Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33763 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33763 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIAMBO’ ANTONINO N. IL 18/06/1968
avverso l’ordinanza n. 2452/2013 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
27/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
Fette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/06/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 27 dicembre 2014 il Tribunale del riesame di Torino confermava
l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari che in data 28.11.2014 aveva
applicato la misura cautelare della detenzione in carcere a Giambò Antonino indagato per
concorso nella rapina pluriaggravata avvenuta il 22 settembre 2011 (capo A), omicidio
premeditato di Vasile Cosimo Damiano (capo I), porto di arma da sparo (capo M), furti ( capo
N e P), rapina aggravata in concorso con Conti Carmelo e altri commessa tra I’l e il 2 luglio

tentato omicidio di Pichierri Giuseppe ( capo C), omicidio di Tevere Pietro (capo G), detenzione
in concorso con Tevere Pietro di hashish e cocaina (capo E), furti aggravati di cui al capo Qbis,
R, S e T)
Nell’ordinanza si legge che l’ indagine nasce dalle operazioni svolte dai carabinieri di Torino a
seguito del rinvenimento in data 7 gennaio 2012 del cadavere di Tevere Pietro, Trovato nel
vano portabagagli della autovettura di proprietà della suocera, parcheggiata lungo via Tempia
in Torino. Da subito erano emersi i rapporti del Tevere con tale Giambò Antonino con il quale il
defunto risultava essere stato coinvolto in una rapina in danno di un Tir della ditta trasporti
solari SNC, che, per conto della Verres S.p.A., trasportava all’Istituto Poligrafico zecca dello
Stato dei tondelli destinati al conio, rapina avvenuta lungo il raccolto autostradale di Ivrea
anche a intorno alle 2,00 del 22 settembre 2011. La refurtiva era stata quasi totalmente
recuperata in data 25 ottobre 2011 dai carabinieri della compagnia di Ivrea nel corso di una
perquisizione effettuata in un capannone sito in Ozegna. Nel corso della perquisizione venivano
rinvenuti anche altri oggetti rubati in vari furti e rapine avvenuti dal marzo al luglio 2011. Da
qui partivano le indagini, volte all’individuazione dei responsabili della rapina, attraverso
l’analisi dei tabulati telefonici, del percorso autostradale, delle ricevute di viaggio, dei filmati
registrati in prossimità del capannone e del confronto con le immagini recuperate in altri
incontri. Le indagini si indirizzavano in particolare verso Ansarmè Manuel, Cameruccio
Massimiliano, Conti Carmelo, Giambò Antonino, Tevere Pietro. Venivano individuati anche i
destinatari del carico nelle persone di Pasqualone Claudio e Picherri Giuseppe. Emergevano
anche i rapporti con un gruppo criminale composto dai fratelli Scarafile ed altri per conto dei
quali il Tevere risultava avere svolto diversi trasporti di stupefacente. Nell’ultimo di questi
avvenuto il 16 ottobre 2011, Tevere, unitamente a Giambò, risultava essersi impossessato
della droga simulando poi l’incendio dell’autovettura con la quale stava effettuando il viaggio.
Entrambi i filoni di indagine mettevano in evidenza conflitti e problematiche tra i correi che,
secondo gli investigatori, fornivano la chiave di lettura dei tre gravi fatti delittuosi avvenuti
successivamente: il tentato omicidio di Pichierri Giuseppe il 27 dicembre 2011, l’omicidio di
Tevere Pietro in data 3 gennaio 2012 e l’omicidio in data 5 gennaio 2013 di Vasile Cosimo
Damiano che risultava coinvolto nella ricettazione dei tondelli.

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2011 (capo O), tentato omicidio in danni di Traversi Caterina Katy, fidanzata di Vasile (capo L),

E in particolare il Tribunale rilevava che eraindubbio che Pichierri era stato vittima di un
investimento e che di tale condotta si sia reso autore Giambò.
Conti e Giambò erano stati ripresi dal sistema di video registrazione predisposto nel capannone
mentre in data 15 ottobre 2011 erano intenti a nascondere presso il magazzino di Ozegna che
era nella loro disponibilità numerose casse dei tondelli rapinati. Il Tribunale traeva indizi di
colpevolezza dall’intercettazione ambientale del 14.3.2012 e dalle dichiarazioni della moglie di
Tevere Pietro e da quelle rese dal cognato di costui. A tali elementi venivano aggiunte l’analisi
delle c.d. schede dedicate.

quadro indiziario a carico del Giambò e del Conti in ordine all’omicidio di Vasile (pedinamenti
continui della vittima dall’8 dicembre 2012 al 3 gennaio 2003, fino al giorno dell’omicidio,
compatibilità dei tempi di percorrenza e di accensione delle utenze di Giambò con la
commissione dell’omicidio, programmazione dello stesso sin dal 27 dicembre 2012 e ancora il 5
gennaio 2013, il movente – contenzioso per la commercializzazione dei tondelli- sovrapponibile
a quello di analoghe condotte omicidiarie, come l’uccisione di Tevere e il tentato omicidio di
Picchierri. In particolare il Conte ha fornito un contributo agevolatore, in quanto mediante la
collaborazione offerta a Giambò durante i pedinamenti (collaborazione che lo stesso Giambò
manifesta di ricercare confrontandosi con Conti alla fine degli inseguimenti effettuati da solo)
ha aiutato il correo nell’apprendere i luoghi frequentati, le abitudini e gli spostamenti di Vasile
così coadiuvandolo con maggior margine di riuscita la realizzazione dell’omicidio.
Gravi indizi a carico dei furti di cui ai capi N) erano individuati negli esiti della perquisizione del
25.10.2011 e dall’analisi del traffico del Telepass intestato al Conti e delle fatture relative alle
traffico.
Analoghe considerazioni venivano fatti anche per i reati di cui ai capi O) e P) .
I reati di cui ai capi E) , G ) e H) trovano fondamento nelle dichiarazioni della moglie del
Tevere indicate come credibili e confermate da plurimi riscontri, quali le dichiarazioni rese da
Galardo Antonio, gli esiti delle conversazioni ambientali disposte 14 marzo 2012 e l’analisi dei
tabulati telefonici del ricorrente.
Ricorre per cassazione l’indagato a mezzo del suo difensore deducendo che il provvedimento
impugnato è incorso in manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della
gravità e dell’univocità degli indizi di colpevolezza. Contesta la valutazione delle prove operata
dai giudici del riesame con riguardo a tutti i capi di imputazione. Con riguardo al capo C
lamenta l’insussistenza dei requisiti di idoneità e non equivocità della condotta .
Il ricorso è inammissibile perché generico e versato in fatto.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure,
che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
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Il tribunale rilevava inoltre che numerosi erano gli elementi dai quali desumersi un grave

diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente spettando alla corte di
legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e

Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate,
ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Questa Corte ha inoltre avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza
non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc.
peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla
gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi)( Cass. N. 37878 del 2007 Rv.
237475; N. 36079 del 2012 Rv 253511)
Nel caso in esame il giudice di merito ha dato conto, con motivazione coerente, specifica e
priva di vizi logici degli elementi a carico dell’indagato con riguardo a tutti i capi di imputazione
a fronte di tale argomentare il ricorrente offre una generica alternativa lettura dei dati fattuali
non consentita in questa sede di legittimità.
Con riguardo alla configurabilità giuridica del capo C) (tentato omicidio di Pichierri),
genericamente contestata dal ricorrente, deve rilevarsi che il tribunale richiamandosi alla
dinamica dei fatti descritta dalla Sanchez secondo la quale l’autore dell’investimento aveva
accelerato violentemente la marcia andando a colpire la vittima con forza tale da farla volare in
aria ha correttamente ritenuto che l’azione posta in essere dall’indagato era sicuramente
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fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di

idonea e diretta a realizzare l’evento che non si è verificato grazie alle capacità reattive della
vittima.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e

Att. C.p.p.
Così deliberato in Roma il 25.6.2014
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente
e(Ciro PETTI
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della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp.

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