/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3386 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

Hudan Yevheniya, nata in Ucraina il 2.3.52
Vatamanesko Daniela, nata in Ucraina il 21.2.85
imputate art. 291 quater, bis e ter D.P.R. 43/73

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 7.11.13
Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Pasquale Fimiani, che ha chiesto una
declaratoria di inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Le ricorrenti sono accusate di
avere fatto parte, unitamente a numerosi altri soggetti, di un’associazione transnazionale
dedita alla commissione di vari reati legati al traffico illegale di tabacchi lavorati esteri ed, in
particolare, di avere introdotto in Italia svariate migliaia di chilogrammi di TLE.
Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello ha ribadito la pena di due anni di
reclusione, inflitta alla Vatamanesko, e quella di due anni ed otto mesi di reclusione, irrogata
alla Hudan

Data Udienza: 06/11/2014

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, le condannate hanno proposto ricorso,
la Hudan, personalmente e, la Vatannanesko, a mezzo difensore, deducendo:
Hudan

vizio della motivazione con riferimento al diniego di prevalenza delle
2)
attenuanti generiche sulle aggravanti. In particolare, la motivazione sarebbe contraddittoria,
quando, in relazione alla posizione di Niculai, si nega attendibilità alla sua discolpa di avere
agito solo per conto della Hudan ma, al contempo si afferma che la ricorrente ha dimostrato
una inquietante personalità avendo “reclutato” a proprio vantaggio la manovalanza del Niculai.
Vatamanesko

1) nullità degli atti per loro mancata traduzione nella lingua ucraina conosciuta
dall’imputata. Le traduzioni, nel corso del procedimento, sono, infatti, state effettuate da
interpreti di lingua polacca e la relativa eccezione è stata sollevata dall’imputata sia in sede di
ammissione al giudizio abbreviato che con motivo di appello. Si ricorda, per contro, che l’art.
143 c.p.p., anche in base alla lettura datane dalla Corte costituzionale (n. 10/93) impone una
tutela dell’imputato attraverso il ricorso alla traduzione, non solo degli atti orali ma anche di
quelli scritti;
2) vizio della motivazione con riguardo alla mancata pronuncia di una sentenza,
assolutoria, quantomeno, ex art. 530 cpv c.p.p. ed al diniego delle attenuanti generiche. A tal
fine, si rammenta che le accuse si basano esclusivamente su intercettazioni telefoniche che
però non sono sufficienti a dimostrare la responsabilità dell’imputata visto che ad essa viene
contestato e riconosciuto un solo episodio di contrabbando. La motivazione, sul punto, non è
adeguata tanto da essersi, al massimo, raggiunta la prova di una connivenza più che di un
concorso della Vatamanesko. Comunque, a tutto concedere, avrebbero dovuto esserle
riconosciute le attenuanti generiche per mitigare una pena che si ritiene eccessiva.

Le ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Motivi della decisione – Entrambi i ricorsi sono inammissibili perché generici,
assertivi e tendenzialmente in fatto.
3.

3.1. Quanto al ricorso della Hudan, si osserva che il primo motivo è, per l’appunto,
sviluppato tutto su considerazioni afferenti il merito della vicenda e puntano ad ottenere una
rivisitazione delle prove acquisite in un’ottica riduttiva e più favorevole all’imputata.
Tale approccio è, però, erroneo perché dinanzi a questa S.C. possono essere denunciati
solo vizi logici della motivazione (o sua mancanza) mentre non si può ottenere una rilettura degli
stessi elementi se non a rischio di trasformare questo giudizio in un terzo grado di merito.
Nella specie, si osserva che l’esposizione fattuale della Corte è ampia, esauriente, chiara
e coerente con le conclusioni che vengono tratte.
In particolare, i giudici ricordano che le accuse alle odierne ricorrenti avevano tratto
origine dal sequestro di 690 kg di t.l.e. introdotti in Italia da soggetti provenienti dalla Polonia
(al confine polacco-ucraino) che si erano organizzati proprio per commercializzare in modo illegale
ingenti quantitativi di tabacchi esteri reperiti in Ucraina e successivamente trasferiti in Italia,
via terra, attraverso valichi in Friuli, destinati prevalentemente al mercato lombardo.

2

1) violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla prova della
appartenenza alla associazione. Si sostiene, infatti, che la ricorrente si è limitata ad acquistare
sigarette solo in alcune occasioni ed a rivenderle per ricavare qualcosa in quanto si trovava in
difficoltà economiche. Inoltre, si fa notare che, dalle intercettazioni, risulta che la Hudan era
autonoma perché, quando non riceve il tabacco dalla Bozena, si rivolge ad un altro fornitore a
dimostrazione dell’assenza di vincoli con il gruppo criminoso ipotizzato;

(come dimostrato dalla stessa difficoltà con cui i vettori dei tabacchi lo avevano rintracciato la prima volta).

Alla luce di questi semplici rilievi (evocati a titolo esemplificativo) non è difficile concludere
che la sentenza impugnata non presta il fianco a critiche di sorta essendo essa ampiamente
argomentata e logica.
L’episodio appena richiamato nel trattare il motivo precedente costituisce valida e
corretta chiave di lettura del ragionamento della Corte nel disattendere la tesi difensiva della
Hudan a proposito di quanto la stessa sostiene nel suo secondo motivo. Ed infatti, deve dirsi
che la circostanza che la Corte non abbia creduto alla discolpa di Niculai non dipende dal fatto
– sostenuto nel ricorso
che i giudici si contraddicano e non credano che la Hudan non avesse
dato disposizioni a Niculai, bensì dal fatto che i giudici ritengono Niculai molto più coinvolto e
meno passàvo di quanto egli voglia fare intendere (come, appunto, l’episodio del rinvenimento del locale

box testimonia).

L’evocazione dell’argomento da parte della ricorrente, al fine di evidenziare pretese
contraddizioni da parte della corte territoriale, è, dunque suggestivo e vano perché – come visto
– infondato e, comunque, nuovamente volto a lucrare un diverso apprezzamento delle prove,
sia pure al solo scopo di ottenere un diverso esito del giudizio di bilanciamento tra le
circostanze. Deve, però rammentarsi che tale valutazione è tipica espressione del potere
discrezionale dei giudici di merito sì che, ancora una volta, l’unico controllo effettuabile in
questa sede attiene alla logica della chiave interpretativa, non certo alla possibilità di
apprezzare diversamente gli stessi elementi. Nel caso di specie, la replica dei giudici di secondo
grado all’analoga richiesta di prevalenza delle generiche sulle aggravanti non lascia spazio a
dubbi circa la sua congruità. Si dice, infatti, che la comparazione non può consentire un
giudizio più favorevole considerato che la Hudan «ha dimostrato una inquietante personalità»
per il ruolo svolto per lungo tempo giungendo a “reclutare” «a pieno titolo a suo vantaggio (e
copertura) la manovalanza del Niculai».

Venendo a trattare della posizione della Vatamanesko, la inammissibilità
3.2.
del primo motivo discende da rilievo che si tratta della riproposizione del medesimo motivo di
appello cui la Corte ha replicato in modo congruo, logico e complessivamente inattaccabile sì
da rendere, di fatto, il presente motivo di gravame solo “apparente”.
A proposito, infatti, della mancata traduzione degli atti nella lingua ucraina (corrispondente
alla nazionalità della donna) i giudici sviluppano una serie di considerazioni del tutto obiettive,
logiche e corrette volte a sostenere che non vi era ragione di dubitare che l’imputata non
avesse compreso le accuse mossele e non si fosse potuta difendere. Al contrario, tanto chiaro
le era risultato il quadro delle contestazioni che, in piena libertà, ella aveva optato per il rito
alternativo del giudizio abbreviato.
Non si deve prescindere, poi, dalla considerazione che l’affermazione dell’imputata secondo cui ella avrebbe sollevato l’eccezione anche in sede di ammissione di rito abbreviato è priva di riscontro (ed anzi, contrastata dalla opposta asserzione dei giudici secondo i quali, prima di quella
3

Le intercettazioni di utenze telefoniche mobili e vari servizi di controllo avevano
permesso di accertare che, a capo dell’organizzazione, era Lukaszewska Bozena.
Per quel che attiene al fatto ascritto alla Hudan, Lukaszewska aveva pianificato con tale
Drozd Artur, il trasporto e le modalità di ricezione della merce da parte di alcuni destinatari tra
i quali, appunto, la Hudan, detta Eugenia.
La Corte, nel replicare alRanalogo) argomento difensivo (volto a mettere in discussione la
partecipazione della Hudan all’associazione), dopo un’attenta disamina di tutte le emergenze, e dopo
aver rammentato la peculiarità dell’ipotesi associativa qui contestata, ha sottolineato come il
tenore delle conversazioni intercettate abbia messo in evidenza, non soltanto la frequenza ed
abitualità di contatti tra la Hudan e la Lukaszewska ma anche che l’abitualità dei loro rapporti
e la «consuetudine di trattative illecite in materia di contrabbando sussistente tra i medesimi»
sono testimoniate dal fatto che, ad esempio, in occasione dell’episodio di cui al capo c), la
Bozena «addirittura mostra l’intenzione di cedere a credito il tabacco ad Eugenia e Virgil
(Niculai, altro coimputato non ricorrente n.d.r. ) che, in un secondo momento, avrebbero corrisposto il
prezzo. Altro elemento sintomatico di pieno inserimento della Hudan e di sua cointeressenza
con gli altri componenti l’organizzazione, la Corte lo segnala nel fatto che la Hudan (unitamente al
predetto Niculai), per riporvi la merce, aveva noleggiato a Milano un box in un luogo ben nascosto

In ogni caso, il fatto stesso di avere esercitato
l’opzione verso il rito speciale è implicita riprova che ella era stata in grado di comprendere e
decidere.
Quanto, poi, alla eventualità che l’eccezione sia stata sollevata dopo avere scelto il rito
abbreviato, vale, in primo luogo, il concetto secondo cui (S.U. 23.6.00, Tammaro, Rv. 216246) il giudizio
abbreviato costituisce un procedimento “a prova contratta”, alla cui base è identificabile un
patteggiamento negoziale sul rito (a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita
scelta, ella non aveva mai sollevato eccezioni del genere).

In tal modo, le parti acconsentono anche ad attribuire agli elementi raccolti nel corso delle
indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio
che si svolge invece nelle forme ordinarie del “dibattimento” e rinunciano implicitamente a far
valere eventuali vizi non “patologici”.
Per di più, va ricordato che (da ult. Sez. II, 9.10.12, Haymad, Rv. 253841) il diritto accordato
all’imputato, che non sia in grado di comprendere la lingua italiana, di essere assistito
gratuitamente da un interprete e che obbliga alla traduzione degli atti processuali, non nasce
automaticamente dalla condizione di non cittadinanza dell’imputato, ma dall’oggettiva
constatazione dell’impossibilità o difficoltà di comprendere la lingua italiana, impossibilità che
deve essere dichiarata e dimostrata caso per caso.
Nella specie, però – come bene sottolineano i giudici – non vi è neppure motivo di dubitare in
concreto che l’imputata non comprendesse adeguatamente tanto la lingua italiana che quella
polacca. Ed infatti, «la donna è in Italia da tempo ed ha, con costanza, disimpegnato
occupazioni lecite che, verosimilmente, l’hanno posta a contatto con interlocutori italiani».
Inoltre, è per ammissione della stessa difesa (che anzi, valorizza il dato per “spiegare” le accuse come una
semplice complicità amorosa della donna con Drozd Artur) che la ricorrente aveva una relazione con il
coimputato polacco. Infine, non deve dimenticarsi neppure che il presente giudizio nasce
dall’accusa di avere intrattenuto rapporti continuativi con la Lukaszewska, ritenuta a capo
dell’organizzazione criminosa, che è, appunto, polacca.
Nel trattare, infine, il secondo motivo di doglianza della ricorrente, valgono in gran
parte le medesime considerazioni svolte a proposito del secondo motivo della Hudan.
Anche in questo caso, infatti, si è al cospetto di un palese sforzo di prospettare i fatti
sotto una diversa ottica nell’auspicio che questa S.C. convenga e ribalti il giudizio espresso dai
giudici di merito. Non è però questo il compito di questa S.C. restando del tutto estraneo al
suo giudizio la possibilità di considerare i fatti sotto una diversa angolazione. Tanto più se si
tratta di riconoscimento o meno di circostanze attenuanti e/o di loro giudizio di bilanciamento.
Il loro riconoscimento, infatti, è il risultato di un apprezzamento squisitamente in fatto, è
connesso alla esistenza di obiettivi fattori dai quali discende la possibilità di un giudizio più
benevolo e costituisce apprezzamento inattaccabile in sede di legittimità nella misura in cui —
qualunque essa sia – la decisione è motivata in modo congruo e logico sì da escludere il dubbio di
essere al cospetto di mero arbitrio.
Come visto, quanto al merito, la condanna della Corte è stata ampiamente argomentata
ricordandosi come, attraverso le intercettazioni emerga la prova della esistenza di un rapporto
fiduciario tra la ricorrente (detta “Daniela”) e la Lukaszewska (f. io) sicché, la tesi della ricorrente,
secondo cui la Corte avrebbe potuto assolverla, si risolve in una mera petizione di principio.
Analogamente, i giudici hanno respinto le doglianze in punto di trattamento sanzionatorio
osservando che mancavano presupposti obiettivi per un’attenuazione della pena considerata la
gravità delle accuse ed, in particolare, il ruolo «non meramente periferico ed esecutivo»
dell’imputata.

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna delle ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e, ciascuna, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di
1000 €.

4

all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova).

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e, ciascuna, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C

Così deciso il 6 novembre 2014

Il Presidente

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