Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33795 del 23/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33795 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONI GIANFRANCO N. IL 19/10/1967
avverso l’ordinanza n. 1244/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 19/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/site le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 23/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19.6.2013, il Tribunale di Sorveglianza di Torino rigettava l’istanza
proposta da BARONI Gianfranco (detenuto in espiazione della pena di sei anni e tre mesi di
reclusione in virtù di un provvedimento di cumulo relativo a quattro condanne per ricettazione,
truffa e bancarotta semplice) al fine di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale ex art.
94 D.P.R. n. 309/90, ritenendo il carattere “strumentale” dell’istanza stessa.

– dall’inizio del 2005 all’estate 2012 – dunque per oltre sei anni – il BARONI non aveva
mai fatto uso di sostanze stupefacenti;
– la ripresa del consumo di cocaina era avvenuta nell’estate del 2012 e quindi in
previsione dell’inizio dell’esecuzione della pena, decorrente dall’11.10.2012;

a parte quella dell’estate 2012, non risultavano, né erano state riferite

dall’interessato, altre “ricadute” nel consumo di droga: neppure nel periodo immediatamente
precedente l’ingresso nell’istituto penitenziario, quando lo stress da carcerazione imminente
avrebbe dovuto essere persistente e, anzi, più accentuato.
Secondo i Giudici di merito, a prescindere dalla strumentalità

o meno della

tossicodipendenza, proprio questa assunzione una tantum di cocaina faceva ragionevolmente
ipotizzare che il programma di recupero addotto, essenzialmente incentrato sul sostegno
psicologico, potesse positivamente concludersi nel giro di 6-12 mesi, il che non avrebbe
giustificato il trattamento extrapenitenziario per la ben maggiore durata della pena,
considerato, altresì, che quel programma, per la sua natura esclusivamente ambulatoriale,
poteva comunque essere utilmente proseguito in ambito penitenziario.
2. Ha proposto ricorso per cassazione BARONI Gianfranco per il tramite del suo
difensore di fiducia, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale,
nonché vizio di motivazione.
Con motivazione apparente il Tribunale di Sorveglianza aveva disatteso il contenuto
oggettivo della documentazione acquisita sulla base di un mero dato presuntivo, quale
l’assenza di ricadute in epoca di poco antecedente la carcerazione, di per sé priva di univoca
rilevanza in assenza di altri elementi obiettivamente comprovanti la preordinazione del dedotto
stato di tossicodipendenza al conseguimento del beneficio.
Il Tribunale, da un lato, aveva contraddittoriamente evidenziato che al ricorrente era
stata prescritta terapia psicologica di appoggio per la disassuefazione dall’abuso e, dall’altro,
aveva escluso lo stato di tossicodipendenza sulla base dell’accertata negatività ai controlli del
ricorrente.
Così argomentando, il Tribunale era caduto in un’insuperabile aporìa logica, atteso che
la negatività dei controlli circa l’assunzione di cocaina era il risultato di una terapia che il
BARONI aveva seguito nel passato, senza però consentirgli di superare il problema della

1

Il Tribunale desumeva la strumentalità della richiesta dalle seguenti circostanze:

dipendenza, costituente il presupposto della domanda ex art. 94, come dimostrato dagli esiti
positivi degli esami effettuati sulla matrice cheratinica del prevenuto.
I Giudici avevano trascurato di considerare che l’attualità dello stato di
tossicodipendenza e la necessità di un idoneo programma di recupero potessero avere riguardo
– qualora l’interessato avesse superato la fase della dipendenza fisica dalla droga – anche alla
sola dipendenza psichica, quindi finalizzato a rafforzare la motivazione dell’astinenza.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha

impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1.1. Va, preliminarmente, rammentato che la Corte Costituzionale, con sentenza 5
dicembre 1997, n. 377, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale per violazione
dell’art. 32 Cost., dell’art. 67 L. 24 novembre 1981 n. 689, in relazione all’art. 47 bis L. 26
luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, nonché all’art. 94 D.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, ha chiarito che la rado dell’affidamento “terapeutico” di persona tossicodipendente o
alcooldipendente, è quella appunto di perseguire la cura del reo, per cui il programma di
recupero assume un ruolo di centralità nella applicazione della misura vista sempre nell’ottica
di un affrancamento del soggetto vuoi dalla droga e/o dall’alcool vuoi dal mondo della
devianza.
1.2. Va, in secondo luogo, ricordato che il testo unico delle leggi in materia di disciplina
degli stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94), nelle più recente versione offerta dal D.L.
30 dicembre 2006, n. 272, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2006, n. 49, ha
sottoposto la concessione dell’affidamento in prova in casi particolari a condizioni sicuramente
più rigide rispetto al passato e tali da impedire un ricorso strumentale all’istituto al fine di
ottenere benefici altrimenti non concedibili, specie in relazione a scadenze di pena che non
consentono la concessione di altre misure alternative.
Ferma restando la natura discrezionale del provvedimento, l’art. 94 citato richiede, ai
fini dell’ammissione al beneficio, oltre al fatto che la domanda provenga da un condannato
tossicodipendente o alcooldipendente, anche che questi abbia in corso un programma di
recupero o che ad esso intenda soggiacersi e che alla domanda sia allegata una certificazione
rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata attestante
lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato
l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l’andamento del programma
concordato eventualmente in corso e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato
(comma primo).

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concluso per il rigetto del ricorso, condividendo il contenuto motivazionale del provvedimento

E’, dunque, certo che l’accesso alla misura alternativa speciale prevista dall’art. 94
D.P.R. 309/90 è consentito solo in favore di chi versi in condizione di tossicodipendenza, e non
di chi abbia avuto esperienze saltuarie con gli stupefacenti, ovvero non raggiunga comunque
una condizione di vera dipendenza (fisica o psichica).
E’, del pari, altrettanto certo che lo stato di tossicodipendenza che legittima la misura in
questione debba sussistere al momento della decisione, non essendo logico – né consentito
dalla legge – che lo affidamento terapeutico venga concesso a chi tale stato non abbia più, per

stesso, che è quello di avere concreto ed attuale bisogno di un trattamento finalizzato al
recupero psico-fisico.
1.3. Ciò posto, risulta evidente la correttezza del giudizio fornito dal Tribunale di
Sorveglianza territoriale in ordine alla insussistenza di alcuna reale esigenza terapeutica al
momento della decisione (19.6.2013), sul triplice rilievo : a) che il BARONI, per oltre sei anni e
mezzo (cioè, dall’inizio del 2005 all’estate 2012, come si evinceva dalla relazione del SERT di
Alessandria in data 11.2.2013 allegata all’istanza), non aveva mai fatto uso di sostanze
stupefacenti; b) che la ripresa del consumo di cocaina era avvenuta nell’imminenza dell’inizio
dell’esecuzione della pena (estate 2012 rispetto alla data dell’11.10.2012); c) che, ad
eccezione di quella prima indicata, non risultavano, né erano state riferite dall’interessato
medesimo, altre “ricadute” nel consumo degli stupefacenti, tanto da indurre il suddetto SERT a
evidenziare che, dopo l’inizio dell’esecuzione della pena, non era stato eseguito esame delle
urine “in quanto il paziente non aveva dichiarato un uso recente di cocaina”.
Tanto ritenuto, deve essere qui confermata la correttezza logico-giuridica della
motivazione del Tribunale che, fondata su base fattuale e probatoria indiscutibile, ha escluso
rilevanza alla sporadica assunzione di cocaina che il BARONI, dopo sei anni ed oltre di totale
astinenza, ebbe a fare nel periodo di poco precedente la sua restrizione carceraria, posto che
ciò null’altro conferma – peraltro sulla base delle stesse dichiarazioni del diretto interessato che si trattò di uso saltuario.
1.4. La decisione del giudice “a quo” non è neppure censurabile alla luce del principio altre volte affermato da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 3013 de115/4/1999, Roncisvalle, Rv.
213388; Sez. 1, Sentenza n. 33343 del 4/4/2001, Di Pasqua, Rv. 220029 e, da ultimo, Sez. 1,
Sentenza n. 19972 del 25/3/2014, Lusha, n.m.) – secondo cui l’attualità dello stato di
dipendenza e la necessità di un idoneo programma di recupero possono avere riguardo,
qualora interessato abbia superato la fase del condizionamento fisico da alcool o stupefacenti,
anche alla sola dipendenza psichica, quando – cessata l’assunzione abituale della sostanza – si
renda necessario un ulteriore periodo di mantenimento terapeutico e di supporto psicologico.
Invero, con motivazione sufficientemente plausibile, il Tribunale torinese, tenuto conto
dell’assenza di terapie disintossicanti e/o di mantenimento nel divisato programma di recupero
e dell’aspetto prevalente occupato dal sostegno psicologico (v. il riferimento alla relazione
sanitaria della Casa di reclusione di Alessandria in data 15.3.2013), ha ragionevolmente
3

avere comunque superato la dipendenza; in siffatta situazione, invero, difetta il presupposto

ipotizzato che il programma stesso potesse concludersi in un arco temporale di sei-dodici mesi,
con ciò escludendo la giustificazione di un trattamento extrapenitenziario per la ben maggiore
durata della pena (oltre sei anni), indicativa di non irrilevante capacità criminale.
2. In definitiva il ricorso, infondato, deve essere respinto.
Al completo rigetto dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2014

EPOSITATA

P.Q.M.

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