Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33696 del 06/04/2017

Penale Sent. Sez. 6 Num. 33696 Anno 2017
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A.

avverso la sentenza del 14/09/2015 della Corte di Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. XX, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza di condanna emessa in data 12 gennaio 2015 dal Tribunale di Milano
nei confronti di A.A. per il delitto di cui all’art. 388, comma 3, cod.
pen., perché, la imputata, nominata in data 8 giugno 2011 custode di un tappeto
di origine Hereke del valore di 8.000 euro, di sua proprietà e sottoposto a

Data Udienza: 06/04/2017

pignoramento, lo aveva sottratto al vincolo esecutivo, non facendolo rinvenire
presso la propria abitazione.

2. La imputata ricorre personalmente avverso tale sentenza e ne chiede
l’annullamento, deducendo:

la violazione dell’art. 124 cod. proc. pen. in relazione alla mancata

declaratoria della improcedibilità del reato per tardività della querela;

la erronea applicazione dell’art. 388, comma quarto, cod. pen., la carenza

dell’avvenuto pignoramento del tappeto e la inosservanza dell’art. 521 cod. proc.
pen. per difformità tra il fatto contestato e quello accertato in sentenza;

la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del presupposto della

sottrazione del bene pignorato e dell’elemento soggettivo del reato, oltre che
della quantificazione della pena;

la erronea applicazione della legge penale in ordine alla insussistenza dei

presupposti per la subordinazione della sospensione condizionale della pena al
pagamento della provvisionale, non essendo stato operato alcun apprezzamento,
neppure sommario, in ordine alle condizioni economiche dell’imputata ed alla sua
concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento pecuniario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso deve essere disatteso in quanto i motivi nello stesso dedotti si

rivelano infondati.

2.

I primi tre motivi di ricorso si rivelano, invero, inammissibili, in quanto si

risolvono nella riproposizione, quasi testuale, delle medesime doglianze
formulate nell’atto di appello e disattese dai giudici del grado, senza che la
motivazione della sentenza di appello abbia formato oggetto di una autonoma e
articolata critica impugnatoria.
La mancanza di specificità del motivo, del resto, dev’essere apprezzata non
solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione ed, in entrannbi(f conduce, ai sensi dell’art. 591
cod. proc. pen., comma 1, lett. c), all’inammissibilità della stessa (Sez. 4, n.
18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997,
Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473;

2

di motivazione in ordine all’accertamento della conoscenza da parte dell’imputata

Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del
03/07/2007, Scicchitano).
3.

Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 124 cod.

proc. pen.; secondo la ricorrente, infatti, la motivazione della sentenza
impugnata aveva pretermesso che la parte lesa era venuta a conoscenza del
fatto contestato, nella sua interezza e nella sua precisa qualificazione giuridica,
già diversi mesi prima della presentazione della querela, che, pertanto, doveva

4.

A tacere del carattere puramente fattuale del tenore della censura

articolata dalla ricorrente, deve rilevarsi come la sentenza impugnata
congruamente rileva che il termine per la proposizione della querela non poteva
decorrere dal giorno della amotio del bene pignorato, in quanto, la A.A. era
stata sfrattata e tale condotta non era ancora univocamente indicativa
dell’avvenuta sottrazione del bene all’esecuzione.
La Corte di Appello di Milano ha, infatti, non illogicamente rilevato che la
A.A., dopo lo sfratto, avrebbe ben potuto trasferire il bene pignorato presso la
nuova abitazione, comunicando agli organi della procedura ove si trovava ed ove
avrebbe potuto essere prelevato nel momento in cui ne fosse stata disposta la
vendita.
Il termine per la proposizione della querela, pertanto, correttamente doveva
essere identificato in quello della comunicazione dell’Istituto Vendite Giudiziarie
dell’avvenuto trasferimento in luogo ignoto del bene pignorato.
5.

Con il secondo motivo, la ricorrente si duole congiuntamente della

” ..__:.( pen., della carenza di
violazione dell’art. 388, comma quarto, cod.ILL
motivazione in ordine alla conoscenza da parte dell’imputata dell’avvenuto
pignoramento del tappeto e della inosservanza dell’art. 521 cod. proc. pen. per
difformità tra fatto contestato e fatto accertato in sentenza.
Nell’imputazione la A.A. era, infatti, accusata di aver sottratto il bene
pignorato, in qualità di custode, ma tale qualifica era errata, non figurando nel
verbale di pignoramento.
Il Tribunale di Milano aveva affermato che risultava documentalmente che la
A.A. fosse stata nominata custode, laddove nella sentenza di secondo grado si
precisava che tale nomina era insussistente nella documentazione presente agli
atti. La imputata, pertanto, in tale condizione di incertezza, aveva ignorato
l’avvenuto pignoramento del bene e, comunque, la sentenza impugnata aveva
operato una immutazione del fatto originariamente contestato.
Anche tale censura deve essere disattesa in quanto infondata.

3

essere dichiarata tardiva.

La sentenza impugnata logicamente rileva come, ancorché nel verbale di
pignoramento la A.A. non fosse stata nominata custode del bene staggito, tale
condizione non costituisce un presupposto della configurabilità del delitto di cui
all’art. 388, connma terzo, cod.

pen,:.

del quale la medesima è imputata.

Non vi era stata, peraltro, alcuna violazione del contenuto precettivo dell’art.
521 cod. proc. pen. e tanto meno alcuna difformità tra il fatto contestato e quello
accertato in sentenza, in quanto la A.A. era stata la diretta destinataria della
intimazione, rivoltale ai sensi dell’art. 492 cod. proc. civ., di astenersi da ogni

A differenza di quanto opina la ricorrente, pertanto, non era intervenuta
alcuna riqualificazione o immutazione del fatto.
Nella logica e coerente valutazione della Corte di Appello di Milano, inoltre,
nessun dubbio poteva essere ritenuto sussistente in ordine all’avvenuta
apposizione del vincolo esecutivo sul tappeto, in quanto lo stesso era stato
ritualmente eseguito su un bene che si trovava nella disponibilità della A.A.,
nel suo domicilio, come documentalmente attestato dal verbale di pignoramento,
che è atto pubblico di fede privilegiata; l’esistenza del vincolo esecutivo era,
peraltro, stata rammentata alla A.A. dal teste B.B., dipendente della
fondazione creditrice, proprio mentre la stessa stava asportando il bene,
ricevendo una risposta evasiva sul punto.

6. Con il terzo motivo la ricorrente censura, congiuntamente, la manifesta
illogicità della motivazione in ordine al presupposto della sottrazione del bene
pignorato, all’elemento soggettivo del reato ed alla quantificazione della pena; la
persona offesa era a conoscenza, infatti, che la A.A., dopo lo sfratto subito, si
era trasferita a Cormano, ove erano avvenute le notifiche per compiuta giacenza
e, pertanto, sapeva dove reperire il bene pignorato.
Contraddittoria ed illogica era, inoltre, la determinazione della pena, in quanto
non erano state indicate le ragioni per la quale, a fronte della riqualificazione del
fatto operato dalla Corte di Appello, era stata irrogata una pena sensibilmente
più elevata del minimo edittale.
Anche tali censure si rivelano, tuttavia, manifestamente infondate.
La sentenza impugnata ha, infatti, rilevato in modo logico e coerente come
mai la A.A. avesse messo a disposizione il tappeto e come la compiuta
giacenza delle intimazioni inviate a mezzo posta presso il nuovo domicilio di
Cormano non poteva essere considerato un elemento dirimente, ben potendo
ingenerare la notifica per compiuta giacenza la convinzione nella parte lesa di un
domicilio fittizio.

4

atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito il tappeto pignorato.

L’imputata, peraltro, dopo aver asportato il tappeto dal luogo in cui era stato
pignorato, non aveva mai comunicato all’ufficiale giudiziario, né all’Istituto
Vendite Giudiziarie dove si trovasse il bene e nel corso del giudizio penale non
aveva messo a disposizione il bene staggito.
Nella non illogica valutazione della Corte di Appello di Milano tali elementi
fattuali univoci e convergenti denotavano sia il fatto oggettivo della sottrazione
che, sul piano soggettivo, la coscienza e la volontà di sottrarre il bene alla
procedura esecutiva ed alla garanzia del credito.

asserita carenza della motivazione in ordine alla entità della pena determinata in
misura superiore ai minimi edittali.
La Corte di Appello di Milano ha, infatti, congruamente ritenuto di determinare
la pena “in misura assai più vicina al minimo che al massimo edittale” in ragione
dell’entità del consistente pregiudizio arrecato alla persona offesa, stante il
valore del bene staggito, e dell’audacia e della disinvoltura che avevano
connotato la condotta della A.A..

7. Con il quarto motivo la ricorrente censura la erronea applicazione della
legge penale in ordine alla sussistenza dei presupposti per la subordinazione
della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, non
essendo stato operato alcun apprezzamento, neppure sommario, in ordine alle
condizioni economiche dell’imputata ed alla sua concreta possibilità di sopportare
l’onere del risarcimento pecuniario.
Anche tale doglianza si rivela, tuttavia, infondata in quanto, la Corte di
Appello di Milano, richiamandosi all’orientamento maggioritario della
giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che tale statuizione non presupponga
da parte del giudice alcuna verifica preliminare.
Ritiene il Collegio, pur nella consapevolezza dell’esistenza di un opposto
indirizzo minoritario, che tale interpretazione sia corretta; in tema di sospensione
condizionale della pena, infatti, nel caso in cui il beneficio venga subordinato
all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno, il giudice della cognizione
non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche
dell’imputato, salva l’ipotesi in cui emergano situazioni che ne facciano dubitare
della capacità economica di adempiere. L’interessato, del resto, non subisce
alcun pregiudizio grave ed irreparabile dalla decisione così adottata, potendo
sempre allegare, in sede esecutiva, le circostanze che rendono impossibile o
grandemente difficoltoso l’adempimento. (Sez. 3, n. 29996 del 17/05/2016, Lo
Piccolo, Rv. 267352; Sez. 2, n. 26221 del 11/06/2015, Danmico, Rv. Rv.

5

Manifestamente infondata si rivela anche la doglianza formulata in ordine alla

264013; Sez. 6, n. 33020 del 8 maggio 2014, S., Rv. 260555; Sez. 4, n. 10108
del 25/09/1995, Pietroni, Rv. 202282).
Tale conclusione, del resto, trova ulteriore conforto dalla modifica apportata
all’art. 165 cod. pen. dalla legge 11 giugno 2004 n. 145 che, nel sopprimere
l’originario riferimento all’impossibilità di cui al comma secondo del medesimo
articolo, ha sollevato il giudice del merito dall’accertamento preventivo sulle
condizioni economiche dell’imputato a cui comunque è consentito, in sede

8. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato e,
conseguentemente, la ricorrente deve essere condannata, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 06/04/2017.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Fabrizio D’Arcangelo

Giacomo/ aoloni

esecutiva, di far valere la propria impossibilità ad adempiere.

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