Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3374 del 23/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3374 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
De Felice Felice, nato 1’11 luglio 1959
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari del 14 dicembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Enrico
Delehaye, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata,
limitatamente alla determinazione della pena, con rigetto del ricorso nel resto.

Data Udienza: 23/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 14 dicembre 2012, la Corte d’appello di Bari, in riforma
della sentenza del Tribunale di Bari del 25 novembre 2009, con la quale l’imputato era
stato assolto per non avere commesso il fatto, ha condannato l’imputato stesso per il
reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, riconosciuta la circostanza
attenuante di cui al comma 5 dello stesso articolo, con equivalenza sulla contestata
recidiva, in relazione alla detenzione a fini di spaccio di cocaina per un peso

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione, denunciando, in primo luogo, la manifesta illogicità della motivazione, per
la mancanza di riferimenti, nella sentenza impugnata, alla sentenza di primo grado.
In secondo luogo, si rilevano la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la
manifesta illogicità della motivazione quanto alla valutazione dei risultati degli
appostamenti effettuati dalla polizia giudiziaria relativamente agli incontri
dell’imputato con diversi giovani che uscivano dal panificio da lui gestito. Rispetto
all’ipotesi – ritenuta dalla Corte d’appello – che l’imputato incontrasse quei giovani per
cedere loro dello stupefacente, non si sarebbe considerata la possibilità di ricostruzioni
alternative come, per esempio, quella che l’imputato, soggetto tossicodipendente,
incontrasse amici per fare conversazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
L’imputato non lamenta la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
da parte della Corte d’appello, ma semplicemente il fatto che la motivazione della
sentenza non sarebbe idonea a contrastare le contrarie affermazione del giudice di
primo grado; non individua, però, i passaggi logico-argomentativi che verrebbero in
rilievo a tal fine, limitandosi ad una generica critica complessiva. Quanto, poi,
all’ipotesi secondo cui i soggetti che entravano e uscivano dal panificio dell’imputato
fossero semplicemente dei suoi conoscenti che facevano con lui conversazioni, deve
rilevarsi che lo stesso ricorrente la configura come meramente alternativa rispetto a
quella fatta propria dalla Corte d’appello e non fornisce alcun elemento di fatto a suo
sostegno. Mancano, dunque, rilievi anche solo astrattamente idonei a disarticolare il
costrutto logico della sentenza impugnata o a denunciarne la carenza relativamente a
profili decisivi.
Del resto, dalla lettura del provvedimento, emerge che lo stesso è
coerentemente e correttamente motivato in relazione a tutti gli elementi essenziali

complessivo di grammi 22,985.

della responsabilità penale. E, in particolare: a) vi è una testimonianza dalla quale
risulta che l’imputato gestiva il forno nell’orario serale e che era uno dei soggetti che
avevano la disponibilità del cassetto nel quale era stato poi rinvenuto lo stupefacente
con il denaro; b) a seguito dell’appostamento di polizia giudiziaria, era stata effettuata
perquisizione, alla presenza dell’imputato, nel corso della quale lo stupefacente e di
denaro erano stati rinvenuti nel cassetto in questione, vicino al quale lui si trovava; c)
l’appostamento aveva consentito di accertare che vari giovani si avvicinavano

dalla teste Iacoviello circa la circostanza se l’imputato si allontanasse dal panificio è
falsa, perché contrasta con le dichiarazioni dei carabinieri e perché intrinsecamente
contraddittoria (come ben evidenziato alle pag. 2 e 3 della sentenza).
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2014.

all’imputato, parlavano con lui e se ne allontanavano; d) la versione dei fatti fornita

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