Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33765 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33765 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONTI CARMELO N. IL 05/08/1975
avverso l’ordinanza n. 2452/2013 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
27/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/06/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 27 dicembre 2013 il Tribunale del riesame di Torino confermava
l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari che in data 28.11.2013 aveva
applicato la misura cautelare della detenzione in carcere a Conti Carmelo indagato per
concorso nella rapina pluriaggravata avvenuta il 22 settembre 2011 (capo A), omicidio
premeditato di Vasile Cosimo Damiano (capo I), porto di arma da sparo (capo M), furti ( capo
N e P), rapina aggravata in concorso con Giambò Antonino e altri commessa tra 11 e il 2 luglio

Nell’ordinanza si legge che l’ indagine nasce dalle operazioni svolte dai carabinieri di Torino a
seguito del rinvenimento in data 7 gennaio 2012 del cadavere di Tevere Pietro, Trovato nel
vano portabagagli della autovettura di proprietà della suocera, parcheggiata lungo via Tempia
in Torino. Da subito erano emersi i rapporti del Tevere con tale Giambò Antonino con il quale il
defunto risultava essere stato coinvolto in una rapina in danno di un Tir della ditta trasporti
solari SNC, che, per conto della Verres S.p.A., trasportava all’Istituto Poligrafico zecca dello
Stato dei tondelli destinati al conio, rapina avvenuta lungo il raccolto autostradale di Ivrea
anche a intorno alle 2,00 del 22 settembre 2011. La refurtiva era stata quasi totalmente
recuperata in data 25 ottobre 2011 dai carabinieri della compagnia di Ivrea nel corso di una
perquisizione effettuata in un capannone sito in Ozegna. Nel corso della perquisizione venivano
rinvenuti anche altri oggetti rubati in vari furti e rapine avvenuti dal marzo al luglio 2011. Da
qui partivano le indagini, volte all’individuazione dei responsabili delle rapina, attraverso
l’analisi dei tabulati telefonici, del percorso autostradale, delle ricevute di viaggio, dei filmati
registrati in prossimità del capannone e del confronto con le immagini recuperate in altri
incontri. Le indagini si indirizzavano in particolare verso Ansarmè Manuel, Cameruccio
Massimiliano, Conti Carmelo, Giambò Antonino, Tevere Pietro. Eenivano individuati anche i
destinatari del carico nelle persone di Pasqualone Claudio e Picherri Giuseppe. Emergevano
anche i rapporti con un gruppo criminale composto dai fratelli Scarafile ed altri per conto dei
quali il Tevere risultava avere svolto diversi trasporti di stupefacente. Nell’ultimo di questi
avvenuto il 16 ottobre 2011, Tevere, unitamente a Giambò, risultava essersi impossessato
della droga simulando poi l’incendio dell’autovettura con la quale stava effettuando il viaggio.
Entrambi i filoni di indagine mettevano in evidenza conflitti e problematiche tra i correi che,
secondo gli investigatori, fornivano la chiave di lettura dei tre gravi fatti delittuosi avvenuti
successivamente: il tentato omicidio di Pichierri Giuseppe il 27 dicembre 2011, l’omicidio di
Tevere Pietro in data 3 gennaio 2012 e l’omicidio in data 5 gennaio 2013 di Vasile Cosimo
Damiano che risultava coinvolto nella ricettazione dei tondelli.
Conti e Giambò erano stati ripresi dal sistema di video registrazione predisposto nel capannone
mentre in data 15 ottobre 2011 erano intenti a nascondere presso il magazzino di Ozegna che
era nella loro disponibilità numerose casse dei tondelli rapinati. Il Tribunale traeva indizi di
colpevolezza dall’intercettazione ambientale del 14.3.2012 e dalle dichiarazioni della moglie di
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2011 (capo O).

Tevere Pietro e da quelle rese dal cognato di costui. A tali elementi venivano aggiunte l’analisi
delle c.d. schede dedicate.
Il tribunale rilevava inoltre che numerosi erano gli elementi dai quali desumersi un grave
quadro indiziario a carico del Giambò e del Conti in ordine all’omicidio di Vasile (pedinamenti
continui della vittima dall’8 dicembre 2012 al 3 gennaio 2003, fino al giorno dell’omicidio,
compatibilità dei tempi di percorrenza e di accensione delle utenze di Giambò con la
commissione dell’omicidio, programmazione dello stesso sin dal 27 dicembre 2012 e ancora il 5
gennaio 2013, il movente – contenzioso per la commercializzazione dei tondelli- sovrapponibile

Picchierri. In particolare il Conte ha fornito un contributo agevolatore, in quanto mediante la
collaborazione offerta a Giambò durante i pedinamenti (collaborazione che lo stesso Giambò
manifesta di ricercare confrontandosi con Conti alla fine degli inseguimenti effettuati da solo)
ha aiutato il correo nell’apprendere i luoghi frequentati, le abitudini e gli spostamenti di Vasile
così coadiuvandolo con maggior margine di riuscita la realizzazione dell’omicidio
Gravi indizi a carico dei furti di cui ai capi N) erano individuati negli esiti della perquisizione del
25.10.2011 e dall’analisi del traffico del Telepass intestato al Conti e delle fatture relative alle
traffico.
Analoghe considerazioni venivano fatti anche per i reati di cui ai capi O) e P) .
Ricorre per cassazione l’indagato a mezzo del suo difensore deducendo che il provvedimento
impugnato è incorso in mancanza manifesta illogicità della motivazione travisamento del fatto
in relazione agli articoli 273,192 comma due codice di procedura penale 110, 628.
Contesta la sussistenza della gravità indiziaria con riguardo al reato di cui al capo A). Sostiene
che gli elementi indiziari indicati dal tribunale non colpiscono minimamente la responsabilità
del ricorrente. Sostiene che il tribunale del riesame fonda il proprio convincimento su elementi
neutri dal punto di vista indiziario.
Contesta la valutazione delle prove operata dal tribunale con riguardo ai fatti di cui ai capi I)
ed M). In particolare contesta l’interpretazione fornita con riguardo alle conversazioni
telefoniche del 27 dicembre 2012 ore 20,28; del 5 gennaio 2013 ore 13,07 e 6 gennaio 2013
ore 12,12
Anche con riguardo ai reati di cui ai capi N, O) e P) sostiene che vi è manifesta illogicità della
motivazione

Il ricorso è inammissibile perché generico e versato in fatto.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure,
che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente spettando alla corte di
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a quello di analoghe condotte omicidiarie, come l’uccisione di Tevere e il tentato omicidio di

legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di

ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Questa Corte ha inoltre avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza
non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc.
peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla
gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi)( Cass. N. 37878 del 2007 Rv.
237475; N. 36079 del 2012 Rv 253511)
Nel caso in esame il giudice di merito ha dato conto, con motivazione coerente, specifica e
priva di vizi logici degli elementi a carico dell’indagato con riguardo a tutti i capi di imputazione
a fronte di tale argomentare il ricorrente offre una generica alternativa lettura dei dati fattuali
non consentita in questa sede di legittimità.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

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Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate,

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp.
Att. C.p.p.

Così deliberato in Roma il 25.6.2014

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