Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3381 del 05/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3381 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PILENGA ANNA MARIA N. IL 27/01/1954
avverso la sentenza n. 1508/2013 TRIBUNALE di BERGAMO, del
25/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. a ki..n.uc9.9.-■”le,,,,Q,c,
che ha concluso per L.).
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. t,

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Data Udienza: 05/11/2014

Ritenuto in fatto
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Con sentenza emessa in data 25 gprilita 2014 il Tribunale di Begamo dichiarava Pilenga Anna
Maria responsabile del reato di cui all’art. 256 co. 1 lett. a D.L. 152/2006 perché in qualità di
amministratore e procuratore speciale della Società Fonderie Pilenga Baldassarre & Co. S.p.A., in
Lallio, via Proviciale n. 29, all’interno dell’area dello stabilimento adibita allo stoccaggio rifiuti e

elettroniche, pezzi di manichette metalliche ed altri componenti elettrici), in un contenitore delle
dimensioni di meno di un metro cubo e del peso di Kg. 450 al netto di tara, senza alcuna
autorizzazione allo stoccaggio ed allo smaltimento. (capo A); del resto di cui all’art. 279 co.2
D.Lgs. 152/2006 perché, sempre nella qualità sopra specificata, non osservava le prescrizioni
dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dalla Regione Lombardia con decreto n
12896/2007 con riguardo al valore limite di emissione riferito alla concentrazione delle polveri
totali prelevato al camino E3/4 ed il valore limite di emissione riferito alla concentrazione di
monossido di carbonio prelevato al camino E12 (capo C). Riconosciuto il concorso materiale tra gli
addebiti, condannava la stessa alla pena di 10.000,00 euro di ammenda per il capo A) e 600,00 euro
di ammenda per il capo C), oltre al pagamento delle spese processuali. Assolveva l’imputata in
relazione al capo B) e dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui al capo D),Infine
riconosceva alla Pilenga il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Avverso tale pronuncia il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione:
1) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per il reato di
cui al capo A) nonché per il reato di cui al capo C). In sostanza, secondo la difesa, la sentenza
impugnata fonda in entrambi i casi la colpevolezza dell’imputata sulle opinioni espresse dal teste
escusso, il sig. Zanetti dipendente ARPS che effettuò il sopralluogo presso l’azienda, senza valutare
il dato normativo e soprattutto la corrispondenza della condotta della Pilenga alle prescrizioni di
legge.
In particolare, con riguardo al capo A) la difesa afferma che non è stato effettivamente pesato il
contenitore di cui all’imputazione ,ma è stata fatta una valutazione di massima circa il suo peso: in
realtà, però, nota il difensore tale valutazione non corrisponde a realtà poiché si trattava di una
quantità esigua di rifiuti non pericolosi.
Ne consegue che, stante la quantità ridotta dei materiali in questione e la loro natura di rifiuti non
pericolosi, il deposito temporaneo per un anno non richiedeva alcuna autorizzazione secondo
quanto previsto dall’art. 183 lett. bb n. 2 Dlgs. 152/2006.

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prodotto finito, gestiva illecitamente rifiuti non pericolosi (cavi elettrice, bobine di rame, schede

Orbene la sentenza impugnata, però, partendo dalla circostanza che l’ultima annotazione sui registri
di carico e scarico di rifiuti risaliva al 2007 arriva alla conclusione che il suddetto deposito
temporaneo si sia protratto per almeno 2 anni, cioè ben oltre il limite annuale consentito dalla legge.
Conclusione, quest’ultima, del tutto illogica a parere della difesa in quanto il materiale rinvenuto era
materiale derivante da lavori di manutenzione realizzati all’interno dell’azienda: non si trattava
quindi di rifiuti connessi al ciclo produttivo della fonderia. Né risulta provato il fatto che il deposito

Inoltre, nota la difesa, il giudice di prime cure non ha tenuto conto del fatto che, quando la
produzione annua di rifiuti non pericolosi non supera le 10 tonnellate, i registri di carico e scarico,
ai sensi dell’art. 190 co. 3 d.lgs. n. 152/2006, possono essere tenuti presso le associazioni di
categoria che provvedono ad effettuare le relative annotazioni con cadenza mensile. Orbene tale
aspetto non è stato affatto indagato nemmeno in occasione della deposizione dell’impiegato
dell’Arpa che effettuò i sopralluoghi: ne consegue, secondo la difesa, la possibilità che al momento
della ispezione i registri del 2009 fossero appunto tenuti dall’associazione di categoria e fossero in
corso di aggiornamento. Dunque lo stoccaggio suddetto avrebbe potuto avere una durata diversa e
ben inferiore ai due anni almeno ritenuti nella sentenza di primo grado.
Ancora, sostiene il difensore, non si può escludere che lo stoccaggio fosse di pochi giorni
precedente all’ispezione e, quindi, i registri non fossero ancora stati aggiornati.
Lamenta ancora la difesa che la sentenza è illogica e contraddittoria anche nella misura in cui
desume la mancanza di autorizzazione allo stoccaggio dei rifiuti in questione dalla mera
apposizione sul contenitore di un codice rifiuti obsoleto e non più in uso dal 2002 (seppur
corrispondente alla tipologia di rifiuti in esso contenuti). Sul punto, precisa la difesa, lo stesso
giudice di prime cure afferma che i due codici “quello obsoleto apposto e quello nuovo più corretto”
si riferivano entrambi alla stessa tipologia di rifiuti. Dunque se la ditta era in possesso di codici,sia
pur obsoleti, per lo stoccaggio proprio di quella tipologia di rifiuti non pericolosi, se ne può
logicamente inferire che la stessa fosse dotata della prescritta autorizzazione al deposito anche al
momento dell’ispezione. E comunque, conclude la difesa, il giudice di primo grado avrebbe dovuto
soffermarsi sul punto essendo l’assenza dell’autorizzazione elemento essenziale del reato addebitato
nel capo A) all’imputata.
Quanto al capo C) la difesa si duole dell’applicazione, quanto alla determinazione dei valori delle
emissioni tollerabili, dell’art. 279 co. 2 DLgs. 152/2006 al posto della disciplina, più favorevole, di
cui all’art. 29 quattordecies co. 3 d.lgs. 152/2006 che punisce la violazione dei valori limite di
emissione a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di
frequenza ed entità fissati nell’autorizzazione stessa. Tale norma, secondo l’assunto difensivo,
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degli stessi si sia protratto per due anni.

avrebbe dovuto essere applicata in ossequio al dettato dello stesso art. 279 co. 2 D.Lgs. 152/2006
secondo il quale “se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell’autorizzazione

integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale
autorizzazione”.
Orbene secondo la difesa, per giungere ad un’affermazione di responsabilità penale per il reato de
quo occorrerebbe valutare se le due distinte violazioni contestate all’imputata siano da considerarsi

frequenza. Tale accertamento, però, a detta della difesa manca nell’impugnata sentenza con
conseguente vizio di violazione di legge e di motivazione.
Ancora, sia con riguardo al capo A sia in relazione al capo B, la sentenza impugnata, nota il
ricorrente, ascrive all’imputata una responsabilità di posizione senza alcun supporto probatoriomotivazionale. Afferma, infatti, il giudice di prime cure che l’imputata avrebbe tenuto le condotte di
cui ai capi A e C quale amministrare e procuratore speciale con specifica delega della società
Fonderie Pilenga Baldassarre & Co. S.p.A. ma ciò non risulta dimostrato.
Né risulta dimostrato che le situazioni pericolose ed il verificarsi di conseguenze dannose fossero
stati segnalati dai responsabili operativi o fossero dovute a caratteristiche strutturali degli impianti o
comunque fossero in altro modo conoscibili dall’imputata.
2) Erronea applicazione della legge penale in ordine alla determinazione del trattamento
sanzionatorio . in particolare la difesa sostiene che la sentenza impugnata nell’applicare l’art. 133 e
nel negare le circostanze attenuanti generiche non abbia tenuto in debito conto la tenuità dei fatti
ascritti all’imputato né il carattere occasionale delle condotte; elementi che avrebbero condotto ad
un più mite trattamento sanzionatorio.

Ritenuto in diritto

Il ricorso appare manifestamente infondato in quanto tramite la deduzione di vizi di legittimità si
mira ad ottenere una valutazione delle risultanze fattuali diversa rispetto a quella del giudice di
merito; operazione, quest’ultima, come è noto preclusa in sede di legittimità qualora la motivazione
della sentenza impugnata risulti, come in questo caso, logica e non contraddittoria.
In particolare, con riferimento le censure concernenti il capo A appaiono infondate in quanto se è
vero che il peso del materiale elettrico conservato nel contenitore suddetto sembra indicato solo in
via di approssimazione occorre precisare che l’effettiva quantità di rifiuti poco rileva. Come
precisato nella sentenza impugnata, infatti, si trattava comunque di una ridotta quantità di rifiuti tali
da rientrare nella gestione dei rifiuti temporanei per i quali non è richiesta specifica autorizzazione.
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eccedenti i margini di tolleranza fissati dalla stessa autorizzazione, soprattutto sotto il profilo della

Nel caso di specie, però, dalle risultanze istruttorie è emerso che il predetto deposito si era protratto
ben oltre l’anno, per un periodo di circa due anni. Come precisa il giudice di merito, infatti, l’ultima
data di scarico di rifiuti di quel tipo annotata risale al 2006: il che porta a ritenere che i rifiuti in
questione si trovassero presso l’azienda almeno da tale momento.
Altrettanto infondate appaiono le censure concernenti il capo C. Il giudice di prime cure, infatti, il
ha ritenuto superati i limiti di tollerabilità delle immissioni non solo sulla base della deposizione del

specificatamente deputato a tal tipo di attività). In particolare, all’esito dei campionamenti realizzati
dalla stessa era emerso un supermanto presso il camino E3/quattro del limite per le polveri di circa
3 volte il limite consentito: a fronte dei 10 mg/Nm al metro cubo previsto nell’AIA è stata
riscontrata una concentrazione di 31,83 mg/Nm al metro cubo.
Infine anche il motivo inerente il trattamento sanzionatorio appare privo di fondamento in quanto la
determinazione della pena e la concessione delle generiche, involgendo valutazioni di merito, sono
profili sottratti al sindacato di legittimità.
Tanto premesso il ricorso va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
che della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 5 novembre 2014.

teste Zarmotti ma anche e, soprattutto, sulla base delle analisi effettuate dall’ARPA (ente

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