Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3373 del 23/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3373 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Cammarata Ugo, nato il 12 ottobre 1974
avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 7 giugno 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Enrico
Delehaye, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
per prescrizione, quanto ai reati di cui ai capi a), b), c) dell’imputazione, e per il
rigetto del ricorso nel resto;
udito il difensore, avv. Vincenzo Trantino.

Data Udienza: 23/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 7 giugno 2012, la Corte d’appello di Caltanissetta ha
confermato la sentenza del Tribunale di Enna del 10 giugno 2010, con la quale
l’imputato era stato condannato, ritenuta la continuazione e con la concessione delle
circostanze attenuanti generiche equivalente all’aggravante di cui all’art. 349, secondo
comma, cod. pen., per i reati di cui: a) all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n.
380 del 2001, perché, nella sua qualità di legale rappresentante di un circolo ricreativo

abilitativo, le opere edilizie dettagliatamente indicate nell’imputazione, tra le quali casi
il livellamento del terreno in più aree per una superficie complessiva di circa 1200 m 2 ,
nonché tettoie e numerose strutture in legno prefabbricate; b) agli artt. 81, secondo
comma, cod. pen. e 93, 94, 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato tali
opere in zona sismica senza preavviso scritto con allegato progetto, senza
autorizzazione, ed effettuando i lavori senza la direzione di un tecnico abilitato; c)
all’art. 181, comma 1, del d.lgs. 42 del 2004 (così ritenuto in fatto nella sentenza
impugnata), perché realizzava tali opere in area soggetta al vincolo paesaggistico
(reati contestati come commessi il 21 settembre 2007); d) del reato di cui agli artt.
81, secondo comma, 349, secondo comma, cod. pen., perché, in qualità di custode
giudiziario dei beni e delle opere edilizie di cui sopra, sottoposti a sequestro, violava i
sigilli apposti su detti beni (il 22 febbraio 2008).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo: 1) la prescrizione dei reati di cui ai capi a), b), c), sul rilievo
che i lavori erano stati ultimati ben prima del 21 settembre 2007, data del sequestro;
2) la mancanza della motivazione quanto alla responsabilità dell’imputato, perché non
si sarebbe considerata la ricostruzione alternativa fornita dalla difesa, secondo cui egli
era un semplice comodatario a titolo gratuito e non aveva partecipato alla
realizzazione delle opere, pur essendo l’intestatario della licenza per vendere in loco
alimenti e bevande e pur avendo egli presentato un’istanza di permesso di costruire in
sanatoria per un muro in conglomerato cementizio; 3) la mancanza della motivazione
quanto all’esclusione della natura precaria delle opere realizzate; 4) la mancanza di
motivazione quanto alla violazione della normativa antisismica, sul rilievo che non si
tratterebbe nel caso di specie di costruzione, riparazione o sopraelevazione, ma solo di
scavi e livellamenti del terreno, nonché di strutture in legno aperte e svincolate
dell’edificio principale; 5) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in
relazione all’esclusione della scriminante dell’adempimento del dovere, sul rilievo che i

e detentore a titolo di comodato gratuito di un immobile realizzava, senza titolo

sigilli apposti sulle opere sarebbero stati violati in ottemperanza ad un’ordinanza dì
demolizione del 15 ottobre 2007; 6) la mancanza e manifesta illogicità della
motivazione quanto all’elemento soggettivo del reato di violazione di sigilli, sul rilievo
che l’imputato si era limitato ad adempiere all’ordinanza di demolizione di cui sopra;
7) la carenza e la manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche con prevalenza sull’aggravante di
cui all’art. 349, secondo comma, cod. pen.

3. – Il ricorso è parzialmente fondato.
3.1. – Il secondo motivo di doglianza – che deve essere esaminato per primo,
perché attiene alla motivazione circa la responsabilità penale dell’imputato – è
inammissibile, perché non riconducibile a nessuna delle categorie di cui all’art. 606
cod. proc. pen. Dalla stessa prospettazione del ricorrente emerge, infatti, che questa
Corte è chiamata a valutare non la logicità o la completezza del discorso giustificativo
posto a base della sentenza impugnata, ma semplicemente la praticabilità di una
ricostruzione alternativa dei fatti. La stessa difesa, del resto, non contesta la
sussistenza degli elementi correttamente posti dai giudici di merito a base della
ritenuta responsabilità, quali: il fatto che l’imputato, comodatario a titolo gratuito
nell’ambito del rapporto di parentela, aveva la disponibilità di fatto dei beni ed era
intestatario della licenza per vendere in loco alimenti e bevande nonché il fatto che
era stato lui a presentare la istanza di permesso di costruire in sanatoria per un muro
in conglomerato cementizio ivi realizzato, unitamente alla circostanza che le opere
abusive servivano proprio all’esercizio dell’attività di vendita di alimenti e bevande.
3.2. – Il terzo motivo di doglianza – anch’esso attinente alla responsabilità
penale – è manifestamente infondato. Le mere indimostrate asserzioni del ricorrente
circa la pretesa natura precaria delle opere realizzate sono state, infatti, puntualmente
smentite dagli esiti degli accertamenti svolti dalla polizia municipale, che hanno
riscontrato gli ampi sbancamenti e livellamenti del terreno elencati nell’imputazione,
nonché la realizzazione di numerose opere destinate a soddisfare esigenze stabili e
durature. Dunque la Corte d’appello ha correttamente applicato i principi
costantemente affermati da questa Corte in materia di precarietà delle opere edilizie,
secondo cui, ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa
esclusione della modifica dell’assetto del territorio, non sono di per sé decisivi le
caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le esigenze
temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva (ex plurimis, sez. 3, 25 febbraio

CONSIDERATO IN DIRITTO

2009, n. 22054, rv. 243710; sez. 3, 14 maggio 2013, n. 37572, rv. 256511; sez. 3,
24 settembre 2013, n. 41479, rv. 257734).
3.3. – Anche il quarto motivo di impugnazione – relativo alla pretesa
insussistenza delle violazioni antisismiche – è manifestamente infondato. La difesa si
limita, infatti, a sostenere – contro le evidenti risultanze di causa – che non si
tratterebbe nel caso di specie di costruzione, riparazione o sopraelevazione, senza

realizzazione degli edifici rientrano pienamente nel concetto di “costruzione” come
precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (in tal senso, ex plurimis, sez. 3, 17
giugno 2010, n. 34604, rv. 248330).
3.4. – Il quinto e il sesto motivo di ricorso – che devono essere trattati
congiuntamente perché attengono entrambi alla responsabilità per il reato di cui
all’art. 349 cod. pen., che sarebbe da escludere, quantomeno sul piano soggettivo
perché i sigilli sarebbero stati violati in esecuzione di un ordinanza di demolizione del
15 ottobre 2007 e di un ordine di rimessione in pristino del 6 novembre 2007 – sono
inammissibili, perché formulati in modo non specifico. La difesa non precisa infatti,
neanche in via di mera prospettazione, quale fosse l’attività che l’imputato intendeva
svolgere, previa violazione di sigilli, per ottemperare all’ordinanza di demolizione di cui
sopra. In altri termini – e a prescindere dall’analisi della questione se tale ordinanza
fosse idonea in astratto a configurare la scriminante dell’adempimento del dovere – la
circostanza che l’imputato abbia violato i sigilli per demolire le opere abusivamente
realizzate risulta meramente asserita.
3.5. – Il settimo motivo di doglianza – relativo alla motivazione circa la mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche in prevalenza sull’aggravante di cui
all’art. 349, secondo comma, cod. pen. – è anch’esso inammissibile. Come
correttamente evidenziato dalla Corte d’appello, il ricorrente non aveva dedotto
specifici elementi che giustificassero una più incisiva riduzione del trattamento
sanzionatorio, già determinato in misura prossima al minimo, e comunque tali
elementi non emergevano neanche dagli atti di causa, perché l’incensuratezza e la
prognosi favorevole sull’astensione dal commettere ulteriori reati non potevano essere
di per sé ritenuti sufficienti in tal senso, come già affermato dal Tribunale. E a fronte
di una tale motivazione – del tutto logica e coerente – la censura proposta con il
ricorso per cassazione si risolve in un tentativo di ottenere da questa Corte una
valutazione alternativa degli atti di causa in punto di bilanciamento delle circostanze.

considerare che sia gli scavi e i livellamento del terreno sia la conseguente

3.6.

È invece fondato il primo motivo di doglianza, relativo alla prescrizione

dei reati di cui ai capi a), b) e c). La Corte d’appello afferma, infatti, che sia per le
violazioni edilizie e sismiche sia per quelle paesaggistiche, la permanenza del reato si
protrae necessariamente fino al sequestro delle opere ed è, dunque, irrilevante la
prospettazione difensiva secondo cui le opere sarebbero state completate in epoca
prossima al 23 giugno 2005. Nel caso di specie – afferma la Corte d’appello – il
sequestro è avvenuto il 21 settembre 2007, con la conseguenza che – in presenza di

ai capi a), b), c) si sarebbero prescritti in data 22 luglio 2013 e, dunque, dopo la
pronuncia della sentenza d’appello (7 giugno 2012).
Così argomentando, la stessa Corte d’appello non tiene conto del fatto che il
principio secondo cui la permanenza del reato si protrae comunque fino al sequestro
dell’opera edilizia, indipendentemente dalla circostanza se la sua realizzazione sia
stata conclusa prima del sequestro stesso, non può trovare applicazione per le
contravvenzioni urbanistiche e antisismiche, ma al più per i reati paesaggistici, perché
solo tali reati sono in astratto suscettibili di protrarre nel tempo le loro conseguenze
dannose per l’ambiente anche dopo il completamento degli interventi edilizi
(argomento ex, sez. 3, Sentenza 19 maggio 2009, n. 3092, rv. 245207;sez. 3, 20
marzo 2013, n. 24539, rv. 255560; sez. 3, 18 settembre 2013, n. 42363, rv.
257526). Quanto meno in relazione ai reati di cui ai capi a) e b), la Corte d’appello
avrebbe dovuto, dunque, fornire un’adeguata motivazione circa l’effettiva data di
ultimazione delle opere, retrodatata dalla difesa a un’epoca prossima al 23 giugno
2005. In ogni caso i reati, in questione si sono prescritti – anche secondo la
ricostruzione operata dalla Corte d’appello – il 22 luglio 2013, e cioè in un momento
precedente alla pronuncia della presente sentenza.
4. – La sentenza impugnata deve essere dunque annullata senza rinvio, per
intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi a), b), c) dell’imputazione, con
conseguente eliminazione della relativa pena di un mese di reclusione ed euro 60,00
di multa e con revoca dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Il
ricorso deve essere, invece, rigettato quanto al residuo reato di cui al capo d), non
ancora prescritto alla data della pronuncia la presente sentenza.
P.Q. M .
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di cui ai capi
a), b), c) dell’imputazione, per essere gli stessi estinti per prescrizione, ed elimina la

sospensioni della prescrizione per 6 mesi e 22 giorni – i reati contravvenzionali di cui

• relativa pena di un mese di reclusione ed euro 60,00 di multa. Revoca l’ordine di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2014.

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