Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33778 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33778 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TEDESCO DARIO N. IL 23/07/1980
avverso la sentenza n. 39/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 17/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in ersona del Dott.
che ha concluso per :t(

62° (

Udito, per la parte civile, l’Avv .–Uditi(difensor Avv.

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Data Udienza: 11/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12.5.2010, la Corte di Assise di Napoli affermava la responsabilità
concorsuale di TEDESCO Dario, SPOSITO Vincenzo e MESSINA Giovanni – i primi due quali
esecutori materiali, il terzo quale mandante – per l’omicidio aggravato di D’URSO Caterino
Raffaele, verificatosi in Acerra il 16.5.2004 (capo A), e per il reato continuato e aggravato di
detenzione e porto illegali di una pistola calibro 9×19 “Luger” usata per l’omicidio (capo B) e,

dell’ergastolo con isolamento diurno per tre mesi, nonché alle pene accessorie conseguenti.
Il giudizio di responsabilità si fondava essenzialmente sulla chiamata in correità operata
dal coimputato Messina, che aveva ammesso di essere il mandante e l’organizzatore del
delitto, avvalorata dalle dichiarazioni rese da D’Angelo Antonio, Di Grazia Paolo e Di Grazia
Riccardo, che avevano intrapreso in epoca anteriore la collaborazione con la giustizia
formulando accuse in relazione allo specifico episodio delittuoso, nonché da altri collaboratori
inseriti in diversi sodalizi criminali e sulle risultanze di indagini di Polizia giudiziaria.
2. La Corte di Assise di Appello di Napoli, con sentenza del 13.12.2011, confermava la
prima decisione nei confronti del TEDESCO e dello SPOSITO, rideterminando in 14 anni di
reclusione la pena inflitta al MESSINA.
3. La V Sezione di questa Corte, con sentenza del 5.2.2013, dichiarava inammissibile il
ricorso del predetto MESSINA e annullava la decisione impugnata nei confronti del TEDESCO e
dello SPOSITO, con rinvio per nuovo giudizio.
Con riferimento alla posizione del TEDESCO, il Collegio rilevava una significativa
discrasìa tra il racconto degli accadimenti effettuato dal MESSINA e quello fornito dai
dichiaranti

de relato

circa l’ipotesi di coinvolgere GALLUCCI Gennaro nell’esecuzione

dell’omicidio e la provenienza del ciclomotore usato per la sua consumazione.
Convenivano i Giudici di legittimità nell’escludere che tali circostanze afferissero al
nucleo essenziale della narrazione, osservando, tuttavia, da un lato, che erano superate in
maniera non del tutto convincente dalla motivazione della Corte di secondo grado e, dall’altro,
apparivano collegate ad altre imprecisioni o incongruenze del racconto dello stesso MESSINA,
determinandone la fragilità.
Il ruolo stesso del dichiarante “diretto” restava, in base a quanto si leggeva nella
sentenza, alquanto oscillante, atteso che non si chiariva, ad onta dello sforzo dialettico
dell’estensore, cosa si fosse inteso significare affermando che il MESSINA, ancorché estraneo
alla esecuzione materiale del delitto, nell’occorso era stato di vedetta: posizione che, ove
rispondente al vero, gli avrebbe consentito di conoscere de visu quanto accaduto, circostanza
che, viceversa, si sosteneva non essere avvenuta.
4. Con sentenza del 17.7.2013, la Prima Sezione della Corte di Assise di Appello di
Napoli, in riforma della decisione di primo grado, assolveva SPOSITO Vincenzo dai reati
ascrittigli per non aver commesso il fatto, confermando nel resto la decisione medesima.
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previa unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione, li condannava alla pena

La Corte partenopea riteneva che la chiamata in correità del TEDESCO operata dal
MESSINA, caratterizzata da spontaneità, precisione, coerenza e costanza, non ispirata da
sentimenti di odio e di rancore nei confronti degli accusati e corroborata dalle risultanze delle
indagini di P.G., idonee a confermare l’inserimento dell’accusato nel clan DE SENA, il suo
stretto legame con il MESSINA e i rapporti con esponenti dei clan DE SENA e CASTALDO,
aveva trovato adeguato riscontro nelle chiamate in reità de relato del D’ANGELO (mezz’ora
dopo il colloquio in cui il MESSINA gli confidò di aver ucciso il D’URSO insieme al TEDESCO,

qualcosa con te, qualche omicidio con te”;

D’ANGELO riferiva, inoltre, un particolare

descrittogli dal MESSINA a proposito dell’imprudenza commessa nella fase esecutiva del delitto
dal TEDESCO che si tolse il cappello: pag. 23 sent.) e di DI GRAZIA Paolo, caratterizzate da
assoluta autonomia, stante la peculiare situazione verificatasi nel caso di specie, in cui le
chiamate de relato avevano preceduto la chiamata diretta del MESSINA, sicché doveva
escludersi che i primi si fossero ispirati al secondo ed era, altresì, da scartare l’ipotesi inversa,
ossia che il MESSINA si fosse falsamente accusato di un grave crimine per uniformare le sue
dichiarazioni a quelle di coloro che lo avevano preceduto di alcuni anni nella scelta di
collaborare con la giustizia.
L’intenso e prolungato rapporto tra il DI GRAZIA e il MESSINA rendeva plausibile che il
primo fosse stato destinatario non solo delle confidenze del secondo, ma anche della
confessione del TEDESCO, che conosceva bene e con il quale aveva avuto certamente contatti,
confermati anche dal D’ANGELO e dai controlli di polizia.
Quanto al D’ANGELO, la Corte napoletana perveniva a giudizio di attendibilità delle sue
dichiarazioni, posto che egli era stato, in ordine di tempo, il primo accusatore del MESSINA e
del TEDESCO, indicati come esecutori dell’omicidio della persona con la Rover verde
nell’interrogatorio reso in data 8.9.2004, ossia il giorno stesso in cui aveva intrapreso la
collaborazione con la giustizia e a distanza di soli quattro mesi dall’omicidio.
In ordine ai rilievi critici posti in evidenza nel giudizio di legittimità, osservavano i
Giudici territoriali che dal colloquio intercorso tra il MESSINA e DI GRAZIA Paolo una settimana
prima dell’omicidio non si evinceva un sostanziale contrasto tra le rispettive versioni, atteso
che l’ipotesi di coinvolgere il GALLUCCI, prospettata dal DI GRAZIA ed interpretata forse
erroneamente dal MESSINA come diniego di procurare una “faccia pulita” oppure accennata
durante la conversazione dallo stesso MESSINA, fu subito esclusa da quest’ultimo, che
manifestò il proposito di “tenere tutti fuori” nel senso che intendeva commettere il delitto “a
livello familiare” ossia avvalendosi esclusivamente di membri del suo gruppo.
Circa la divergenza sulla provenienza del ciclomotore usato dai killer, osservava la Corte
di merito che le precisazioni fornite dal collaboratore di giustizia D’ANGELO, il quale aveva
affermato che il motorino da loro acquistato era in dotazione al clan di Acerra, non risultavano
incompatibili con l’indicazione del MESSINA che aveva parlato genericamente di un motorino
rubato, procurato unitamente alle armi dal BASILE e dal TEDESCO.
2

quest’ultimo si sarebbe vantato con lui del fatto dicendo: “Ti è piaciuto? Mi piacerebbe fare

Infine, quanto al significato da attribuire al termine “vedetta”, riferito al MESSINA, DI
GRAZIA Paolo, nel contraddittorio dibattimentale, dopo aver reiteratamente ed univocamente
affermato che il primo aveva svolto un ruolo di supporto logistico, a seguito della contestazione
delle dichiarazioni precedentemente rese al P.M., aveva chiarito che la funzione di vedetta
attribuita al MESSINA non coincideva con quella di “specchiettista” e si riferiva al suddetto
ruolo di supporto che il medesimo avrebbe svolto ove si fosse reso necessario un suo
intervento nella fase esecutiva del delitto, circostanza, quest’ultima, confermata dallo stesso

5. Ha proposto ricorso per cassazione TEDESCO Dario, per il tramite del suo difensore
di fiducia.
5.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione e inosservanza di norme
processuali in relazione agli artt. 129, 192 e 627 c.p.p. per non avere il Giudice di rinvio
osservato i principi di diritto fissati dalla Corte di legittimità.
La Corte di cassazione, nell’annullare con rinvio la sentenza impugnata, aveva precisato
come il materiale probatorio, con particolare riferimento al narrato dei pentiti, fosse alquanto
“debole” e come si rendesse, pertanto, necessaria una puntuale ricostruzione degli eventi a
fungere da contrappeso alla censurata deficienza.
La Corte territoriale, viceversa, attraverso una motivazione manchevole e
contraddittoria, aveva ratificato quasi interamente la prima sentenza della Corte di Assise di
Appello con il solo correttivo della ritenuta migliore specificazione degli accadimenti così come
verificatisi, così applicando solo in parte i principi fissati in sede di legittimità.
Tale tipo di pronuncia, quindi, prestava il fianco alle medesime perplessità già esternate
con riferimento alla precedente, specie in relazione alle varie discrasie rilevate tra le
dichiarazioni dei collaboranti, tra l’altro tutti testimoni indiretti, su elementi fondamentali del
fatto quali i particolari concernenti i mezzi della fase esecutiva e la comunicazione del fatto
delittuoso.
Desumere la responsabilità del TEDESCO da così scarne emergenze integrava
motivazione apparente, poiché sostanzialmente elusiva di ogni riferimento alla persona
dell’imputato, cardine della valutazione imposta dal Giudice.
5.2. Con il secondo motivo, denuncia violazione di legge (art. 606 lett. b) e c), c.p.p.)
in relazione agli artt. 129 e 192 c.p.p. per non essere stata provata in modo certo la penale
responsabilità del prevenuto per i fatti a lui contestati.
La Corte territoriale non aveva fatto buon governo dei criteri di valutazione della prova
di cui all’art. 192 c.p.p. e non era immune da vizi logici.
Erravano i Giudici nel ritenere il propalante MESSINA teste diretto, dal momento che
non aveva partecipato alla fase esecutiva dell’omicidio in questione.
De relato dovevano certamente considerarsi anche le dichiarazioni rese dai due DI

GRAZIA e dal D’ANGELO, che proprio dal MESSINA ricevettero le notizie sul delitto: era

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MESSINA.

indubbia, pertanto, la caratteristica della c.d. circolarità tra dette dichiarazioni, prive di
autonomia genetica e inutilizzabili quali elementi di riscontro.
A soccorso dell’argomentare della Corte di merito non poteva valere il fatto che i DI
GRAZIA e il D’ANGELO avessero ricevuto le medesime informazioni anche dal ricorrente
(TEDESCO), secondo quanto dagli stessi narrato.
Ed invero, da un lato, rimaneva impossibile il controllo della fonte primaria; dall’altro,
doveva rilevarsi che il contenuto di tali propalazioni non atteneva alla condotta del ricorrente,

che egli avesse detto il vero ai tre collaboratori di giustizia.
Diveniva, perciò, indispensabile la ricerca di un elemento ulteriore che fungesse da
perno cui ancorare la prova della colpevolezza del TEDESCO, non potendosi apprezzare, in
termini di certezza probatoria, la sola mera convergenza numerica di più voci.
5.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione
(art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.) in relazione agli artt. 62 bis, 132 e 133 c.p. per non essere
state concesse le attenuanti generiche.
I Giudici del merito non avevano fornito le ragioni del corretto esercizio di un potere
discrezionale, mancando la sentenza di adeguata motivazione sull’esistenza di circostanze atte
a giustificare una sensibile riduzione di pena. Tutta la valutazione si era sostanziata sulla
scorta di un percorso totalmente astratto e disancorato dalle risultanze processuali, facendo
leva sull’unico elemento dei precedenti penali a carico del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre, in primo luogo, spendere alcune sintetiche considerazioni sui poteri attribuiti
al giudice del rinvio dopo una pronuncia di annullamento della Corte di cassazione.
Sul tema, agitato nel primo motivo di ricorso, la giurisprudenza di legittimità ha
sottolineato in modo costante che il Giudice di rinvio è investito di pieni poteri di cognizione e
può – salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno – rivisitare il fatto con pieno
apprezzamento ed autonomia di giudizio, sicché egli non è vincolato all’esame dei soli punti
indicati nella sentenza di annullamento, né ad eventuali elementi di fatto e valutazioni
contenuti nella pronunzia di annullamento.
Egli può bensì accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, che può
anche integrare, ove le parti ne facciano richiesta (ovvero quando sia la stessa Corte di
cassazione a sollecitarlo), a mezzo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi
dell’art. 627, comma secondo, cod. proc. pen..
Ne deriva che, in esito alla compiuta rivisitazione, ben può addivenire a soluzioni
diverse da quelle del precedente giudice di merito, ma può anche condividerne le conclusioni,
pervenendo ad identico epilogo decisorio, purché motivi il suo convincimento sulla base di
argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in sede di illegittimità.
4

ma alle dichiarazioni da lui rese circa la sua condotta, il che non significava necessariamente

Ciò in quanto spetta esclusivamente al Giudice di merito il compito di ricostruire i dati di
fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle
relative fonti di prova, senza essere condizionato da valutazioni fattuali eventualmente sfuggite
al Giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le
rispettive considerazioni e non essendo compito della Corte di cassazione sovrapporre il proprio
convincimento a quello del Giudice di merito in ordine a tali aspetti.
Tuttavia, non può nemmeno affermarsi che gli elementi di fatto o storici sui quali si

sistematicamente ignorati perché rilevanti soli ai fini del giudizio rescindente.
Infatti, un simile modo di procedere può dare luogo ad una motivazione del
provvedimento in sede di rinvio, esposta ad una fondata denuncia di vizio argomentativo ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. (Sez. 2, Sentenza n. 47060 del 25/9/2013, Mazzoni
Rv. 257490; Sez. 5, Sentenza n. 34016 del 22/6/2010, Gambino, Rv. 248413; Sez. 6,
Sentenza n. 4546 del 9/1/2009, Sassi, Rv. 242776; Sez. 4, Sentenza n. 30422 del 21/6/2005,
Poggi, Rv. 232019; Sez. 5, Sentenza n. 5678 del 17/1/2005, Nuzzo e a., Rv230744; Sez. 4,
Sentenza n. 43720 del 14/10/2003, Colao, Rv. 245389; Sez. 1, Sentenza n. 1397 del
10/12/1997, dep. 5/2/1998, Pace ed altri, Rv. 209692).
2. Occorre, in secondo luogo, ricordare, quanto al vizio di motivazione denunciato dal
ricorrente sempre con il primo motivo, i limiti del sindacato del giudice di legittimità.
È pacifico, in proposito, che ai sensi del disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.,
la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del
provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare
che detto testo è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e non già opporre alla
logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari
altrettanto logica, degli atti processuali (Cass., Sez. un., 19 giugno 1996, De Francesco).
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione da parte
del ricorrente di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenuta più adeguata
(Cass., Sez. un., 2 luglio 1997, Dessimone); questo valendo, in particolare, relativamente alla
valutazione sull’attendibilità e valenza dei mezzi di prova posti a fondamento della decisione.
Non va, del resto, dimenticato che, nel momento del controllo della motivazione, la
Corte di cassazione non deve (né può) stabilire se la decisione di merito proponga la migliore
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile
opinabilità di apprezzamento”. Ciò in quanto l’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p. non
consente al giudice di legittimità, come già evidenziato, una diversa lettura dei dati processuali
o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il
controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. 5^, 14
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basa la decisione di annullamento della Cassazione debbano o possano essere sempre e

maggio 2003, Pomposi; Sez. 4^, 4 ottobre 2004, Giuffrida), ed essendo piuttosto consentito
solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione, quale desumibile dalla lettura del testo
del provvedimento impugnato.
3. Il Giudice di rinvio, ad avviso di questo Collegio, si è attenuto ai principi ora esposti,
ove si considerino le ragioni del pregresso annullamento e l’apparato motivazionale della
sentenza gravata su cui supra ci si è soffermati.
Invero, la precedente decisione caducatoria del giudice di legittimità aveva ravvisato

per non avere questa superato in maniera convincente talune discrasìe tra il racconto del
dichiarante diretto Messina e quello fornito dai dichiaranti de relato circa l’ipotesi di coinvolgere
il Gallucci nell’esecuzione dell’omicidio D’Urso, nonché sulla provenienza del ciclomotore usato
per la consumazione del delitto e sul non chiarito ruolo svolto nell’occorso dal Messina stesso
(quello di “vedetta” o meno).
La Corte di Assise di Appello di Napoli, con la sentenza oggi ricorsa, ha assolto ai suoi
compiti, colmando le rilevate lacune motivazionali in termini qui incensurabili.
Ed invero, quanto al ruolo interpretato dal MESSINA nell’omicidio, la Corte territoriale
ha chiarito, sgombrando il campo da ogni dubbio, che, secondo le collimanti dichiarazioni rese
al riguardo dal predetto imputato e dal chiamante in reità de relato DI GRAZIA Paolo, il primo
non svolse funzioni di “vedetta”, ma restò a disposizione presso la casa del suocero (usata
come base di partenza dai killer) per un eventuale intervento di supporto che si fosse reso
necessario nella fase esecutiva del delitto (egli temeva una defezione del cognato).
Il compito di sorvegliare i movimenti della vittima designata e di segnalare la sua uscita
dall’abitazione, secondo la ricostruzione del MESSINA, fu, invece, affidato a SICILIANO Aniello
e BRUCCI Antonio, entrambi deceduti (pag. 15 sentenza impugnata).
Il DI GRAZIA, dal canto suo, dopo aver reiteratamente ed univocamente affermato, nel
contraddittorio dibattimentale, che il MESSINA aveva svolto un ruolo di supporto logistico (“si
definì come logistica dell’esecuzione, che guardava come copertura in quella circostanza ma
non come esecutore materiale”), a seguito della contestazione delle dichiarazioni rese al P.M.
in data 28.4.2006, aveva chiarito di aver adoperato il termine “vedetta” intendendo “che,
all’atto dell’omicidio, lui copriva come vedetta nel senso che vedeva l’esecuzione come andava,
che al momento poteva intervenire, interveniva anche lui” (pag. 19 sent.).
Con motivazione scevra da vizi logici la Corte di merito ha, quindi, concluso, sul punto,
che non poteva ravvisarsi alcun contrasto tra le dichiarazioni rese dal MESSINA e quelle rese
dal DI GRAZIA a proposito del ruolo di supporto solo eventuale che il primo avrebbe svolto
nell’occorso, qualora necessario.
Sufficientemente adeguate, sul piano logico, e comunque nei limiti della plausibile
opinabilità di apprezzamento non censurabile nella presente sede (v. per tutte:
Sez. 1, Sentenza n. 624 del 5/5/1967, Maruzzella, Rv. 105775; Sez. 4, Sentenza n. 4842 del

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profili di carenza e contraddittorietà nella motivazione della sentenza sottoposta al suo esame

2/12/2003, Elia, Rv. 229369), le argomentazioni svolte dai Giudici di rinvio sulle altre discrasìe
evidenziate dai Giudici della fase rescindente.
La Corte partenopea non ha ravvisato sostanziale contrasto tra le versioni fornite dal
MESSINA e dal DI GRAZIA sull’ipotesi coinvolgere nell’esecuzione dell’omicidio tale GALLUCCI,
in quanto, al di là delle prospettazioni dell’uno e delle interpretazioni dell’altro, detta ipotesi fu
senz’altro e da subito esclusa dal MESSINA, il quale manifestò il proposito di

“tenere tutti

fuori”, nel senso che intendeva commettere il delitto avvalendosi esclusivamente di membri del

Quanto alla divergenza circa la provenienza del ciclomotore usato dai killer, ad avviso
dei Giudici di seconde cure essa non poteva assumere rilievo decisivo, in quanto le precisazioni
fornite dal collaboratore di giustizia D’ANGELO Antonio, secondo cui il mezzo da loro acquistato
era in dotazione al clan di Acerra, non risultavano incompatibili con le indicazioni del MESSINA,
il quale aveva parlato genericamente di un motorino rubato procurato unitamente alle armi dal
BASILE e dal TEDESCO (pag. 25 sent.).
Orbene, a fronte di una motivazione che ha provveduto a colmare le lacune censurate in
sede rescindente in termini sufficientemente adeguati e plausibili per come sopra rilevato, i
rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, benché
inscenati sotto la duplice prospettazione della violazione di legge e del vizio di motivazione, si
sviluppano nell’orbita delle censure di merito, oltre tutto essenzialmente aspecifiche ed
assertive, come quando lamentano, apoditticamente, che i Giudici di secondo grado hanno
inteso “circoscrivere al minimo” il limite del proprio condizionamento, oppure “nulla hanno
offerto rispetto ai precisi richiami operati dal Supremo Collegio”, oppure ancora si dolgono,
nella sentenza de qua, di “numerose discrasie tra le varie dichiarazioni rese dai collaboratori di
giustizia”, senza individuarle con precisione circostanziata e senza chiarirne il contenuto.
Per tali considerazioni, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Non coglie nel segno la difesa ricorrente quando rimprovera alla Corte territoriale la
violazione dei criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p..
In primo luogo, nella decisione di annullamento era stato già messo in rilievo,
contrariamente all’assunto difensivo, che il MESSINA non poteva considerarsi un chiamante in
correità de relato, in quanto, se era vero che egli non aveva partecipato alla fase strettamente
esecutiva dell’omicidio, era altrettanto vero che aveva indicato se stesso come mandante e
come fornitore di “appoggio logistico e strumentale”, dichiarando di aver scelto personalmente
gli esecutori materiali dell’omicidio e di averli ricevuti e istruiti prima dell’azione (pag. 7
sentenza di annullamento).
In secondo luogo, sempre nel giudizio rescindente si era affermato che la caratteristica
della cd. circolarità afferiva solo alle informazioni che i due DI GRAZIA e il D’ANGELO avevano
ricevuto dal MESSINA, non anche a quelle ricevute da SPOSITO e da TEDESCO, vale a dire da
parte dei soggetti che il MESSINA aveva chiamato in causa; dunque, le dichiarazioni de relato
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suo gruppo (pag. 20 sent.).

aventi ad oggetto le confidenze ricevute dall’imputato dovevano considerarsi, secondo
l’insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità e diversamente da quanto
sostenuto dalla difesa del ricorrente, idonee a fungere da riscontro alla chiamata in correità del
medesimo (Sez. 6, Sentenza n. 43526 del 3/10/2012, Ritorto e altri, Rv. 253710; Sez. 1,
Sentenza n. 25 dell’11/12/2008, dep. 2/1/2009, Pesce, Rv. 242369; Sez. 1, Sentenza n.
24249 del 25/2/2004, Rotondale altri, Rv. 228550).
Sono, quindi, infondate in diritto le prime due deduzioni svolte con il secondo motivo di

Ciò posto, rilevato che, come detto, le dichiarazioni della fonte secondaria sulle
confidenze ricevute dall’imputato, “in quanto esistenti, vanno valutate” (pag. 8 sentenza di
annullamento), pur tenendo conto della impossibilità di controllo della fonte primaria (nel
senso che se il TEDESCO aveva riferito ai tre collaboranti di aver commesso l’omicidio, ciò non
significava necessariamente che egli avesse detto il vero), va disattesa l’ulteriore censura
mossa dal difensore ricorrente, in cui si esprime la necessità della ricerca, nel caso in esame,
di un elemento diverso ed altro capace di fungere da “perno” cui ancorare la prova della
colpevolezza del TEDESCO.
La pretesa necessità della ricerca di un elemento ulteriore contrasta, invero, con
l’affermazione formulata, nei termini prima riferiti, dai Giudici della V Sezione di questa Corte,
secondo cui le dichiarazioni della fonte secondaria non possono considerarsi “inutilizzabili
o…tamquam non essenr.
Il problema resta quello della valutazione di siffatte dichiarazioni in termini di riscontro
ex art. 192, comma 3, c.p.p. della chiamata diretta in correità del MESSINA.
Ad avviso di questo Collegio, tale valutazione, nel complesso, è stata correttamente
operata dai Giudici di rinvio, i quali, nel rispetto dell’originario ambito cognitivo ad essi
sottoposto in relazione ai delitti ascritti al TEDESCO (omicidio di D’URSO Caterino Raffaele e
connesso delitto in materia di armi) e del devolutum segnato, ai sensi dell’art. 627, comma 3,
c.p.p., dalla Corte di Cassazione, hanno ritualmente fondato la propria decisione sulla chiamata
in correità del MESSINA, dando conto delle ragioni che consentivano di utilizzare, quali idonei
elementi di riscontro delle dichiarazioni accusatorie del chiamante diretto, le chiamate in reità
de relato di DI GRAZIA Paolo e D’ANGELO Antonio.
Nel ritenere la sostanziale affidabilità delle plurime fonti dichiarative e del nucleo
essenziale del narrato, in un quadro di riferimento già ampiamente verificato, i Giudici
napoletani hanno compiuto una valutazione secondo canoni logici, non contraddittori,
rispondenti ai parametri normativi e giurisprudenziali da tempo consolidati (credibilità
soggettiva, attendibilità oggettiva, riscontri, ma anche convergenza del molteplice: Sez. U., n.
1653 del 21/10/1992, dep. 22/2/1993, Marino, Rv. 192465; Sez. U., n. 20804 del
29/11/2012, dep. 14/5/2013, Aquilina e altri, Rv. 255145; Sez. 1, n. 19759 del 17/5/2011,
Misseri, n. m. sul punto; Sez. 6, n. 11599 del 13/3/2007, Pelaggi, Rv. 236151) e sciogliendo
nei termini di plausibilità sopra riferiti le discrasìe stigmatizzate nella fase rescindente.
8

ricorso.

In un contesto di guerra sviluppatosi nel tempo tra fazioni camorristiche, dove il clan di
DE SENA di Acerra, cui apparteneva il MESSINA, aveva tessuto rapporti di alleanza sia con il
gruppo di ex cutoliani di Carinaro costituito dal collaboratore DI GRAZIA Paolo sia con il clan
CASTALDO cui apparteneva l’altro collaborante D’ANGELO Antonio, e dove, in forza di tali
intese, i tre dichiaranti si erano trovati ad operare congiuntamente in situazioni illecite, talvolta
anche con lo stesso TEDESCO (il DI GRAZIA, ad esempio, aveva fornito appoggio al MESSINA
durante la sua latitanza nel 1999 e aveva partecipato ad omicidi di avversari del clan del

quest’ultimo anche dei cantieri in Acerra e partecipando ad agguati organizzati ai danni di Di
Buono Antonio e di altri esponenti del clan rivale: vedi, pag. 16 e pag. 22 della sentenza
impugnata), ad avviso della Corte di Assise di Appello costituiva, per forza di cose, patrimonio
comune la conoscenza degli avvenimenti verificatisi nelle rispettive zone di influenza (Acerra,
Caivano, Carinaro) e, per quel che qui rileva, doveva ritenersi del tutto plausibile, appunto in
forza dei ridetti rapporti di alleanza e di un comune vissuto criminale, che i due dichiaranti de
relato DI GRAZIA e D’ANGELO avessero ricevuto dal TEDESCO (oltre che dal MESSINA) le
confidenze circa la sua (loro) effettiva partecipazione all’omicidio del D’URSO, esponente di
spicco del clan avversario Crimaldi di Acerra, che aveva(no), pertanto, interesse a rivendicare
per ragioni di supremazia nel territorio.
Siffatto ragionamento sfugge a qualsivoglia censura di illogicità, non palesandosi, in
particolare, alcun passaggio ex se contraddittorio ovvero non coordinato con gli altri elementi
di prova analizzati o disancorato dal contesto complessivo.
Pertanto, la violazione di legge in relazione agli artt. 129 e 192 c.p.p., dedotta dal
ricorrente con il secondo motivo, si appalesa infondata.
5. E’ manifestamente infondato, infine, il terzo ed ultimo motivo di ricorso, che deduce

il duplice vizio di carenza di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
5.1. Va ricordato che la concessione delle circostanze attenuanti generiche risponde a

una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei
soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la valutazione del giudice circa
l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da parte del
giudice, né l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la
loro concessione deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi di segno
positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (Sez. 1, Sentenza n. 46954 del 4/11/2004, P.G.
in proc. Palmisani, Rv. 230591).
Ai fini dell’applicabilità delle attenuanti generiche, pertanto, non è necessario che il
giudice compia un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti
dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento agli elementi ritenuti decisivi o
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri; sicché, ai fini del diniego delle attenuanti
9

predetto; il D’ANGELO aveva commesso estorsioni in concorso con il TEDESCO, bloccando con

in parola, basta anche la sola indicazione degli elementi negativi, come il richiamo ai
precedenti penali dell’imputato (Sez. 6, Sentenza n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv.
248737; Sez. 6, Sentenza n. 34364 del 16/6/2010, Giovane e altri, Rv. 248244; Sez. 2,
Sentenza n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 25/1/2005, Alba e altri, Rv. 230691).
5.2. Nel caso di specie, la Corte di merito ha ritenuto il ricorrente non meritevole delle
attenuanti generiche, tenuto conto della assoluta gravità del fatto e della sua allarmante
personalità, desunta dalle precedenti condanne per estorsione aggravata dal metodo mafioso e

Trattasi di considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che valgono a rendere
l’impugnata decisione esente dal vizio denunciato.
6. Per le esposte considerazioni, il ricorso va, nel complesso, rigettato.
Al rigetto consegue la condanna alle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, I’ll marzo 2014

Il Consigliere estensore

per reati in materia di armi.

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