Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3384 del 06/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3384 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Vantaggiato Dario, nato a Lecce il 13.5.81
imputato art. 73 T.U. stup.

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 19.4.13
Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Pasquale Fimiani, che ha chiesto una
declaratoria di inammissibilità del ricorso;
Sentito il difensore dell’ avv. Sabrina Conte, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – L’accusa mossa al ricorrente è di
avere concorso, con il fratello Luca, nella detenzione di un quantitativo netto di 909,303 gr. di
eroina rinvenuta in una cisterna presso l’abitazione dell’imputato dove i CC. si erano recati per
una perquisizione dopo avere effettuato l’arresto di Luca. Con la sentenza impugnata, la Corte
d’appello ha confermato la condanna inflitta in primo grado alla pena di 4 anni di reclusione e
20.000 e di multa.

Data Udienza: 06/11/2014

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Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite

1) e 2) erronea applicazione della normativa penale in tema di concorso di
persone e contraddittorietà della motivazione a proposito del rapporto di convivenza dei due
fratelli.
Per sostenere i propri argomenti, la difesa opera un ampio excursus sul contesto
familiare in cui è maturata la vicenda che sottostà alla imputazione e ricorda che è pacifico, per
ammissione dello stesso Luca, che quest’ultimo è tossicodipendente e che ha ammesso di
avere anche svolto attività di spaccio. E’, infatti, a seguito dell’arresto di quest’ultimo che gli
investigatori hanno rivolto la propria attenzione anche nei confronti dell’odierno ricorrente, il
fratello Dario. Quest’ultimo, per parte sua, ha sempre spiegato che gli stava così a cuore la
sorte del fratello Luca da averlo convinto a frequentare il SERT, accompagnandovelo ed, infine,
accettando di detenere la droga presso di sé per aiutarlo a “scalare”. Egli aveva anche
acconsentito a cedere al fratello Luca uno spazio presso la propria abitazione dove il fratello
poteva accedere e tenere alcuni effetti personali (tanto è vero che Luca era in possesso delle chiavi di casa
di Dario). In tal modo, Luca, tradendo la fiducia del fratello, era riuscito a lasciavi un
quantitativo ben maggiore di quello necessario alla semplice somministrazione “a scalare”.
E’ appunto su tale circostanza che il ricorrente registra una prima illogicità
motivazionale nella sentenza della Corte territoriale. Per un verso, infatti, essa sostiene che
Luca conviveva con i genitori, in altro passaggio, però, riconosce ai fratelli lo status di
coabitanti (precisamente nella parte in cui – f. 5. – parla di “abitazione occupata dai genitori” ovvero di “casa di
mamma e papà”).

La critica mossa alla sentenza è di non aver approfondito i risvolti giuridici di tale stato
di cose e precisamente della condizione di convivenza tra i fratelli. La corte territoriale, infatti,
ignora quelle pronunzie che hanno escluso il concorso quando, in tema di detenzione di
stupefacente l’agente abbia mantenuto un ruolo meramente passivo tollerando ed assistendo
inerte alla condotta dell’altro. In altre parole, perché si abbia concorso, è richiesto un
contributo partecipativo – morale e materiale – alla condotta altrui (sez. VI 14606/10; Sez. IV
11392/06; Sez. VI, 9986/98). Di certo, poi, l’abitazione, se pure formalmente di proprietà dell’odierno
imputato, era abitata anche dal fratello ben prima che esso divenisse, per scelta unilaterale di
quest’ultimo, luogo di detenzione di sostanza stupefacente;
3) motivazione illogica ed assente su un aspetto decisivo. La critica si appunta,
invero, sulla mancata considerazione del decisivo contributo offerto dal ricorrente all’arresto
del fratello (rintracciato proprio grazie ad un vero e proprio “stratagemma” predisposto dallo stesso
Vantaggiato Dario). Oltretutto, la Corte erra, e la motivazione è manifestamente viziata, quando
attribuisce significato accusatorio al rinvenimento nell’abitazione di Dario” (quella occupata anche
dai genitori) del bilancino e di ritagli di plastica, qualificando il tutto come strumentario da
spaccio quando, per contro, è stato dimostrato che si trattava di normali utensili domestici;
4) e 5) errata interpretazione dell’art. 378 c.p. e motivazione mancante o
illogica. Sostiene, infatti, il ricorrente che, sebbene sia innegabile la validità della decisione
delle sezioni unite citata anche dalla corte d’appello (36258/12) in tema di discrimine tra
favoreggiamento personale e concorso nel reato, la Corte incorre nella illogicità di sostenere,
per un verso, che Dario Vantaggiato ha concorso nell’illecito “cessato solo a seguito dell’arresto
del fratello Luca” e, dall’altro – ammettendo che l’illecito è “cessato con l’arresto di Luca” – non
si avvede che il fatto di buttare la droga nella cisterna è da qualificare come post factufn non
punibile perché successivo al crimine.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
In data 18.10.14, il difensore ha fatto pervenire dei motivi aggiunti.
6) e 7) motivazione mancante illogica e contraddittoria circa l’asserita inconfigurabilità
della fattispecie di cui all’art. 48 c.p. (errore sul fatto determinato dall’altrui inganno).

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2. Motivi del ricorso
difensore, deducendo

Il delitto ascritto al Vantaggiato, infatti, deve ritenersi a lui non imputabile a causa
dell’inganno perpetrato ai suoi danni dal fratello. A favore di tale ipotesi, militano l’indole ed i
trascorsi dell’imputato, che è sempre stato ostile al mondo della droga, nonché il
comportamento da lui tenuto nell’immediatezza dei fatti (quando ha dato un contributo decisivo per la
cattura del fratello).

Per contro, la motivazione del giudice ruota tutta attorno a mere presunzioni che,
comunque, evidenzierebbero, al massimo, una condotta colposa dell’imputato (non avere accertato
Altra critica viene rivolta all’operato degli agenti che non hanno descritto con precisione
dove si trovassero la droga e tutto quanto rinvenuto; in ogni caso, si rammenta che anche
questa S.C. ha affermato (sez. VI 20796/10) che il semplice fatto di cercare di far scomparire la
droga non è di per sé dimostrativo di un previo accordo con la persona convivente nella
detenzione dello stupefacente “in assenza di altri indici significativi” che, però, qui non si
rinvengono.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso merita accoglimento per le ragioni di seguito
precisate.
La circostanza che l’odierno ricorrente si fosse prodigato per aiutare il fratello Luca a
liberarsi dalla schiavitù della droga è data per ammessa anche dai giudici quando affermano
che «comprensibile ed apprezzabile è risultato essere l’impegno dell’imputato in relazione ai
problemi di tossicodipendenza del fratello».
Non risulta, quindi, coerente la consequenziale affermazione della Corte territoriale
secondo cui tale comportamento non eliderebbe «l’antigiuridicità della condotta per cui è
causa» posto che, l’indiscutibile co-detenzione della droga, da parte del Vantaggiato Dario, per
integrare l’ipotesi criminosa, avrebbe dovuto essere supportata da un preciso elemento
psichico del quale, però, i giudici non hanno dato conto in modo adeguato.
Per ammissione dello stesso ricorrente, è pacifico, solo il fatto in sé che egli diede al
fratello la possibilità di custodire la droga presso il proprio appartamento (di cui il fratello Luca
aveva le chiavi). Il punctum dolens è, però, rappresentato dall’interrogativo circa la conoscenza,
da parte del ricorrente, dell’attività di spaccio che Luca Vantaggiato aveva intrapreso di quella
droga depositata presso la casa del fratello e, quindi, della condivisione, quantomeno a livello
morale, da parte del ricorrente, di tale illecita attività.
Il discrinnine è molto sottile ma significativo posto che, in un caso, si verserebbe in una
mera attività (non punibile) di favoreggiamento nella detenzione per proprio uso personale, da
parte di Luca Vantaggiato, dello stupefacente che veniva custodito in casa del ricorrente,
mentre invece, nella ipotesi che Vantaggiato Dario fosse stato a conoscenza dell’uso illecito
della droga posto in essere da Luca, la sua condotta sarebbe sicuramente censurabile.
A tale riguardo deve osservarsi che è ben vero che questa Corte (sez. IV, 8.3.06, Billeci, Rv.
233724)
ha affermato che, in costanza di detenzione dello stupefacente, il reato di
favoreggiamento non è configurabile perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del
colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve inevitabilmente in un concorso,
quanto meno, a carattere morale, ma è anche certo che, nella specie, la condotta del
ricorrente – per quanto accertato – si è sicuramente sostanziata solo nella messa a
disposizione del proprio appartamento per la custodia di droga. La fattispecie, quindi, è ben
diversa da quella presa in esame dalla sentenza prima citata (Rv. 233724) ove, invece, si trattava
di un caso concreto nel quale l’imputata, all’arrivo della polizia, aveva nascosto la droga
detenuta in casa dal convivente, vale a dire, si era trattato di una condotta decisamente attiva
(e, per come si dirà più avanti, non assimilabile alla presente neppure considerando il gesto di Vantaggiato Dario, di
aver buttato la droga nella cisterna).

In tesi difensiva, la disponibilità offerta da Vantaggiato Dario al fratello dovrebbe
essere giustificata con il fatto che la droga avrebbe dovuto essere solo utilizzata da Luca per
realizzare una sorta di “terapia a scalare”. Come accertato, però, lo stupefacente era stato
sicuramente utilizzato da Luca Vantaggiato anche per finalità di cessione illecita a terzi.

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meglio quanta droga contenesse il pacco).

Il punto è, però, che i giudici di merito nulla hanno detto a proposito della
consapevolezza, da parte dell’imputato, di tale illecita attività e, quindi, della sua condivisione
o – quantomeno — agevolazione cosciente limitandosi a valorizzare la mera detenzione.
Né ragioni di convincimento nel senso del concorso cosciente e volontario possono
rinvenirsi dalla semplice condotta, del vantaggiato Dario, del disfarsi della droga dopo l’arresto
di Luca. Si tratta, infatti, di comportamento dai contenuti altamente equivoci. Innanzitutto,
esso è intervenuto quando ormai il fratello del ricorrente era già stato arrestato ed, a tale
arresto, aveva contribuito fattivamente proprio il ricorrente Vantaggiato Dario (con condotta che
Inoltre, risulta che quest’ultimo ebbe a disfarsi della droga (per così dire) “con calma”,
vale a dire, non solo, dopo che Luca era già stato arrestato, ma anche, dopo essersi recato ad
un appuntamento di lavoro (v. deposizioni di Vantaggiato Pierpaolo, Marchese Francesca e Miacola Luca). Un
tale modo di agire, perciò, lascia aperti grandi spazi al dubbio che la eliminazione della droga
abbia rappresentato per il ricorrente solo una sorta di gesto di “chiusura” di una brutta storia
culminata (nel giorno in cui essa è posta in essere) con l’arresto del proprio fratello.
Tenendo ciò presente, dunque, sembra più appropriato ricordare – come già affermato (Sez.
6.2.07, Camera, Rv. 236195) — che il discrimine tra la condotta che costituisca concorso nel reato di
illecita detenzione di stupefacenti e la condotta che invece dia luogo all’autonomo reato di
favoreggiamento personale va rintracciato nell’elemento psicologico dell’agente. Esso deve
essere valutato in concreto, per verificare se l’aiuto (che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva
del reato permanente) consapevolmente prestato ad altro soggetto, sia l’espressione di una
partecipazione al reato oppure nasca solo dall’intenzione – manifestatesi attraverso individuabili
modalità pratiche
di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato. Nel caso concreto di
cui alla decisione appena citata, questa Corte, sulla base dell’analisi delle contingenze di fatto
così come emergenti dalla sentenza di merito, aveva ritenuto che entrambi gli imputati, (ancor

prima che si concretizzasse il tentativo
da parte del preteso favoreggiatore
di lanciare la droga dalla
finestra), avessero concorso per un lasso di tempo non insignificante a detenere

consapevolmente la droga medesima.
Non risulta, però, che, nella fattispecie qui all’esame, i giudici di merito abbiano
enucleato elementi fattuali specifici ed ulteriori (rispetto alla mera eliminazione della droga nelle
circostanze sopra ricordate) tali da illuminare circa la codetenzione consapevole di Vantaggiato
Dario per le finalità di cessione sicuramente poste in essere da Vantaggiato Luca.
Opportuno, a tal fine, è il richiamo, da parte del ricorrente, anche di quella pronuncia
(Sez. VI, 10.2.10, Hamou, Rv. 247324) secondo cui, in tema di illecita detenzione di stupefacenti, la
condotta consistita nel subitaneo tentativo di disfarsi della droga, all’atto dell’irruzione in una
abitazione delle forze dell’ordine, non è di per sé dimostrativa, “in assenza di altri indici
significativi”, di un previo accordo con la persona convivente nella detenzione dello
stupefacente, ben potendo la stessa condotta essere interpretata come l’atteggiamento di chi,
spontaneamente o su sollecitazione del detentore, si risolva ad aiutarlo a sottrarsi alla sua
responsabilità penale.
E’ ben vero, come osservano i giudici di merito, che la buona fede dell’imputato avrebbe
potuto emergere al di là di ogni ragionevole dubbio se, al momento dell’arresto del fratello, egli
avesse informato le forze dell’ordine della esistenza, presso la propria abitazione, di un
ulteriore quantitativo di droga, ma è anche vero che la fattispecie qui in considerazione – anche
solo a volersi attenere alle dichiarazioni difensive – evidenzia una condotta “al limite”, vale a dire,
quella di un soggetto che, non si era peritato di “esporsi” in modo decisamente “equivoco”
come è, appunto, il fatto di mettere il proprio appartamento a disposizione del fratello
tossicodipendente affinché questi potesse continuare a detenere droga per assumerla in dosi
via via minori. Non deve, quindi, sorprendere l’assenza di un tale senso civico da denunciare la
presenza di altra droga e, piuttosto, pensare bene solo di disfarsene.
A ben vedere, il ragionamento della Corte “prova troppo” perché si basa su principi
assoluti ed avulsi da un contesto sicuramente ambiguo che lascia aperta la strada al
“ragionevole dubbio”. Per tale motivo, perciò, non residua spazio neppure per l’ulteriore
obiezione della Corte di inverosimiglianza della tesi di avere, il Vantaggiato, deciso di
consentire al fratello di tenere la droga presso di lui per non dare un dispiacere ai genitori.
Dicono i giudici che essa sarebbe smentita dal fatto che, comunque, Luca Vantaggiato era
risultato detenere droga di vario tipo anche sopra il comodino della stanza da lui occupata
presso l’abitazione dei genitori. A ben vedere, infatti, quest’ultima è condotta sicuramente
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non può essere sminuita – come fatto dai giudici – sol perché si è trattato “solo” di collaborazione con le forze
dell’ordine e non di i8niziativa spontanea dell’imputato).

A ben vedere, quindi, gli unici elementi obiettivi a carico dell’imputato enucleati dai
giudici di merito, si risolvono nella mera constatazione di fatto della detenzione della droga e
di avere, egli, cercato di disfarsene.
Quanto alla prima, però, come detto fin qui, il ricorrente ha fornito una giustificazione
che i giudici hanno ritenuto non credibile con argomenti che non sono risultati né logici né
decisivi per dimostrare, oltre il ragionevole dubbio, che quella (ammessa e spiegata) detenzione
della droga da parte di Dario fosse, in realtà, una cosciente e volontaria codetenzione, con
Luca, per finalità di spaccio.
Né, come appena illustrato, tale elemento psichico emerge con certezza dal gesto di
Dario di disfarsi della droga (una volta analizzate le circostanze nelle quali esso è avvenuto).
Per altro verso, di certo, non sono decisive neppure le evocazioni giurisprudenziali del
ricorrente circa il fatto che Dario si sarebbe limitato a tollerare il fatto che il fratello spacciasse
perché proprio quelle pronunzie citate (es. sez. vi n. 14606/10) sarebbero, per contro, idonee a
giustificare la condanna del Vantaggiato. Esse, infatti, sostengono che il discrimine tra la
connivenza non punibile ed il concorso nel reato è dato dal fatto che, la prima, postula un
comportamento meramente passivo ed inidoneo ad apportare alcun contributo alla
realizzazione del reato mentre nel concorso di persone punibile è richiesto un contributo
partecipe – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui. Orbene, posta la questione in
questi termini, è indubbio che, ove Vantaggiato Dario fosse stato conscio della destinazione
illecita data dal fratello Luca alla droga che egli gli consentiva di tenere presso la propria
abitazione solo per una “terapia a scalare” e, ciò nonostante, avesse continuato a fargliela
tenere, il contributo sarebbe stato palese e non solo morale visto anche che la “coabitazione”
del fratello Luca era solo parziale avendo già, egli, una originaria e sicura base presso la casa
dei genitori. In pratica, cioè, qualora fosse dimostrato che Dario era consapevole della
destinazione allo spaccio data dal fratello Luca alla droga che egli gli consentiva di tenere
presso di sé, sarebbe sicuramente venuta meno la finalità “umanitaria” del fratello di aiutare il
congiunto a disintossicarsi e la protrazione di quello status quo non avrebbe potuto atteggiarsi,
da parte sua, come una mera condotta passiva (come auspicato dalla difesa).

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riferibile solo a Luca Vantaggiato la cui “lealtà” e “coerenza” sono stati più che
ragionevolmente smentiti dalla emersione della presente vicenda di spaccio. Non sembra,
quindi, che siffatto comportamento, solo di Luca (di cui non vi è neppure prova che Dario fosse a
conoscenza) possa essere utilizzato come dimostrazione del concorso di Dario nella detenzione a
fini di spaccio della droga poi rinvenuta nella cisterna.
Ed il dubbio sulla esistenza di un valido elemento psichico, da parte del ricorrente,
permane anche riflettendo sul fatto che esso non può certo essere desunto in via del tutto
presuntiva da pretese cognizioni di Dario (circa il peso della droga custodita nella sua abitazione) che egli
avrebbe dovuto acquisire – non certo per una esperienza specifica nel settore dello spaccio (non
va dimenticato che l’imputato è privo di censure di ogni tipo) — ma, semplicemente, grazie alla
frequentazione del proprio fratello tossicodipendente e del SERT presso cui egli lo
accompagnava.
Pur essendo logicamente innegabile che siffatto tipo di rapporto parentale potesse in
qualche modo avere indotto nell’imputato cognizioni che sono patrimonio solo di specifiche
conoscenze, è veramente eccessivo pretendere che, non solo, egli avesse acquisito
competenze così profonde da cogliere a colpo d’occhio il peso della sostanza custodita nella sua
casa ed il numero di dosi da essa ricavabili ma, soprattutto – anche a volerlo ammettere sembra un volo pindarico inferire da ciò anche la cosciente e volontaria partecipazione
all’attività di cessione che Luca faceva della droga custodita presso l’appartamento
dell’imputato.
Al tutto deve soggiungersi che se gli elementi appena commentati testimoniassero un
cosciente e volontario concorso del Vantaggiato all’illecita attività di spaccio del fratello Luca,
coerenza avrebbe voluto che, una volta arrestato il fratello, Dario avesse continuato per
proprio conto tale lucrosa ed illecita attività.
Di certo, invece, il fatto di buttare la droga e l’armamentario relativo (bilancino) in una
cisterna dove parte della droga, al momento del rinvenimento, si era già disciolta, non appare
essere attività idonea a preludere ad una prosecuzione di quell’attività di spaccio che qui si
vuole ascrivere al ricorrente.

Il punto è, però, come detto che la sentenza impugnata non ha adeguatamente
spiegato da quali elementi fattuali si evinca, senza ombra di dubbio, che Dario fosse a
conoscenza dell’attività di spaccio posta in essere dal fratello Luca con la droga che egli gli
consentiva di custodire presso di sé al solo – asserito – fine di disintossicarsi.
La situazione analizzata è sicuramente ambigua e si presta a diverse interpretazioni;
quella offerta nella specie dai giudici di merito per sostenere l’affermazione di responsabilità e, soprattutto, l’elemento psichico del reato ipotizzato – non è, però, allo stato, coerente con
la logica e richiede, quindi, una rivalutazione del caso previa restituzione degli atti alla Corte
d’appello di Lecce (Sezione di Taranto) perché svolga un nuovo giudizio alla luce dei rilievi fin
qui mossi.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce (Sezione di Taranto).

Così deciso il 6 novembre 2014
Il Presidente

P.Q.M.

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