Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33793 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33793 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPALDO FILIPPO N. IL 17/12/1977
CAPALDO NICOLA N. IL 03/03/1981
PICCOLO MIRANDA N. IL 08/10/1977
avverso il decreto n. 198/2008 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
29/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. t o Acc k Pts t 2- LD

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 11/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto in data 29.11.2012 la Corte d’Appello di Napoli ha confermato il
decreto emesso il 16.04.2008 con cui il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
aveva applicato a Capaldo Filippo la misura di prevenzione personale della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni tre, con
imposizione di una cauzione di 5.000 euro, e aveva sottoposto alla misura di
sicurezza patrimoniale della confisca i beni costituiti dalla totalità delle quote
(intestate per oltre il 50% al proposto e per la parte residua al fratello

mobili e immobili strumentali al suo esercizio), dalla quota della Euroservice s.r.l.
intestata al proposto, e dalla quota indivisa del 50% del terreno sito in località
Baronessa di Casapesenna (CE) intestata al proposto, nonchè dall’intero
fabbricato sullo stesso esistente, intestato per metà al proposto e per l’altra
metà alla sua convivente Piccolo Miranda.
A sostegno della pericolosità sociale di Capaldo Filippo, indiziato di appartenenza
all’associazione camorristica denominata “clan dei casalesi”, operante nel
casertano, la Corte territoriale valorizzava gli elementi tratti dalla condanna alla
pena di anni 8 di reclusione per i reati di concorso esterno in associazione
mafiosa, di estorsione e di illecita concorrenza con minaccia o violenza, aggravati
ex art. 7 legge n. 203 del 1991, pronunciata nei confronti del proposto con
sentenza definitiva della Corte d’Appello di Napoli in data 25.09.2008 all’esito del
giudizio nell’ambito del quale il Capaldo era stato attinto da ordinanza cautelare
emessa il 20.02.2004 dal GIP distrettuale di Napoli (ed eseguita soltanto il
26.09.2005 dopo una lunga latitanza), da cui era emerso che il proposto (nipote
di uno dei capi del sodalizio criminoso, Zagaria Michele) aveva asservito l’attività
imprenditoriale da lui gestita agli scopi economici del clan, che aveva deciso di
fare ingresso nel settore economico della distribuzione del latte, mediante la
costante vessazione e imposizione di tangenti alle aziende concorrenti (Cirio,
Polenghi, De Rica, Eurolat), al fine di estrometterle dal mercato e di acquisire
una posizione di illecito monopolio nel settore.
Gli elementi di prova delle condotte incriminate erano costituiti, in particolare,
dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riscontrate dalle intercettazioni
telefoniche e ambientali, nonché dalle indagini di p.g., dalla ricostruzione
contabile delle vicende imprenditoriali dei Capaldo e della Euronnilk, e dalle
dichiarazioni di uno dei dirigenti della Cirio; da tali elementi era emerso che il
padre del proposto, Capaldo Raffaele, aveva acquisito il capannone, destinato
successivamente a sede operativa della Euromilk, in virtù dell’intervento del
cognato Zagaria Michele, che aveva quindi assicurato, mediante pressioni illecite
e grazie al riconoscimento della qualità di concessionario privilegiato da parte
1

convivente Capaldo Nicola) del capitale sociale della Euromilk s.r.l. (oltre ai beni

della Cirio, l’assunzione di una posizione di esclusiva nel commercio all’ingrosso
del latte all’impresa dei Capaldo, padre e figlio, che era stata così asservita agli
interessi del clan camorristico, alterando le regole del sistema economico; in
particolare, Capaldo Filippo aveva partecipato alla riunione tra lo Zagaria e
Tavoletta Cesare in cui erano stati definiti gli assetti dell’illecita operazione
imprenditoriale, funzionale ad assicurare, attraverso la gestione della Euromilk
formalmente intestata al proposto (uomo di fiducia dello Zagaria), una fonte di
cospicui profitti economici al sodalizio criminale.
Quanto al requisito dell’attualità della pericolosità sociale, la Corte d’appello

valorizzava il ruolo fiduciario concretamente assolto dal proposto nell’ambito del
clan, da ritenersi perdurante in assenza della prova di un recesso o dell’adozione
di scelte comportamentali incompatibili con la permanenza del rapporto
collaborativo con l’associazione camorristica, durato nel tempo e conclamato dal
lungo periodo di latitanza reso possibile dal sostegno logistico ed economico
fornito dall’organizzazione criminale.
A sostegno del contestuale provvedimento di confisca, la Corte territoriale, dopo
aver premesso che la natura mafiosa dell’impresa ne legittimava la confisca dei
redditi prodotti, dei relativi incrementi patrimoniali e dei profitti in essa
reinvestiti, in quanto inquinati dalla loro origine illecita e perciò a loro volta di
natura illecita, valorizzava la presunzione di appartenenza al proposto dei beni
intestati a soggetti di fiducia come il fratello e la compagna convivente, sui quali
gravava l’onere di dimostrare l’esclusiva ed effettiva titolarità dei beni stessi e
l’assenza di sproporzione tra il loro valore e i redditi (leciti) dichiarati.
In particolare, la Euromilk era stata costituita dal proposto nel 1997 quando era
molto giovane e totalmente privo di redditi, ed era stata dallo stesso gestita in
qualità di fiduciario (esclusivo) del clan camorristico, mentre anche i successivi
apporti e acquisti patrimoniali erano del tutto sproporzionati ai redditi personali
dichiarati dal Capaldo; la Euroservice, che aveva la medesima sede della
Euronnilk, era stata costituita ex novo nel 2003 come diretta promanazione del
sodalizio criminoso, interessato alla gestione – tramite essa – della distribuzione
del latte; la quota del terreno di Casapesenna e il fabbricato sullo stesso
insistente erano stati acquistati nel 2003 in assenza di qualsiasi proporzione tra i
redditi dichiarati del proposto e della Piccolo e i mezzi finanziari necessari per
l’acquisto e per ripagare le rate del mutuo contestualmente acceso; la Corte
territoriale, condividendo le valutazioni del Tribunale, riteneva altresì non
documentate le allegazioni del consulente tecnico della difesa circa l’origine lecita
delle risorse utilizzate per la costituzione della Euromilk e per l’acquisto degli altri
beni siccome provenienti dal patrimonio familiare e da apporti economici dei
genitori della Piccolo.
V
2

2. Avverso il decreto della Corte territoriale hanno proposto ricorso per
cassazione, a mezzo dei difensori avvocati Giovanni Cantelli e Giuseppe Stellato,
Capaldo Filippo e i terzi intestatari dei beni oggetto di confisca Capaldo Nicola e
Piccolo Miranda, sia congiuntamente che ciascuno tramite un apposito ricorso
presentato (a mezzo dei medesimi difensori, muniti di procura speciale rilasciata
dai soggetti terzi attinti dalla misura patrimoniale) nel proprio interesse
personale, deducendo motivi sostanzialmente sovrapponibili e che possono
essere esaminati congiuntamente.

mancanza e manifesta illogicità della motivazione del decreto impugnato, con
riguardo alla ritenuta sussistenza di un compendio indiziario idoneo a supportare
l’adozione (e la durata) della misura di sicurezza personale applicata a Capaldo
Filippo in relazione alla sua ipotizzata appartenenza all’associazione mafiosa;
lamentano che la Corte territoriale si fosse riduttivamente limitata a recepire le
motivazioni della condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli, senza
procedere a una autonoma rivalutazione del materiale indiziario, con particolare
riferimento all’analisi dell’attendibilità soggettiva dei collaboratori di giustizia che
avevano accusato il Capaldo e all’insussistenza dell’a ffectio societatis nei riguardi
del clan criminale, esclusa dagli stessi giudici del processo di merito (che
avevano derubricato in concorso esterno l’originaria accusa di partecipazione
associativa), nonché al giudizio di attualità della pericolosità sociale del proposto,
contraddetto dalla cessazione delle condotte contestate nel 2003 e
dall’insussistenza di un apporto operativo al clan criminale diverso dalla gestione
della Euromilk, definitivamente cessato col sequestro dell’azienda avvenuto nel
febbraio 2004; la difesa del proposto eccepisce in particolare la contrarietà della
disciplina in materia di misure di prevenzione agli artt. 3, 24, 25 e 111 della
Costituzione per difetto di specificità e tassatività della relativa normativa.
Come secondo motivo di censura, i ricorrenti lamentano violazione di legge e
vizio di motivazione con riguardo alla misura di sicurezza patrimoniale applicata
a Capaldo Filippo e ai terzi intestatari pro quota dei beni confiscati, Capaldo
Nicola e Piccolo Miranda, senza che il decreto impugnato avesse tenuto conto
delle produzioni documentali e della consulenza tecnica (redatta dal dott.
Banaio) allegate dalla difesa, attestanti la titolarità di adeguate capacità
reddituali in capo ai fratelli Capaldo (in relazione in particolare ai redditi prodotti
da Capaldo Nicola tra il 2001 e il 2004) e il subentro del proposto in un’attività
imprenditoriale già lecitamente intrapresa dal padre Raffaele (che era stato
assolto dall’imputazione associativa) senza alcuna contaminazione con attività
camorristiche; deducono la risalenza al 1996 della costituzione della Euromilk e il
ricorso al patrimonio familiare e all’autofinanziamento per le successive

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I ricorrenti deducono come primo motivo di doglianza violazione di legge e

acquisizioni della società, l’acquisto nel 2003 del terreno di Casapesenna al di
fuori di qualsiasi rapporto col clan camorristico di (ipotizzato) riferimento e la
legittima provenienza dalla famiglia di origine della Piccolo della metà della
relativa provvista finanziaria, nonché il ricorso alla stipulazione di un mutuo da
parte della coppia per finanziare l’edificazione del fabbricato soprastante; il
proposto e la Piccolo lamentano in particolare l’omessa valutazione del contenuto
di una memoria difensiva evidenziante l’erronea sovra estimazione del valore del
fabbricato da parte del Tribunale e della Corte d’appello a fronte del suo

redditi posseduti dai ricorrenti.
3. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo che i
ricorsi siano dichiarati inammissibili.
4. Con memoria successivamente depositata, la difesa dei ricorrenti ribadisce le
censure mosse al provvedimento impugnato, con particolare riguardo
all’insussistenza dei requisiti della pericolosità attuale del proposto e della
sproporzione reddituale rispetto al reale valore del fabbricato edificato sul
terreno di Casapesenna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è
ammesso, ai sensi dell’art. 10 comma 3 D.Lgs. n. 159 del 2011 (che riproduce il
previgente testo del penultimo comma dell’art. 4 legge n. 1423 del 1956), solo
per violazioni di legge, con la conseguenza che i vizi di motivazione del
provvedimento non sono autonomamente deducibili, ma possono essere dedotti
solo nella misura in cui la censura riguardi non già la pretesa illogicità o
contraddittorietà della motivazione, ma ne contesti l’esistenza o ne lamenti la
mera apparenza, sotto il profilo della carenza dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e logicità (vedi, per l’affermazione del principio, Sez. 1 n. 19093 del
9/05/2006, Rv. 234179, e, da ultime, Sez. 6 n. 35240 del 27/06/2013, Rv.
256263, e n. 24272 del 15/01/2013, Rv. 256805), così da tradursi nella
mancanza di uno degli elementi essenziali dell’atto prescritti a pena di nullità
dall’art. 125 comma 3 del codice di rito.
I motivi di doglianza dedotti dai ricorrenti sono dunque inammissibili nella parte
in cui lamentano, dichiaratamente, pretesi vizi di illogicità (manifesta) della
motivazione del provvedimento impugnato; sono invece infondati, per le ragioni
di seguito esposte, laddove deducono una violazione di legge che si sarebbe
sostanziata nella totale carenza della motivazione del decreto gravato in ordine
alla ricorrenza dei presupposti di applicazione della misura di prevenzione
personale nei riguardi di Capaldo Filippo e della misura di prevenzione
patrimoniale a carico dei beni del predetto e dei terzi intestatari Capaldo Nicola e
4

(documentato) stato al grezzo, incidente sulla ritenuta sproporzione rispetto ai

Piccolo Miranda.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte d’appello, nel confermare il
provvedimento del Tribunale che ha applicato al proposto la sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni tre, ha ampiamente e
adeguatamente argomentato le ragioni che supportano l’appartenenza del
Capaldo all’associazione di stampo mafioso denominata “clan dei casalesi” e la
conseguente sussistenza a suo carico del requisito di una pericolosità tuttora
attuale, idonea a legittimare l’adozione della misura di prevenzione, nella durata

motivazione.
In particolare, la Corte territoriale non si è limitata al mero recepimento dei dati
di fatto rappresentati dall’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare e dalla
successiva pronuncia della sentenza di condanna definitiva alla pena di anni 8 di
reclusione nei confronti del Capaldo per i reati di concorso esterno in
associazione mafiosa e di estorsione aggravata ex art. 7 legge n. 203 del 1991,
che integrano – peraltro – già di per sé altrettanti fondamentali elementi di
riscontro della pericolosità sociale del soggetto e della sua persistente attualità,
non necessitanti di alcuna particolare rivalutazione del materiale probatorio che li
supporta, che apparirebbe del tutto superflua e ultronea a fronte dello standard
indiziario di gran lunga meno intenso e cogente richiesto ai fini del giudizio di
pericolosità da formularsi nel procedimento di prevenzione, rispetto allo spessore
della prova richiesta, ex art. 533 comma 1 cod.proc.pen., per pervenire a una
sentenza definitiva di condanna come quella pronunciata il 25.09.08 per i titoli di
reato che radicano la presunzione di pericolosità del Capaldo.
Il decreto impugnato ha, infatti, proceduto a un’autonoma rivisitazione e
rivalutazione della fondatezza del grave quadro indiziario di appartenenza del
Capaldo al sodalizio mafioso e di strumentalizzazione al servizio del medesimo
della sua attività imprenditoriale, basato sulla convergenza delle dichiarazioni di
più collaboratori di giustizia, dei risultati dell’attività di intercettazione, delle
indagini contabili e di polizia, di quanto dichiarato dal dirigente della Cirio vittima
delle condotte estorsive, valorizzando il ruolo di uomo di fiducia di Zagaria
Michele (leader del clan camorristico, e legato al proposto da vincoli di parentela)
specificamente svolto dal Capaldo nell’assecondare il disegno di penetrazione
dell’organizzazione criminale nel tessuto economico, in vista dell’assunzione di
una posizione di dominio monopolistico nel settore della distribuzione del latte,
estromettendone con metodi illeciti le imprese concorrenti.
I giudici di merito hanno dunque fatto corretta applicazione del principio, più
volte affermato da questa Corte, secondo cui il concetto di “appartenenza” al
sodalizio mafioso, richiesto ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione,

5

stabilita, così da escludere qualsiasi ipotetico vizio di carenza o apparenza della

va distinto da quello di “partecipazione” necessario per l’integrazione del reato di
cui all’art. 416 bis cod. peri., in quanto l’appartenenza comprende ogni
comportamento che, anche ove non integri gli estremi del reato associativo, sia
funzionale agli interessi dei poteri criminali e costituisca una sorta di terreno
favorevole permeato di cultura mafiosa (Sez. 2, n. 19943 del 21/02/2012, Rv.
252841); nonché del principio per cui, agli effetti dell’applicazione delle misure di
prevenzione nei confronti del soggetto indiziato di appartenenza – nel senso
appena indicato – all’associazione mafiosa, non è necessaria una particolare

appartenenza risulti supportata da adeguati elementi dimostrativi e non
sussistano elementi dai quali poter desumere che essa sia venuta meno per
effetto del recesso dell’interessato, del quale occorre acquisire la prova positiva,
alla luce della peculiare stabilità che caratterizza l’adesione alle organizzazioni
mafiose a prescindere dal tempo trascorso dalla concreta manifestazione delle
condotte adesive (Sez. 6 n. 499 del 21/11/2008, Rv. 242379, e, da ultima, Sez.
2 n. 3809 del 15/01/2013, Rv. 254512); con la precisazione che il principio
secondo cui il requisito dell’attualità della pericolosità deve ritenersi implicito
nell’appartenenza al sodalizio opera anche quando quest’ultima assuma la forma
del concorso esterno – come puntualmente ritenuto nella sentenza definitiva
emessa a carico del Capaldo – caratterizzato per sua natura dalla non
temporaneità del contributo prestato al sodalizio criminoso, e quindi dalla
presunzione di attualità del pericolo (si richiama, sul punto specifico, Sez. 1 n.
39205 del 17/05/2013, Rv. 256769), salva la ricorrenza di elementi incompatibili
con la permanenza del rapporto, quale una condotta collaborativa o almeno
dissociativa, nel caso di specie neppure prospettata dai ricorrenti.
La dedotta ricorrenza, nel provvedimento impugnato, di un vizio di motivazione
rapportabile a una totale carenza dell’apparato argomentativo o alla presenza
nello stesso di difetti tali da renderlo meramente apparente, deve pertanto
radicalmente escludersi; così come si rivela manifestamente infondata la censura
relativa alla violazione dei criteri normativi di specificità e tassatività, che
affliggerebbe la disciplina del regime di pericolosità sottostante le misure di
prevenzione, prospettata dai ricorrenti in termini generici e avulsi dalle
circostanze del caso in esame.
3. Alla medesima conclusione deve pervenirsi con riguardo alle doglianze che
integrano il secondo motivo di ricorso, che si risolvono in una serie di
inammissibili censure di fatto alle puntuali argomentazioni con cui il
provvedimento impugnato ha motivato la confisca, a titolo di misura di sicurezza
patrimoniale, delle quote societarie e degli altri beni appartenenti a Capaldo
Filippo, direttamente o per il tramite dell’interposizione del fratello Nicola e della
6

motivazione in punto di attualità della pericolosità, una volta che tale

convivente Piccolo Miranda, e ha ritenuto le allegazioni e le produzioni dei
ricorrenti inidonee a superare l’origine illecita dei beni stessi, facendo corretta
applicazione dei principi di diritto per cui, da un lato, in tema di misure di
prevenzione antimafia, sono soggetti a confisca tutti i beni acquisiti dal proposto,
sia direttamente che indirettamente, anche in epoca antecedente a quella cui si
riferisce l’accertamento della pericolosità, alla (sola) condizione che ne risulti la
sproporzione rispetto al reddito e l’assenza di fonti lecite di acquisto ovvero la
prova della loro illecita provenienza da qualsivoglia tipologia di reato (da ultime

Rv. 250917); e, dall’altro, la confisca di prevenzione legittimamente si estende ai
beni del coniuge, dei figli e degli altri familiari conviventi del proposto, dovendosi
ritenere che il soggetto indiziato di appartenenza a un’associazione mafiosa
faccia in modo che i beni di origine illecita appaiano nella formale titolarità e
disponibilità giuridica delle persone di sua maggiore fiducia, sulle quali grava,
pertanto, l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità dei cespiti e il possesso di
redditi (leciti) adeguati a giustificarne l’acquisto (Sez. 6 n. 49878 del 6/12/2013,
Rv. 258140; Sez. 1 n. 39799 del 20/10/2010, Rv. 248845).
In particolare, risultano giuridicamente corrette, e perciò incensurabili, le
argomentazioni in forza delle quali i giudici di merito, sul dimostrato presupposto
dell’asservimento strumentale dell’attività imprenditoriale del Capaldo nel settore
lattiero-caseario agli interessi economici perseguiti con metodi e finalità illecite
dal clan camorristico capeggiato dallo Zagaria, ha ritenuto soggette a confisca le
quote societarie e tutti i beni delle società di capitali (Euromilk e Euroservice
s.r.I.) utilizzate o costituite in funzione di tale disegno criminoso, comprensivi
degli incrementi patrimoniali prodotti dal reimpiego nelle relative aziende dei
profitti generati dall’utilizzo di risorse e capitali la cui origine illecita è destinata a
contaminare l’intero compendio dei successivi accumuli patrimoniali (vedi Sez. 6
n. 35240 del 27/06/2013, Rv. 256267, e Sez. 1 n. 39204 del 17/05/2013, Rv.
256140, per l’affermazione del principio della legittimità della confisca dei beni
acquisiti mediante il reimpiego del ricavato della dismissione o dell’investimento
di altri beni la cui acquisizione non trovi conforto in una proporzionata
disponibilità finanziaria, reddituale o comunque lecita, posto che le disposizioni
sulla confisca di prevenzione mirano a sottrarre alla disponibilità dell’indiziato di
appartenenza al sodalizio mafioso tutti i beni che siano frutto di attività illecite o
ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se le stesse siano o meno di tipo
mafioso).
L’esistenza di una coerente motivazione sull’assenza, comunque, di proporzione
tra i redditi del proposto e della sua convivente e il valore del terreno acquistato
nel 2003, allorchè l’attività illecita del Capaldo perdurava già da diversi anni,

7

(P13

Sez. 6 n. 35240 del 27/06/2013, Rv. 256266 e Sez. 5 n. 27228 del 21/04/2011,

nonché del fabbricato sullo stesso successivamente edificato (sia pure mediante
l’accensione di un mutuo di cui era onere dei ricorrenti provare la progressiva
estinzione rateale mediante una provvista di origine lecita), e sull’inidoneità dei
modesti redditi annuali dichiarati dal fratello del Capaldo a giustificare un
effettivo apporto patrimoniale alla gestione delle società confiscate, rende infine
inammissibili le censure dirette a contestare la congruità dei relativi contenuti
argomentativi.
4. I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con conseguente condanna dei

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’11/04/2014

ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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