Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33707 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33707 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VINCI GILDA N. IL 18/07/1973
avverso la sentenza n. 358/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
23/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 29/05/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 20 maggio 2013 la Corte d’appello di Messina confermava la sentenza
emessa dal Tribunale di Patti che in data 3 marzo 2010 aveva condannato Vinci Gilda per
truffa aggravata ai sensi dell’articolo 61 numero 11 codice penale.
Ricorre per cassazione l’imputata,a mezzo dei suoi difensori, deducendo per la sentenza
impugnata è incorsa in:
1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità.

la versione della ricorrente;
2. violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla sussistenza della
aggravante contestata. Lamenta altresì che si è proceduto all’aumento della
continuazione quando è stato contestato che il reato è stato commesso con un’unica
azione;
3. chiede comunque declaratoria di prescrizione maturata in pendenza del ricorso

Con il primo motivo di ricorso l’imputata censura l’apparato motivazionale della sentenza della
Corte d’Appello di Messina lamentando un’assenza di motivazione in ordine alle specifiche
censure mosse alla sentenza di primo grado
Questa Corte, nel precisare i limiti di legittimità della motivazione per relationem della
sentenza di appello, ha avuto modo di affermare che l’integrazione della motivazione tra le
conformi sentenze di primo e secondo grado è possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia
riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del
secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto proprie
le considerazioni svolte dal primo giudice. Più specificamente, l’ambito della necessaria
autonoma motivazione del giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle
censure rivolte dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto
già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni
generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può
motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o
manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado
siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione,
sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, se il giudice del gravame si limita a respingere
tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente
ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei
motivi di impugnazione. ( Cass. N. 6221 del 2006 Rv. 233082, N. 38824 del 2008 Rv. 241062,
N. 12148 del 2009 Rv. 242811;Cass. Sez. 6, 20-4-2005 n. 4221).
Nel caso in esame, il giudice d’appello, seppure con una motivazione stringata ha risposto in
modo specifico a tutte le doglianze avanzate dall’appellante, richiamando la completa
1

Lamenta che il giudice di secondo grado ha motivato per relationem e non considerato

motivazione del giudice di primo grado solo con riguardo alle questioni di fatto già
adeguatamente esaminate dal Tribunale di Patti
Il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacché i le doglianze in esso
dedotte sono manifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua
genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa

aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c),
all’inammissibilità. Sulla manifesta infondatezza della doglianza in ordine alla sussistenza della
aggravante deve osservarsi che l’aggravante di cui all’art 61 n 11 cod pen, concernente
l’abuso di relazioni di prestazione d’opera, sussiste anche quando le dette relazioni intercorrano
non direttamente tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo, essendo sufficiente che di esse si
sia avvalso l’autore del reato, violando la fiducia in lui riposta dal datore di lavoro e da coloro
ai quali quest’ultimo si era rivolto per l’opera occorrentegli. (Rv. 111499 Rv. 109906;
Rv.115331). La questione in ordine all’aumento per la continuazione non è stata sollevata fra i
motivi d’appello e comunque non risulta essere stato effettuato un aumento a tale titolo.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.
L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la
declaratoria di prescrizione maturata, come indicato dallo stesso ricorrente, dopo la pronuncia
impugnata (Sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 29.5.2014

non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di

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