Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33830 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33830 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti dall’imputato Pietro Adragna, nato a Erice (TP) il 3.7.1986,
nonché dalle parti civili Gianluigi Munna e Giuseppina Ventrone, avverso la
sentenza del 19 aprile 2013 emessa dalla Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo;
udito il sostituto procuratore generale Alfredo Pompeo Viola, che ha concluso
chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito l’avvocato Giuseppe Buscaino che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
proposto nell’interesse delle parti civili.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Palermo, in
parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Trapani in data 10

Data Udienza: 26/03/2014

febbraio 2011, ha riconosciuto Pietro Adragna responsabile del reato di cui
all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 contestato al capo a), per avere ceduto
un quantitativo di eroina a Leonardo Munna e lo ha condannato alla pena di
anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa, mentre ha confermato nel
resto la sentenza assolutoria con riferimento al reato di cui all’art. 586 c.p.
(capo b), in ordine alla morte dello stesso Munna a seguito dell’assunzione

I giudici di appello hanno ritenuto provato che l’imputato ebbe a cedere
una dose di eroina al Munna, prova che è costituita dalla conversazione
telefonica intercorsa tra Giuseppe Aleo e Giuseppe Giacalone in cui il primo
riferisce al secondo che Adragna consegnò una dose di eroina al Munna poco
prima del decesso. Si tratta di un elemento probatorio che, a differenza di
quanto ha fatto il giudice di primo grado, è stato fortemente valorizzato dai
giudici di secondo grado, che hanno considerato pienamente attendibile e
credibile quanto riferito dal testimone nel corso della citata conversazione.
Riguardo all’altro reato, la sentenza ha sostenuto che risulta dimostrato
che la dose ceduta dall’imputato e assunta dal Munna ne provocò la morte,
tuttavia ha escluso, per l’insufficienza delle prove, la sussistenza dell’elemento
soggettivo colposo, in quanto non ha riscontrato alcuna violazione di regola
precauzionale da parte dell’imputato, diversa dalla norma che incrimina la
condotta di cessione della droga, essendo stato accertato che la vittima non si
trovasse in stato di ubriachezza, sicché l’evento morte non era né prevedibile
né evitabile da parte dell’imputato.

2. L’imputato ha proposto personalmente ricorso per cassazione e con il
primo motivo ha dedotto il vizio di motivazione della sentenza criticandola
nella parte in cui ha valorizzato la conversazione intercettata di Aleo con
Giacalone, senza tenere conto delle dichiarazioni rese dallo stesso teste in
udienza, in cui ha categoricamente escluso di avere assistito alla cessione
della dose in favore del Munna, sostenendo di aver visto solo una stretta di
mano tra i due.
Con il secondo motivo ha lamentato la mancata valutazione di
attendibilità del teste Aleo, sottolineando che lo stesso non era soggetto
indifferente all’esito del processo, dal momento che in una prima fase delle

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dello stupefacente ceduto.

indagini, anche a causa dei sospetti della madre della vittima, è stato ritenuto
uno dei possibili responsabili della morte del Munno.
Anche il terzo motivo riguarda il vizio di motivazione determinato dalla
mancata valutazione delle deduzioni difensive contenute nella memoria
depositata in udienza e del tutto ignorata dalla Corte d’appello.
Con il quarto motivo lamenta l’eccessività della pena nonostante il

Con l’ultimo motivo censura la sentenza per non aver accertato una serie
di circostanze rilevanti, tra cui l’epoca del decesso della vittima che, secondo
la ricostruzione fornita dalla difesa, risaliva al giorno successivo all’incontro
con l’imputato.

3. Anche le parti civili costituite hanno presentato ricorso per cassazione.
Con il primo motivo hanno dedotto l’erronea applicazione degli artt. 185
c.p. e 2059 c.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque
risarcire il danno non patrimoniale conseguente alla perdita del familiare.
Con il secondo motivo hanno denunciato la manifesta illogicità della
motivazione in quanto, dopo aver riconosciuto che la causa della morte del
Munno è da porre in relazione con l’assunzione della dose di eroina cedutagli
dall’imputato, ha comunque negato ogni conseguenza risarcitoria in capo
all’autore del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato è fondato nei limiti di
seguito indicati.
4.1. La decisione di primo grado ha assolto Adragna da entrambi i reati
contestati ritenendo che le prove acquisite non fossero sufficienti a fondare un
giudizio di colpevolezza, perché inidonee a dimostrare l’avvenuta cessione
della dose di eroina al Munna, anche in considerazione del rilevante lasso di
tempo intercorso tra l’incontro dei due – alla presenza del teste Aleo – e l’ora
del decesso dello stesso Munna.
I giudici di secondo grado, invece, hanno operato una rivalutazione della
testimonianza di Aleo, soprattutto con riferimento alla sua conversazioni con
tale Giuseppe Giacalone, intercettata il 10.3.2006.

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riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di lieve entità.

Mentre il Tribunale ha ritenuto che Aleo non è mai stato in grado di
precisare, né nel corso delle indagini, né in dibattimento, se vi sia stato uno
scambio tra l’imputato e il Munna, anzi ha sottolineato che lo stesso teste
avrebbe riferito che il Munna, richiesto se avesse ricevuto una dose
dall’Adragna, gli avrebbe risposto negativamente, la Corte d’appello, pur
dando atto del tenore delle dichiarazioni rese dall’Aie° in dibattimento, ne

10.3.2006, da cui desume che l’Aie° abbia riferito al Giacalone che l’imputato
aveva consegnato al Munna una dose di eroina. Invero, la stessa
conversazione viene diversamente interpretata dal primo giudice, il quale
ritiene che l’Aie° abbia riferito una sua impressione, un suo convincimento.
E’ evidente come l’elemento distintivo tra le due ricostruzioni riguardi
proprio questa conversazione, che secondo i giudici di secondo grado
rappresenta “un fatto” e non un giudizio ovvero una impressione, laddove il
primo giudice l’ha reputata solo una valutazione ovvero una ipotesi su cui non
può reggersi una sentenza di condanna.
Invero, la motivazione con cui la Corte territoriale compie una sorta di
equiparazione della conversazione ad un “fatto” oggettivo appare viziata, in
quanto oltre a non operare un rigoroso apprezzamento della credibilità
soggettiva dei dialoganti e dell’attendibilità intrinseca e convergenza in senso
accusatorio di quanto da essi affermato, offre una lettura apodittica e
travisante del contenuto della stessa conversazione – peraltro riportata in
sentenza a pag. 3 – da cui non sembra possa desumersi che l’Aie° abbia
riferito della consegna della dose da parte dell’imputato al Munna, potendo la
frase essere letta come se si trattasse di un “convincimento” o una ipotesi
dell’Aie°.
4.2. In questo caso, la reformatio in peius della sentenza assolutoria di
primo grado è avvenuta, senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale, compiendo una rivisitazione in senso peggiorativo delle prove
già acquisite sulla base di una lettura illogica e non corretta degli elementi
probatori già valutati dal primo giudice.
Nella specie, il giudice d’appello, in base a quanto previsto dall’art. 6
CEDU, così come interpretato dalle sentenze della Corte EDU del 5 luglio 2011
Dan c. Moldavia e del 5 marzo 2013 Manolachi c. Romania, avrebbe dovuto
innanzitutto disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per

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accresce la valenza ponendole a raffronto con la conversazione intercettata il

escutere il teste Aleo nel contraddittorio con l’imputato, ricorrendo l’esigenza
di chiarire e integrare le sue dichiarazioni anche in relazione a quanto riferito
nel corso della conversazione intercettata del 10.3.2006.
A questo proposito si rileva come il principio per cui la riassunzione di
prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, stabilito nell’art. 603
comma 1 c.p.p., sia subordinata ad una duplice circostanza – che cioè i dati

quindi, idoneo ad eliminare le eventuali incertezze ovvero ad inficiare ogni
altra risultanza – è perfettamente coincidente e sovrapponibile con il
menzionato principio di diritto enunciato dalla Corte EDU, secondo il quale il
giudice di appello non può decidere sulla base delle testimonianze assunte nel
giudizio di primo grado limitandosi ad una mera rivalutazione, in termini di
attendibilità, delle medesime in senso peggiorativo per l’imputato.
4.3. Per queste ragioni la sentenza deve essere annullata con rinvio ad
altra sezione della Corte d’appello di Palermo per un nuovo giudizio che tenga
conto di quanto sopra stabilito.

5. Il disposto annullamento della sentenza esime la Corte dall’esaminare
il ricorso proposto della parte civile, che ha come oggetto lo stesso capo a) cui
si riferisce l’annullamento.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra
sezione della Corte d’appello di Palermo.
Così deciso il 26 marzo 2014
Il Consi iere estensore

probatori già acquisiti siano incerti e che l’incombente richiesto sia decisivo e,

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