Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3369 del 30/09/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3369 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

IROGUEHI Oluwatbi, nato in Nigeria il 5 maggio 1961;

avverso la sentenza n. 1325/13 della Corte di appello di Napoli, del 6 marzo 2013;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Sante SPINACI, il
quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 30/09/2014

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 marzo 2013 la Corte di appello di Napoli ha
confermato la decisione con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
dichiarata la penale responsabilità di Iroguehi Oluwatbi in ordine ai reati di cui
agli artt. 81, cpv, e 110 cod. pen. nonché 3 e 4, numero 1, della legge n. 75
del 1958 a lui contestati, lo aveva condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di
reclusione e euro 1500,00 di multa, oltre alle pene accessorie.

prevenuto, osservava, quanto alla censura avente ad oggetto l’avvenuta
acquisizione dei verbali di prove assunte dall’organo giudicante di prime cure
in diversa composizione, che ai fini della acquisizione delle prove già assunte
non era necessario il consenso espresso della parti, a meno che non sia stata
chiesta nuovamente l’escussione dei testi già sentiti; poiché nel caso in esame
si trattava di testi del Pm, il quale non aveva chiesto la rinnovazione del loro
esame, vana era risultata la richiesta di controesame presentata dalla difesa;
osservava, altresì, la Corte di appello che tale richiesta di controesame era
stata formulata tardivamente, cioè dopo che il Tribunale, ai sensi dell’art. 507
cod. proc. pen., aveva ritenuto di assumere la deposizione della persona
offesa.
Con riferimento ai motivi di impugnazione aventi ad oggetto il merito della
vicenda la Corte di appello osservava che la responsabilità del prevenuto era
risultata provata a seguito delle dichiarazioni rese dalla parte offesa della cui
attendibilità non vi era motivo di dubitare, non essendo emerso alcun intento
calunnioso in lei né alcuna contraddittorietà o lacunosità nelle sue
dichiarazioni, oggetto, anzi di precisi riscontri obbiettivi.
Quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la Corte
rilevava che giustamente esse non erano state riconosciute in primo grado in
assenza di elementi in grado di giustificarne la concessione, così come
adeguata era stata la commisurazione della pena alla gravità del fatto.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato,
tramite il proprio difensore, deducendo, la nullità della sentenza stante la
illegittima utilizzazione delle dichiarazioni testimoniali acquisite tramite lettura
essendo state assunte le relative prove dal Tribunale in diversa composizione.
Avendo la difesa dell’imputato richiesto di controesaminare del teste, non
vi era stato, neppure tacitamente, il consenso alla utilizzazione di tali atti
tramite sola lettura.
Era, altresì, dedotto il vizio di motivazione della sentenza per essere essa
fondata solo sulle dichiarazioni della parte offesa, senza alcun riscontro.

La Corte territoriale, esaminando i motivi di appello formulati dal

Egualmente carente è la motivazione della sentenza nella parte in cui non
sono state riconosciute in favore del prevenuto le attenuanti generiche, che
sarebbero state negate in considerazione del suo comportamento processuale,
cioè per essere lo stesso rimasto contumace.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto dal prevenuto è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di censura osserva la Corte che esso

giudice in diversa composizione.
In linea di principio la questione può dirsi oramai pacificamente risolta
dalla giurisprudenza di gran lunga prevalente nel senso che non sussiste la
nullità della sentenza qualora le prove siano valutate da un collegio in
composizione diversa da quello davanti al quale le stesse sono state acquisite,
trattandosi di prove comunque legittimamente espletate, laddove le parti
presenti non si siano opposte alla acquisizione mediante lettura degli atti
contenuti nel fascicolo dibattimentale precedentemente assunti né abbiano
esplicitamente richiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in
quanto, in tal caso, si deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia
pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (così di recente: Corte di
cassazione, Sezione V penale 4 aprile 2014, n. 5581, ma, già in precedenza, ex

multis: Corte di cassazione, Sezione V penale, 19 settembre 2008, n. 35975).
Né, vale la pena di precisare, tale orientamento risulta essere stato
smentito dalla ancora più recente sentenza n. 12234 del 2014 di questa stessa
Sezione, la cui massima potrebbe evidenziare un mutamento di indirizzo;
infatti, attraverso la diretta analisi della motivazione del provvedimento in
questione emerge che nel caso allora in esame ad un ulteriore mutamento della
composizione dell’organo giudicante, successivo a quello che già aveva portato
alla rinnovazione tramite lettura degli atti della attività istruttoria
dibattimentale svolta di fronte al Tribunale nella originaria composizione, non
aveva fatto seguito una seconda lettura degli atti stessi, di tal che, come
appunto si legge nel provvedimento ora ricordato, nella fattispecie “non si
tratta(va) solo di una questione di utilizzabilità o inutilizzabilità delle prove
acquisite o di un eventuale consenso implicito delle parti alla lettura degli atti
precedenti per non avere esplicitamente richiesto la rinnovazione del
dibattimento (…), bensì, ai sensi dell’art. 525 comma 2, cod. proc. pen. e
dell’art. 179, comma 2, cod. proc. pen., di una nullità assoluta, insanabile e
rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento che investe la
deliberazione finale adottata nel giudizio di primo grado, in quanto la stessa è
stata presa da giudici diversi da quelli che hanno partecipato al dibattimento”
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attiene al tema della utilizzabilità delle prove assunte in dibattimento dal

non essendo lo stesso stato rinnovate l’arkrvità is1Pd -ttsaila di fronte a loro
neppure tramite lettura degli atti.
Per come emerge dal testo della sentenza impugnata, né la circostanza è
efficacemente smentita o comunque posta in discussione dal ricorrente con
l’atto introduttivo del presente giudizio; nel caso che interessa la difesa del
prevenuto aveva manifestato il suo interesse al controesame dei testi addotti
dal Pm e delle cui deposizioni era stata data lettura stante la mutata

disposta, appunto, la lettura degli atti, ma solo dopo che, ai sensi dell’art. 507
cod. proc. pen., il Tribunale stesso aveva disposto

ex officio una ulteriore

integrazione probatoria.
Atteso che, secondo la espressa previsione della disposizione normativa
ultima citata, il predetto potere di integrazione probatoria è esercitabile dal
giudice “terminata la acquisizione delle prove”, è evidente che nel caso di
specie, a tutto voler concedere, la asserita opposizione da parte dell’imputato
alla acquisizione tramite lettura delle prove già precedentemente assunte,
sarebbe stata manifestata, neppure esplicitamente, ben oltre il termine in cui
essa doveva intervenire, cioè prima della lettura stessa, ed addirittura allorché
la istruttoria dibattimentale non era più suscettibile di arricchimenti ad istanza
di parte.
Siffatta inerzia non può, in definitiva, che costituire indice di acquiescenza
alla lettura degli atti; questa, pertanto, non può costituire successivamente
ragione per la vantaggiosa impugnazione della sentenza cui si è pervenuti
tramite la lettura stessa degli atti.
Riguardo alla censura avente ad oggetto la circostanza che l’impianto
accusatorio della sentenza di condanna si fonda essenzialmente sulle
dichiarazioni della parte offesa, osserva la Corte che, in linea di principio, in
assenza di elementi che ne possano porre in dubbio la sua attendibilità, non vi
è motivo di attribuire alle dichiarazioni accusatorie rese dalla parte offesa una
valenza inferiore a quelle rese da altri soggetti; ciò tanto più ove, come nel
caso che interessa, per un verso si discute di reati in cui la esclusività del
rapporto fra imputato (o imputati) e parte offesa rende frequentemente
quest’ultima l’unica fonte di conoscenza dei fatti per cui si procede, e, per altro
verso, laddove la parte offesa, neppure essendosi costituita parte civile nel
giudizio penale, non appaia essere portatrice di alcun interesse attuale alla
dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato.
D’altra parte non va sottaciuto che la Corte di appello, nel valutare la
attendibilità della odierna parte offesa, non solo ha rilevato in essa la assenza
di alcun movente calunnioso nei confronti dell’attuale ricorrente, ma ha anche
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composizione dell’organo giudicante non immediatamente prima che fosse

riscontrato la completezza delle dichiarazioni da quella rese e la loro intima
coerenza, dati questi che, sia pure ad abundantiam, accreditano il giudizio di
attendibilità già plausibilmente formulato in ordine alle dichiarazioni accusatorie
a carico del ricorrente dalla Corte partenopea.
Infine, riguardo alla asserita carenza di motivazione sulla innmeritevolezza
dell’imputato con riferimento alla concessione delle attenuanti generiche, va
ricordato che siffatte circostanze non costituiscono, per costante giurisprudenza
di questa Corte, una graziosa concessione che, con discrezionalità trasmodante
ad libitum in favore del

prevenuto, dovendo risultare, sia pure con motivazione sintetica, le ragioni che
ne giustificano il riconoscimento, così come, per converso, nel motivare il
diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il
giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli
altri disattesi o superati da tale valutazione (Corte di cassazione, Sezione III
penale, 3 luglio 2014, n. 25535).
Nella presente fattispecie il giudicante ha rilevato come a carico del
ricorrente militassero, siccome ostative al riconoscimento delle predette
circostanze attenuanti elementi negativi desumibili sia dalla gravità dei fatti a
lui addebitati, dalla loro reiterazione nel tempo e dalle modalità,
particolarmente odiose, della sua condotta, a fronte dei quali non sono emersi
fattori che, lumeggiandone positivamente la personalità ovvero la condotta,
potessero portare alla concessione delle attenuanti generiche; né, invero, tali
elementi sono stati segnalati dalla difesa dell’imputato in sede di ricorso per
cassazione, essendosi questa, in maniera del tutto generica, riferita ad un non
meglio precisato corretto comportamento processuale (dato questo, peraltro,
apparentemente in stridente contrasto con la condizione di contumacia che ha
caratterizzato il ricorrente quantomeno nel giudizio di appello) ed ad una
pretesa “non riconosciuta capacità a delinquere” del medesimo, che, viceversa,
apparirebbe del tutto smentita dalla gravità delle condotte delittuose dallo
stesso poste in essere.
Conclusivamente il ricorso del Iroguehi Oluwatbi deve essere dichiarato
inammissibile e lo stesso va condannato, oltre che al pagamento delle spese
processuali, anche a quello della somma di euro 1000,00, così equitativamente
determinata, giusta la previsione di cui all’art. 616 cod. proc. pen.
PER QUESTI MOTIVI

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nell’arbitrio, il giudice di merito può riconoscere

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuale e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2014
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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