Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33759 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33759 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARELLA LUIGI N. IL 06/12/1961
avverso l’ordinanza n. 280/2013 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
30/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
Mie sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/06/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per cassazione Carella Luigi, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza del
tribunale del riesame di Bari che ha rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento del
giudice per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta di revoca del sequestro
dell’immobile sito in Foggia via Armando Fares n. 5.
Deduce il ricorrente che il provvedimento impugnato è incorso in violazione di legge in
relazione all’articolo 12 sexies L. n. 306/1992 e 125 comma 3, 322 bis codice di procedura

condizioni che legittimavano detta misura e illogicità della motivazione.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale di Bari, a fronte di un contesto probatorio attestato dalle
indagini difensive che dimostravano che l’immobile era occupato sin dal 1988 dal ricorrente e
che non vi erano tracce del versamento del prezzo di euro 150.000,00, non poteva limitarsi a
rilevare un contrasto tra le informazioni rese dai testi della difesa e quanto riportato nell’atto di
compravendita e a sminuire il nuovo apporto conoscitivo, solo per il rapporto di parentela
intercorrente tra l’indagato e gli informatori. Il giudice d’appello avrebbe dovuto avvertire il
dovere di confutare le doglianze difensive, di spiegare l’inconsistenza dei tre elementi
(occupazione dell’immobile prima dell’acquisto, non rinvenimento delle somme versate,
inattendibilità delle dichiarazioni) e di esplicitare le ragioni persuasive della decisione negativa.
Veniva rilevato che l’aver valorizzato il contenuto dell’atto pubblico di compravendita, era
l’unico elemento a supporto della tesi accusatorie. Non aver considerato tutte le altre opposte
emergenze significava aver parcellizzato la valutazione della prova e aver offerto un’apparente
giustificazione della decisione negativa senza affrontare le tematiche prospettate dalla difesa.
Veniva pertanto rilevato un palese vizio di motivazione che si riverberava sulla legittimità del
provvedimento.
Il difensore depositava memoria con la quale illustrava ulteriormente i motivi di ricorso.
Il ricorso è inammissibile.
Deve preliminarmente rilevarsi che in tema di misura cautelari reali, nella nozione di
“violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma
dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di
motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali; ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di
impugnazione vizi della motivazione, atteso che nel predetto concetto di “violazione di legge”,
come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), non rientrano anche
la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, che sono invece separatamente previsti
come motivo di ricorso (peraltro non applicabile al ricorso ex art. 325 c.p.p.) dall’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. SS.UU., 28.1.2004 n. 5876).
Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in subiecta materia ha pertanto un orizzonte
circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla assoluta mancanza
l

penale per illegittima protrazione della misura cautelare, nonostante il venir meno delle

di motivazione ovvero alla presenza di motivazione meramente apparente. E la giurisprudenza
di questa Corte ha avuto modo altresì di evidenziare (Cass. sez. 2^, 22.5.1997 n. 3513), con
riferimento alla problematica del riesame delle misure cautelari, che il legislatore ha in tal
modo inteso sanzionare l’elusione da parte del giudice del riesame del suo compito istituzionale
di controllo “in concreto” del provvedimento impugnato, riconducibile alla prescrizione
dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, sanzionato a pena di nullità, e
dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge solo quando la
motivazione sia del tutto assente o meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti
per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del
provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di motivazione dei
provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Ciò detto deve rilevarsi che nel caso concreto il tribunale ha esplicitato le ragioni che
impedivano l’accoglimento dell’appello confrontandosi con tutte le deduzioni difensive e
sottolineandone la contraddittorietà.
A fronte dell’argomentare del giudice del riesame il ricorrente rileva un vizio di motivazione,
lamenta infatti una parcellizzazione nella valutazione della prova contestando la giustificazione,
che considera apparente, della decisione negativa, vizio come tale non ammissibile in questa
sede.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 25.6.2014
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente

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