Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33735 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33735 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAVASTANO VINCENZO N. IL 02/01/1979
avverso l’ordinanza n. 7051/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
26/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
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Data Udienza: 06/05/2014

RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli ha
confermato l’ordinanza con la quale il GIP del Tribunale della stessa città, in
data 28 giugno 2013, aveva disposto l’applicazione a VINCENZO SAVASTANO
della misura cautelare della custodia in carcere per i reati di furto aggravato di
un’autovettura e concorso in estorsione.
Contro tale provvedimento, l’indagato (con l’ausilio di un avvocato iscritto

seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
– nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125, comma 3, c.p.p. in
relazione agli artt. 309 – 273 – 292, comma 2, c.p.p., nonché 629 c.p., 81 e
629 c.p. 274 c.p.p. (lamenta, in concreto, la non configurabilità

della

contestata estorsione, e comunque della ritenuta continuazione, oltre che
l’inadeguatezza – per eccessiva ed immotivata afflittività – della misura scelta
dal GIP, oltre che carenza motivazionale su ciascuno dei rpedetti profili).
All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’art. 127 c.p.p., si è
proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito; all’esito, la parte
presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema, riunita in
camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è integralmente inammissibile, perché presentato in parte per
motivi generici e comunque manifestamente infondati, in parte per motivi non
consentiti.

1. Questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n. 42408 del 21 settembre
2012, CED Cass. n. 254037; Sez. I, sentenza n. 1786 del 5 dicembre 2003,
dep. 21 gennaio 2004, CED Cass. n. 227110; Sez. I, sentenza n. 2927 del 22
aprile 1997, CED Cass. n. 207759) ha già chiarito che è inammissibile il ricorso
avverso il provvedimento del Tribunale del riesame che deduca per la prima
volta vizi di motivazione inerenti ad argomentazione presenti nel
provvedimento genetico della misura coercitiva che non avevano costituito

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oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale, non risultandone traccia n

dal testo dell’ordinanza impugnata, né da eventuali motivi o memorie scritte, né

all’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i

dalla verbalizzazione della ragioni addotte a sostegno delle conclusioni
formulate nell’udienza camerale.
Non può, infatti, rilevare, in senso contrario, il fatto che il riesame sia un
mezzo di impugnazione totalmente devolutivo, poiché

«in mancanza di

specifiche deduzioni difensive il Tribunale in sede di riesame legittimamente può
limitarsi, (…), a concordare “pienamente con la ricostruzione della sussistenza
del quadro indiziario risultante dalla richiesta del PM e dall’ordinanza del GIP”,

1.1. Non è, pertanto, consentito, perché dedotto per la prima volta in sede
di legittimità, il motivo inerente alla motivazione in virtù della quale è stata
ritenuta la continuazione “interna”, poiché il provvedimento impugnato non dà
conto della relativa doglianza e, sul punto, il ricorrente non ha mosso
contestazioni.

1.2. Il motivo è, comunque, non consentito o generico anche in relazione
alla dedotta violazione di legge.
Questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n. 9028 del 5 novembre 2013,
dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066) ha già chiarito che è
inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione con
cui si deducano violazioni di legge verificatesi nel giudizio di primo grado, se
l’atto non procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello
contenuto nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare
che l’atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice
aveva anch’esso già denunciato le medesime violazioni di legge.
Nel caso di specie, il motivo è, pertanto, non consentito, perché le violazioni
di legge che ne costituiscono oggetto, in ipotesi verificatesi nel corso del
giudizio di primo grado, sono state dedotte per la prima volta in questa sede, in
violazione di quanto stabilito dall’art. 606, comma 3, c.p.p.: le relative
doglianze non risultano, infatti, formulate tra i motivi di appello, come si evince
anche dal riepilogo degli stessi riportato nel provvedimento impugnato (f. 1 s.),
ed è, comunque, generico perché l’odierno ricorrente, tenuto conto di quanto
disposto dall’art. 606, comma 3, ultima parte, c.p.p., ed in virtù dell’onere di
specificità dei motivi di ricorso per cassazione, imposto dall’art. 581, comma 1,
lett. C), c.p.p., avrebbe avuto il dovere processuale di contestare
specificamente, nell’odierno ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato
dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o

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riassumendo, poi, i punti essenziali di tale quadro indiziario».

comunque non corretto, poiché la tempestiva deduzione della violazione di
legge come motivo di appello costituisce requisito che legittima la
riproposizione della doglianza in cassazione e, pertanto, di ciò il ricorso, con la
dovuta specificità, deve dar conto.

2. Con riguardo ai limiti entro i quali questa Corte Suprema può esercitare il
sindacato di legittimità sulla motivazione delle ordinanze applicative di misure
cautelari personali, secondo l’orientamento che il Collegio condivide e reputa

606 c.p.p. (cui l’art. 311 c.p.p. implicitamente rinvia), deve rilevarsi che, nei
casi in cui sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta «il compito di verificare

se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno
indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che
governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare
prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate» (Cass. pen., Sez. un.,
sentenza n. 11 del 22 marzo 2000, CED Cass. n. 215828; nel medesimo senso,
dopo la novella dell’art. 606 c.p.p., Sez. IV, sentenza n. 22500 del 3 maggio
2007, CED Cass. n. 237012).

Considerato che la richiesta di cui all’art. 309 c.p.p., quale mezzo di
impugnazione sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo
la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati
nell’art. 292 c.p.p. e ai presupposti ai quali subordinata la legittimità del
provvedimento coercitivo (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 dell’8 luglio
1994, CED Cass. n. 198212), si è sottolineato che, dal punto di vista
strutturale, la motivazione della decisione del tribunale del riesame deve essere
conformata al modello delineato dall’art. 292 c.p.p., che ricalca il modulo
configurato dall’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal
particolare contenuto della pronuncia cautelare, che non è fondata su prove ma
su indizi e tende all’accertamento non di responsabilità ma di una qualificata
probabilità di colpevolezza (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 del 21 aprile
1995, CED Cass. n. 202002).
Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione delle
misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto
se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta

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attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art.

illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la
ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen., Sez. V, sentenza n.
46124 dell’8 ottobre 2008, CED Cass. n. 241997; Sez. VI, sentenza n. 11194
dell’8 marzo 2012, CED Cass. n. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle
esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se

illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può,
infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti. Sarebbero, pertanto, inammissibili le
censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvano nella
prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli
elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice.

2.1. Deve, inoltre, ritenersi che, in tema di ricorso per cassazione, è
inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 125 c.p.p. per
censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito
o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un
raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità
delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di
cui all’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., nella parte in cui consente di dolersi
dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Cass. pen.,
Sez. VI, sentenza n. 45249 dell’8 novembre 2012, CED Cass. n. 254274).

3. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli ulteriori
motivi dell’odierno ricorso.

3.1. Il Tribunale del riesame, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori,
e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta
con la necessaria specificità, in concreto riproponendo più o meno
pedissequamente le analoghe doglianze già proposte in sede di riesame, ha
compiutamente indicato (f. 5) gli elementi integranti il necessario quadro
indiziario grave, essenzialmente valorizzando gli esiti di alcune intercettazioni
(conversazioni nn. 539, 342 e 557, ed in particolare n. 555, dalla quale emerge

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si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta

inequivocabilmente il coinvolgimento del SAVASTANO anche nell’estorsione
perpetrata in danno della stessa p.o. successivamente al furto dell’autovettura).
3.1.1. In proposito, deve rilevarsi che è consolidato l’orientamento di
questa Corte Suprema, a parere della quale, in tema di intercettazioni di
conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai
soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto
rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di
legittimità se – come nel caso di specie – la valutazione risulta logica in

(per tutte, Sez. VI, sentenza n. 46301 del 20 ottobre 2013, CED Cass. n.
258164).
3.2. Quanto alle esigenze cautelari ed alla scelta della misura adeguata a
soddisfarle, sono stati motivatamente valorizzati (f. 6) le modalità dei fatti e
soprattutto lo stabile inserimento del SAVASTANO

«nella criminalità di

settore», desunto dai plurimi precedenti penali («tutti omogenei rispetto
alle fattispecie pet le quali si procede») e daiie conversazioni captate («da
cui è emerso in modo evidente che l’indagato è stabilmente inserito nel circuito
criminale legato al furto ed alla ricettazione di auto>>),

per concludere che

«nessuna misura, oltre quella della custodia in carcere, si ritiene idonea a
salvaguardare le esigenze di cautela, considerato che anche la misura
autocustodiale presuppone una capacità di autocontrollo da parte di chi vi è
sottoposto, che il prevenuto ha dimostrato di non possedere».

3.3. A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale e congetturale
rivisitazione dei fatti di causa, e senza documentare eventuali travisamenti nei
modi di rito.

4. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché – apparendo evidente dai contenuto dei motivi che egli ha
proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte
cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta colpa
– della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di
sanzione pecuniaria.

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rapporto alle massime di esperienza utilizzate e non inficiata da travisamenti

4.1. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att.

c.p.p.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento di euro mille alla Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.

Il Consi liere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, udienza camerale 6 maggio 2014

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