Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33761 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33761 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANSERME’ MANUEL N. IL 02/07/1977
avverso l’ordinanza n. 2412/2013 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
23/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
tettelsentite le conclusioni del PG Dott. Go..An,y ) j’~

Udit i difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/06/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 23 dicembre 2014 il Tribunale del riesame di Torino confermava
l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari che in data 28.11.2014 aveva
applicato la misura cautelare della detenzione in carcere ad Ansermè Manuel indagato per
concorso nella rapina pluriaggravata avvenuta il 22 settembre 2011. Nell’ordinanza si legge
che l’ indagine nasce dalle operazioni svolte dai carabinieri di Torino a seguito del rinvenimento
in data 7 gennaio 2012 del cadavere di Tevere Pietro, trovato nel vano portabagagli della

erano emersi i rapporti del Tevere con tale Giambò Antonino con il quale il defunto risultava
essere stato coinvolto in una rapina in danno di un Tir della ditta trasporti solari SNC, che, per
conto della Verres S.p.A., trasportava all’Istituto Poligrafico zecca dello Stato dei tondelli
destinati al conio, rapina avvenuta lungo il raccolti) autostradale di Ivrea anche a intorno alle
2,00 del 22 settembre 2011. La refurtiva era stata quasi totalmente recuperata in data 25
ottobre 2011 dai carabinieri della compagnia di Ivrea nel corso di una perquisizione effettuata
in un capannone sito in Ozegna. Nel corso della perquisizione venivano rinvenuti anche altri
oggetti rubati in vari furti e rapine avvenuti dal marzo al luglio 2011. Da qui partivano le
indagini, volte all’individuazione dei responsabili delle rapina, attraverso l’analisi dei tabulati
telefonici, del percorso autostradale, delle ricevute di viaggio, dei filmati registrati in prossimità
del capannone e del confronto con le immagini recuperate in altri incontri. Le indagini si
indirizzavano in particolare verso Ansarmè Manuel, Cameruccio Massimiliano, Conti Carmelo,
Giambò Antonino, Tevere Pietro. Eenivano individuati anche i destinatari del carico nelle
persone di Pasqualone Claudio e Picherri Giuseppe. Emergevano anche i rapporti con un
gruppo criminale composto dai fratelli Scarafile ed altri per conto dei quali il Tevere risultava
avere svolto diversi trasporti di stupefacente. Nell’ultimo di questi avvenuto il 16 ottobre 2011,
Tevere, unitamente a Giambò, risultava essersi impossessato della droga simulando poi
l’incendio dell’autovettura con la quale stava effettuando il viaggio. Entrambi i filoni di indagine
mettevano in evidenza conflitti e problematiche tra i correi che, secondo gli investigatori,
fornivano la chiave di lettura dei tre gravi fatti delittuosi avvenuti successivamente: il tentato
omicidio di Pichierri Giuseppe il 27 dicembre 2011, l’omicidio di Tevere Pietro in data 3 gennaio
2012 e l’omicidio in data 5 gennaio 2013 di Vasile Cosimo Damiano che risultava coinvolto
nella ricettazione dei tondelli.
Ad Ansarmè è contestato di avere partecipato alla fase di ideazione della rapina del 22
settembre 2011 in qualità di basista, essendo egli dipendente della Verres spa, ed in
particolare di aver avvisato il gruppo di rapinatori della tipologia e della data del carico,
comunicandole a Cameruccio Massimiliano che ha ammesso le sue responsabilità.
Ricorre per cassazione l’indagato a mezzo del suo difensore deducendo che il provvedimento
impugnato è incorso in:

l

autovettura di proprietà della suocera, parcheggiata lungo via Tempia in Torino. Da subito

1. manifesta illogicità e contraddizioni della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza. Contesta la valutazione delle prove operata dai giudici del
riesame evidenziando come dalle stesse non emerga la certa responsabilità del
ricorrente nei fatti in contestazione. Lamenta in particolare come il tribunale del
riesame abbia omesso di considerare tutta una serie di aspetti problematici,
valorizzando e citando solo le circostanze funzionali alla ricostruzione dei fatti preferita.
Rileva che il tribunale ha svolto una ricostruzione dei fatti basata su elementi
meramente logici, ricostruzione possibile e magari verosimile che però, oltre a non

esaustiva e non tiene conto della componente del caso. Rileva che non è possibile infatti
escludere in assoluto che vi sia stata una coincidenza casuale tra la chiamata di
Ansarmè a Cameruccio e l’inizio delle operazioni criminali, avviate a seguito di altre
chiamate che potevano eventualmente aver luogo tra soggetti diversi.

Veniva

osservato che le indagini avevano consentito di individuare quattro utenze
presumibilmente dedicate coinvolte nella rapina, ma veniva altresì rilevato che era
possibile che vi fossero altre utenze non individuate. In sintesi si sostiene che
l’ordinanza impugnata risulta viziata sotto il profilo logico motivazionale in quanto è
fondata su presupposti fattuali equivoci ed omette di prendere in considerazione
circostanze che contraddicono la tesi accusatorie e ritiene sussistente un rapporto di
causa ed effetto tra eventi, sulla base di un criterio di mera verosimiglianza senza
considerare le possibili spiegazioni alternative.
2. Violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio
3. omissione e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle
esigenze cautelari. Lamenta che il tribunale fa riferimento al rischio di recidiva specifica
basandosi sulla elevata gravità del fatto senza tenere conto che il ricorrente non ha
avuto rapporti con gli altri indagati e che è persona socialmente ben integrata
4. manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla scelta della misura cautelare
della custodia in carcere.

Il ricorso è inammissibile perché generico e versato in fatto.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure,
che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente spettando alla corte di
legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
2

essere così solida dal punto di vista strettamente logico, non è neppure del tutto

elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di
Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate,
ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure

del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Questa Corte ha inoltre avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza
non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc.
peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla
gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi)( Cass. N. 37878 del 2007 Rv.
237475; N. 36079 del 2012 Rv 253511)
Nel caso in esame il giudice di merito ha dato conto, con motivazione coerente, specifica e
priva di vizi logici degli elementi a carico dell’indagato, a fronte di tale argomentare il
ricorrente offre una generica alternativa lettura dei dati fattuali non consentita in questa sede
di legittimità.
Con riguardo alle esigenze cautelari deve osservarsi che gli atti o i comportamenti
concretamente sintomatici della pericolosità dell’indagato possono essere individuati nelle
modalità e nella gravità dei fatti, l’art. 274 c.p.p., lett. c), non impedisce infatti di trarre il
pericolo concreto di reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell’interesse protetto e
dello stesso valore costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto,
considerate nella loro obiettività, secondo l’indirizzo assolutamente prevalente e consolidato
negli anni, tanto da essere ormai costante (Cass. sez. 1, 21 febbraio 1996 n. 277 rv. 203726
cui adde Cass. sez. 3, 23 luglio 1996 n. 2631, rv. 205820; Cass. sez. 5, 4 agosto 1999 n. 1416
rv. 214230; Cass. sez. 2, 21 febbraio 2000 n. 726 rv. 215403, Cass. sez. 3, 4 maggio 2000 n.
3

ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile

1384 rv. 216304 e Cass. sez. 6, 21 dicembre 2001 n. 45542 rv. 220331 e di recente con
. riguardo a varie sezioni Cass. sez. 3, 23 aprile 2004 n. 1995 rv. 228882, Cass. sez. 6, 4 aprile
• 2005 n. 12404 rv. 231323 e Cass. sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 45950 rv. 233222).
Ed invero la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi da criteri,
oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la
gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità del soggetto, come ha fatto l’impugnata ordinanza, con

nel reato, sono state sottolineate le circostanze fattuali del suo agire, il suo mantenere i
contatti tra i partecipanti dell’operazione, a cui mette a disposizione informazioni essenziali per
la riuscita sapientemente e con accortezza acquisite, l’utilizzo di un’utenza dedicata che gli
consentiva maggior facilità di coordinamento eludendo così le forze dell’ordine e consentendo
il collegamento con gli esecutori materiali della rapina ) e non su criteri generici e/o automatici.
Peraltro, l’attribuzione alle medesime modalità e circostanze del fatto di una duplice valenza
sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto sia sotto quello dell’apprezzamento
della capacità a delinquere discende dalla considerazione che la condotta tenuta in occasione
del reato costituisce un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità
dell’agente e da un’interpretazione adeguatrice tesa ad eliminare ingiustificate disparità di
trattamento, derivanti dal mero dato temporale e dalla maggiore o minore celerità di giudizio,
tra indagato già condannato per altro reato ed altro incensurato colpito dalla misura restrittiva
per una pluralità di condotte criminose, sintomatiche di personalità caratterizzate da plurimi
fatti penalmente rilevanti. Così come è stato dato conto delle ragioni che impedivano
l’applicazione di una misura di minore gravità
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp.
Att. C.p.p.
Così deliberato in Roma il 25.6.2014

una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti (non occasionalità del fatto, professionalità

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