Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33781 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33781 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI LELLO ALESSANDRO N. IL 03/01/1976
nei confronti di:
LUPOLI GIANLUCA N. IL 28/11/1972
avverso la sentenza n. 17/2013 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 08/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per j (~1, u,OsiiiinMe-M “ieg
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Data Udienza: 24/04/2014

Ritenuto in fatto
1.Con sentenza resa 1’8 maggio 2013 la Corte militare di Appello riformava la sentenza
del Tribunale militare di Napoli del 15 settembre 2012 ed assolveva l’imputato Gianluca Lupoli
perché il fatto non costituisce reato dal delitto di ingiuria continuata ad inferiore, contestatogli
perché, maresciallo capo della G.d.F., già comandante della sezione operativa pronto
intervento di Monopoli, offendeva il prestigio, l’onore e la dignità dell’appuntato Alessandro Di
Lello, fatto commesso in Bari il 6 marzo 2006 nel corso di una conversazione intercorsa tra
l’imputato ed il sottordinato. A fondamento della decisione la Corte Di Appello rilevava che il

captato per iniziativa della parte lesa all’insaputa dell’imputato e con maliziosa e provocatoria
introduzione di temi per questo sensibili, quali il permesso per ragioni di studio ottenuto dal Di
Lello a scapito della piena funzionalità del servizio e dei carichi di lavoro dei colleghi, aveva
riguardato argomenti attinenti al servizio stesso e contenuto espressioni oggettivamente lesive
e triviali, ma pronunciate in un contesto confidenziale e cameratesco, nonché di reciproca
volgarità, in assenza della volontà di ledere il patrimonio morale altrui, quanto per convincere
l’interlocutore e fare appello alla sua ragione, tanto che l’episodio si era concluso
pacificamente.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile Alessandro
Di Lello a mezzo del suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti motivi:
a) violazione di legge in relazione all’art. 196, comma 2, c.p.m.p. e degli artt. 42 e 43 cod.
pen. e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di Appello aveva assolto l’imputato
senza considerare che per l’integrazione del delitto di ingiuria non è richiesto il dolo specifico,
inteso quale volontà di utilizzare espressioni offensive, sicchè si prescinde dai motivi a
delinquere e dalranimus nocendi ve, iniuriandi”; né assume rilievo il contesto asseritamente
amicale della conversazione perché le frasi lesive, e ritenute tali anche dalla Corte di Appello,
erano state pronunciate da superiore gerarchico in violazione delle regole di disciplina nella
coscienza e volontà di offendere il sottoposto.
b) Violazione di legge in relazione all’art. 196, comma 2, c.p.m.p. ed all’art. 228 c.p.m.p., in
quanto la Corte di Appello aveva inteso dare applicazione alla norma riguardante la
provocazione, che ritiene non punibile il delitto di ingiuria per uno o entrambi gli offensori se le
offese siano reciproche e così quello di diffamazione se commesso in stato d’ira determinato da
altrui fatto ingiusto, ma la disposizione è applicabile alla c.d. ingiuria reale, che colpisce
soltanto la persona e non la disciplina militare ed il rapporto gerarchico. Inoltre, in modo
illogico la sentenza non aveva considerato che il Di Lello aveva cercato di sottrarsi a quel
confronto, ma l’imputato gli aveva imposto di continuare ad ascoltarlo.
c) Violazione dell’art. 4 D.Lgs. 186/2003: la ritenuta illegittimità della registrazione, sia sotto il
profilo della disciplina militare, sia della compromissione della riservatezza, era irrilevante, dal
momento che il ricorrente aveva fatto uso del registratore a tutela dei propri diritti, mentre la
registrazione non era stata utilizzata quale prova, ma soltanto per formulare il capo
.
d’imputazione, dal momento che l’imputato aveva ammesso di avere pronunciato quelle fras i.,

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dialogo, di cui si era acquisita la registrazione e la relativa trascrizione integrale, era stato

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1.La ricorrente parte civile contesta ai soli fini dell’accoglimento della propria domanda
risarcitoria la sentenza impugnata sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di
motivazione per avere escluso la Corte di Appello l’elemento soggettivo del delitto di ingiuria,
ed applicazione erronee della

norma

incriminatrice e di un percorso giustificativo illogico.
1.1 La sentenza impugnata, premesso che non sussisteva alcun contrasto tra le parti
circa la ricostruzione in punto di fatto della condotta materiale, perpetrata nel corso di un
colloquio registrato dalla persona offesa e comunque oggetto di ammissione da parte del suo
autore, ha ritenuto di dissentire dal giudizio di responsabilità, espresso dal Tribunale militare, e
di escludere la volontarietà delle offese rivolte al sottordinato per il contesto complessivo
confidenziale e cameratesco dello scambio di battute tra i due dialoganti, caratterizzate dal
ricorso ad espressioni colorite e volgari da parte di entrambi e per la valenza argomentativa
delle locuzioni impiegate dall’imputato, animato dal proposito di indurre il Di Lelto a desistere
dall’intenzione di partecipare ad un corso di formazione in criminologia per le ricadute negative
che la sua assenza dal servizio ordinario avrebbe cagionato al reparto e per quelle positive
sulle valutazioni relative alle sue note caratteristiche personali. Inoltre, ha considerato che la
condotta tenuta dal Di Lello, subdola e diretta ad orientare la conversazione, non aveva
giustificazione nel presunto accanimento morale, umano e professionale del Lupoli in suo
danno, ricondotto nel corso della sua deposizione esclusivamente alla frequentazione del corso
di criminologia ed all’innalzamento delle note caratteristiche, mentre il comportamento del
Lupoli poteva integrare al più un illecito disciplinare al pari di quello del Di Lello, che, in quanto
inferiore non aveva mostrato rispetto ed educazione nel rivolgersi al suo superiore ed aveva
violato le prescrizioni di cui agli artt. 49 comma 1 lett. b) e allegato nr. 37 del regolamento di
disciplina militare in materia di detenzione ed uso di apparecchiature per la registrazione fonica
in luoghi militari.
1.2 Ritiene questa Corte che la decisione impugnata non tenga adeguatamente conto
della configurazione astratta della fattispecie di ingiuria ad inferiore, che ripete dal reato
comune di ingiuria le sue caratteristiche di delitto a dolo generico, che si realizza allorchè
l’agente rivolga al destinatario, in questo caso un militare di grado inferiore, una frase lesiva
del decoro e dell’onore dello stesso, senza che sia necessaria la volontà di offendere o
umiliare, trattandosi di delitto plurioffensivo, volto a tutelare, sia il patrimonio morale della
persona, sia il bene indisponibile della disciplina militare (Cass. sez. 1, n. 12997 del
10/02/2009, Ottaviano e altro, rv. 243545; sez. 1, n. 42367 del 16/11/2006„ P.G. in proc.
Toraldo, rv. 235569; sez. 1, n. 58 del 16/11/2006, Rizzi, rv. 235335). Pertanto, ad integrare
la fattispecie contestata è sufficiente la cosciente volontà di pronunciare espressioni di univoco
significato offensivo, perché dispregiative, mortificanti ed avvilenti, senza che assumano riliev cr
eventuali moventi e finalità individuali di volta in volta perseguite.

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ascritto all’imputato, sulla scorta di un’interpretazione

1.3 Ebbene, nel caso in esame, il Lupoli non si è limitato, per quanto desumibile dal capo
d’imputazione, ad esprimere un rimprovero in forma vivace e colorita, oppure a ricorrere con
convinzione e forza dialettica ad argomenti capaci di convincere l’interlocutore, ma ha fatto
ricorso a locuzioni che la stessa Corte riconosce come “oggettivamente” lesive del prestigio
dell’inferiore, fatto oggetto di disprezzo, di scherno, di insulti volgari, che ne hanno
pregiudicato l’autostima e l’onore sia come militare, che come persona ed al tempo stesso
hanno violano le regole di disciplina ed i principi che devono regolare i rapporti gerarchici in
contesto militare. Che poi esistesse un rapporto confidenziale tra i due e l’abitudine a far uso di

termini così denigrativi.
2. Vanno altresì condivise le ragioni di critica al percorso motivazionale della sentenza
impugnata, espresse nel secondo motivo di ricorso. La Corte di merito ha ritenuto di assegnare
rilievo alla condotta provocatoria, tenuta dal Di Lello, il quale avrebbe sollecitato il Lupoli ad
affrontare argomenti che già sapeva motivo di contrasto e di possibili esternazioni scomposte
da parte del superiore. Ebbene, per quanto tale rilievo trovi rispondenza nel testo della
trascrizione della conversazione, riportato nella sentenza stessa, tale constatazione non
avrebbe potuto condurre all’assoluzione dell’imputato ed all’esclusione della sua responsabilità,
dal momento che la disposizione di cui all’art. 228 c.p.m.p., comma 2, che rende non punibile
la condotta offensiva quando commessa per effetto dello stato d’ira, suscitato da altrui fatto
ingiusto, è applicabile soltanto in riferimento al delitto

di ingiuria previsto dall’art. 226

c.p.m.p., ossia per fatti non inerenti al servizio ed alla disciplina militari, situazione che non
ricorre nella presente fattispecie.
3.

Infine, si rileva che l’eventuale scorrettezza, doppiezza e maliziosità del

comportamento della parte lesa, che pure traspare dagli atti, pur potendo assumere rilievo
disciplinare e persino penale in riferimento alla pronuncia di espressioni pesantemente
offensive in danno di alcuni superiori, citati nel corso del dialogo e diversi dal Lupoli, potrà
essere oggetto di considerazione nelle opportune sedi ed eventualmente all’atto della
quantificazione del danno da risarcire, ma non consente di giustificare razionalmente e
legalmente alla stregua della disciplina vigente un giudizio assolutorio.
4.Infine, reputasi del tutto irrilevante l’eventuale violazione da parte del Di Lello delle
disposizioni riguardanti l’impiego di materiale tecnico per la registrazione in contrasto con le
prescrizioni militari, che anch’essa potrà costituire motivo di valutazione e di assunzione di
iniziative punitive nelle sedi appropriate, ma non assume alcuna refluenza sulla ricostruzione
della condotta penalmente rilevante, ascritta all’imputato.
La sentenza impugnata, per essere incorsa nella violazione dell’art. 196 c.p.m.p., comma
2, e per essere supportata da motivazione illogica, va annullata ai soli effetti civili con rinvio al
giudice civile competente in grado di appello per un npudizio sulla domanda proposta
dalla parte civile.AL, _,//>4

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un linguaggio scurrile, ciò non poteva autorizzare l’imputato a rivolgersi al sottoposto in

P. Q. M.

Annulla lasentenza impugnata agli effetti civili e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile
Att. VaUtt

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Costi deciso in Roma, il 24 aprite 2014.

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