Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33762 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33762 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONTE EMILIO N. IL 19/08/1960
TAGLIENTE DAVIDE N. IL 22/09/1968
avverso l’ordinanza n. 645/2013 TRIB. LIBERTA’ di TARANTO, del
13/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
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Data Udienza: 25/06/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza del 13 dicembre 2013 il Tribunale del riesame di Taranto confermava
l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che il 18 novembre 2013 aveva applicato la
custodia cautelare degli arresti domiciliari a Tagliente Davide per concorso nel reato di abusivo
esercizio dell’attività finanziaria (capo E) e a Conte Emilio per il reato di usura (capo F).
Ricorrono per cassazione gli indagati.
Tagliente Davide contesta la permanenza e la attualità delle esigenze cautelari.

motivazione in ordine alle doglianze espresse nei motivi aggiunti depositati davanti al tribunale
ai sensi del sesto comma dell’articolo 309 codice procedura penale. Contesta l’iter
motivazionale dei giudici di merito rilevando che non era possibile ritenere, anche dato per
scontato l’esistenza di un rapporto di convivenza fra Conte Emilio e Pedone Ida, che dopo sei
anni dalla cessazione di tale rapporto ci potesse essere tra di loro ancora tanta fiducia da avere
in comune atti delinquenziali. Rileva inoltre che i giudici di merito non hanno affrontato la
questione segnalata dalla difesa relative all’esistenza nel processo di altri soggetti di nome
Emilio e Giovanni. Sostiene anche che non è stato accertato alcun incontro fra il Conte e il
Cellamare.
Il ricorso di Tagliente Davide è manifestamente infondato.
Con riguardo alle esigenze cautelari deve osservarsi che gli atti o i comportamenti
concretamente sintomatici della pericolosità dell’indagato possono essere individuati nelle
modalità e nella gravità dei fatti, l’art. 274 c.p.p., lett. c), non impedisce infatti di trarre il
pericolo concreto di reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell’interesse protetto e
dello stesso valore costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto,
considerate nella loro obiettività, secondo l’indirizzo assolutamente prevalente e consolidato
negli anni, tanto da essere ormai costante (Cass. sez. 1, 21 febbraio 1996 n. 277 rv. 203726
cui adde Cass. sez. 3, 23 luglio 1996 n. 2631, rv. 205820; Cass. sez. 5, 4 agosto 1999 n. 1416
rv. 214230; Cass. sez. 2, 21 febbraio 2000 n. 726 rv. 215403, Cass. sez. 3, 4 maggio 2000 n.
1384 rv. 216304 e Cass. sez. 6, 21 dicembre 2001 n. 45542 rv. 220331 e di recente con
riguardo a varie sezioni Cass. sez. 3, 23 aprile 2004 n. 1995 rv. 228882, Cass. sez. 6, 4 aprile
2005 n. 12404 rv. 231323 e Cass. sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 45950 rv. 233222).
Ed invero la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi da criteri,
oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la
gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità del soggetto, come ha fatto l’impugnata ordinanza, con
una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti (non occasionalità del fatto, professionalità
nel reato, è stata evidenziata la tendenza a non rispettare il dettato legislativo come emerge
dai numerosi titoli esecutivi per reati in tema di violazione del testo unico delle leggi doganali e
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Conte Emilio deduce violazione di legge e vizio della motivazione lamentando l’omessa

delle norme sulla disciplina dell’Iva e per reati contro il patrimonio, comportamento non
collaborativo) e non su criteri generici e/o automatici. È stato ritenuto che la suddetta
valutazione infausta dovesse rimanere ferma anche a fronte della risalenza dei fatti contestati
per un dato che accomuna tutti gli indagati rappresentato dalla natura dell’attività contestata
nella quali i legami con la rete clientelare, che la misura detentiva aveva temporaneamente
sospeso, con estrema facilità poteva essere nuovamente alimentata attraverso altri e nuovi
circuiti ovvero attraverso la rivitalizzazione dei circuiti già collaudati. È stato rilevato che
l’operazione che ha dato origine al processo è iniziata solo per la situazione debitoria

finanziatori abusivi tra i quali vi era anche l’attuale ricorrente.
Il ricorso di Conte Emilio è inammissibile perché generico e versato in fatto.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure,
che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente spettando alla corte di
legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di
Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate,
ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Questa Corte ha inoltre avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza
non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
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insostenibile in cui si era venuto a trovare la parte offesa Colella che ha menzionato i nomi dei

elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc.
peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla
gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi)( Cass. N. 37878 del 2007 Rv.
237475; N. 36079 del 2012 Rv 253511)
Nel caso in esame il giudice di merito ha dato conto, con motivazione coerente, specifica e

intercettate, rispondendo a tutte le doglianze difensive relative all’identificazione dell’indagato,
a fronte di tale argomentare il ricorrente offre una generica alternativa lettura dei dati fattuali
non consentita in questa sede di legittimità.
I ricorsi sono pertanto inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 25.6.2014

priva di vizi logici degli elementi a carico dell’indagato, individuati nelle conversazioni

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