Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33716 del 08/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33716 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Argoune Karim, nato a Tunisi (Tunisia) il 21 marzo 1979
avverso la sentenza in data 1 ottobre 2013, della Corte d’appello di Palermo
Sentita la relazione svolta dal consigliere dott. Giovanni Diotallevi;
sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Elisabetta
Cesqui, che ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Argoune Karirn ricorre avverso la sentenza in data 1 ottobre 2013, della Corte d’appello
tNiVeA

di Palermo, confermativa 4I condanna del Gup del tribunale di Palermo in data 26 ottobre
2012 per il reato di rapina.
A sostegno dell’impugnazione deduce:
a) Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen.; mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
Il ricorrente censura la valutazione di attendibilità riconosciuta alla persona offesa e il
fatto che la affermazione di responsabilità nei suoi confronti sia basata sul contenuto delle
dichiarazioni della medesima. Nel caso in esame tali dichiarazioni non sarebbero assistite da
certezza, univocità e specificità. Al contrario le dichiarazioni sarebbero caratterizzate da
affermazioni non coerenti sui tempi e modi dell’evento. Inoltre il comportamento del
prevenuto, come riprodotto dalle videoriprese delle telecamere presenti sul posto
evidenzierebbero un atteggiamento assolutamente inidoneo a configurare una partecipazione
all’evento delittuoso.

Data Udienza: 08/07/2014

a) violazione di legge e vizio di motivazione nell’aver considerato sussistente il delitto di
sequestro di persona.
Sostiene il ricorrente che il delitto di sequestro di persona doveva comunque ritenersi
assorbito in quello di rapina contestato, in considerazione della durata minima del tempo della
privazione della libertà personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Osserva la Corte che i motivi sono manifestamente infondati e il ricorso è inammissibile.
Osserva la Corte che nel ricorso si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di

esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti (si veda in
particolare il riferimento alle dichiarazioni della parte offesa e alle valutazioni in ordine alla
corretta qualificazione giuridica del fatto concernente la limitazione della libertà personale della
persona offesa).
Sotto questo profilo le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità,
quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e
l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre
1999, Spina, 214794). E d’altra parte deve ritenersi pacifico che il giudice di appello possa
motivare la propria decisione richiamando le parti corrispondenti della motivazione della
sentenza di primo grado quando l’appellante si sia limitato sostanzialmente alla mera
riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già espressamente ed adeguatamente
esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni
generiche, apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti. (Sez. 6, n. 17912 del
07/03/2013 – dep. 18/04/2013, Adduci e altri, Rv. 255392).
Corretti sono anche i principi giuridici applicati, nel valutare le dichiarazioni della parte
offesa, in base ai quali la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola,
come prova della responsabilità dell’imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la
sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi
terzo e quarto, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tra l’altro, in
questo caso, la persona offesa non si è neppure costituita parte civile. (Sez. 1, n. 29372 del

fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed

24/06/2010 – dep. 27/07/2010, Stefanini, Rv. 248016). Peraltro la credibilità soggettiva della

4

dichiarante e l’attendibilità intrinseca del suo racconto, emerge dall’analisi critica fatta dai

giudici di merito, anche attraverso una serie di riscontri esterni (v. pag. 4 e 5 della sentenza

d’appello) tra cui la stessa confessione dell’imputato e la deposizione della teste Accomando,
oltre gli esiti della perquisizione a carico del prevenuto relativi al rinvenimento del denaro e del
coltello. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).

Per quanto riguarda la sussistenza del reato di sequestro di persona rileva la Corte che

è stata fatta corretta applicazione del consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale
integra il reato di sequestro di persona la condotta di colui che, conseguito lo scopo della
rapina, protrae lo stato di soggezione della persona offesa, impedendole la libertà di

movimento, sia pure allo scopo di garantirsi la fuga. (Sez. 2, n. 4986 del 24/11/2011 – dep.
09/02/2012, Montalto, Rv. 251816), come è avvenuto nel caso di specie (v. pag. 6 della
sentenza d’appello).
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve dichiarasi inammissibile. Ne
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro
1000;

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

PQM

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