Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33828 del 08/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33828 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOLINARO ANTONIO FRANCESCO N. IL 01/10/1955
avverso l’ordinanza n. 735/2012 GIP TRIBUNALE di ROMA, del
23/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO R3QCCH
1ette/septtte le conclusioni del PG Dott. PAOM*—- Kr1:4 )1
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Uditi difens Avv.;

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Data Udienza: 08/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza
del 23 – 25/10/2012 emessa nel procedimento di esecuzione a carico di Molinaro
Antonio Francesco, in applicazione dell’art. 669 cod. proc. pen. revocava la
sentenza del Tribunale di Cosenza emessa il 3/10/2007 e ordinava l’esecuzione
della sola sentenza del Tribunale di Roma del 9/10/2009.
Entrambe le sentenze avevano condannato Molinaro per avere formato un

allegato ad una domanda diretta alla Camera di Commercio di Roma per
ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti.
Peraltro, davanti al Tribunale di Roma erano stati contestati anche i reati di
cui all’art. 468 cod. pen., in relazione alla apposizione dell’impronta contraffatta
del sigillo del Tribunale di Cosenza con timbro non genuino, e di cui all’art. 483
cod. pen., in relazione alla falsità ideologica dell’istanza presentata alla Camera
di Commercio di Roma.
Il Tribunale di Cosenza, previa declaratoria di equivalenza tra aggravanti e
recidiva ed attenuanti generiche e con la diminuente del rito abbreviato, aveva
condannato Molinaro alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il
reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen.; il Tribunale di Roma aveva irrogato la
pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 200,00 di multa, sempre
previa dichiarazione di equivalenza tra recidiva e attenuanti generiche, ritenendo
i reati contestati riuniti per continuazione, fissando la pena base per il reato di
cui all’art. 468 cod. pen. in anni uno di reclusione ed euro 120,00 di multa e
aumentando la pena di mesi due di reclusione ed euro 40,00 di multa per il reato
di cui all’art. 476 cod. pen. e nella stessa misura per il reato di cui all’art. 483
cod. pen..

2. Ricorre per cassazione Molinaro Antonio Francesco personalmente.
In un primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge processuale:
egli aveva chiesto la revoca della sentenza del Tribunale di Roma e non quella
del Tribunale di Cosenza. Il Giudice aveva contravvenuto al principio della
necessaria correlazione tra il chiesto e pronunciato.
In un secondo motivo il ricorrente contesta la violazione del principio di ne
bis in idem. Contrariamente a quanto indicato dal giudice dell’esecuzione, le
condanne erogate dai due Tribunali erano identiche: quindi il Giudice
dell’esecuzione avrebbe dovuto ordinare l’esecuzione di quella divenuta
irrevocabile per prima, cioè quella del Tribunale di Cosenza.
In un terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione.

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falso decreto di riabilitazione del Presidente del Tribunale di Cosenza, poi

Il ricorrente conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
e per la revoca della sentenza del Tribunale di Roma.

In una memoria fatta pervenire dopo l’assegnazione alla Settima Sezione
penale, il ricorrente ha insistito per la discussione del ricorso e per la revoca
della sentenza del Tribunale di Roma.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, ha concluso per la

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

Il principio della domanda così come raffigurato dal ricorrente non esiste: se
è vero che, ai sensi dell’art. 666, comma 1, cod. proc. pen., il giudice
dell’esecuzione non procede d’ufficio, ma solo a richiesta del Pubblico Ministero o
dell’interessato, non per questo egli è vincolato al

petitum della domanda,

dovendo applicare le regole di giudizio indicate dalla legge.

Nel caso di specie, Molinaro aveva promosso il procedimento di esecuzione
invocando il disposto dell’art. 669 cod. proc. pen.: il Giudice poteva quindi
procedere, ma non era vincolato alla pretesa del ricorrente di ottenere (per
motivi non del tutto chiari) la revoca di una specifica sentenza; in presenza di
pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, ad essere
revocata non poteva che essere – in applicazione del criterio di legge stabilito
dall’art. 669, comma 1, cod. proc. pen. – la sentenza che aveva pronunciato la
condanna più grave.

Nel caso in esame, il ne bis in idem ricorreva solo con riferimento al reato di
cui all’art. 476 cod. pen.: ma il Tribunale di Roma aveva applicato per detto
reato la pena di mesi due ed euro 40 di multa a titolo di aumento per la
continuazione, pena nettamente inferiore a quella irrogata dal Tribunale di
Cosenza.
Esattamente, quindi, il Giudice dell’esecuzione ha revocato la sentenza del
Tribunale di Cosenza.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al

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declaratoria di inammissibilità del ricorso.

pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.

Così deciso 1’8/7/2014

spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle

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