Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33687 del 08/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33687 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Francesco Manisi, quale difensore di
Piobbici Luca (n. il 17.10.1975), avverso la sentenza della Corte di Appello di
Ancona, Sezione penale, in data 27.09.2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Carmine
Stabile, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
OSSERVA:

Data Udienza: 08/05/2014

Con sentenza del 07.06.2011, il Tribunale di Pesaro — Sezione
distaccata di Fano – dichiarò Piobbici Luca responsabile dei reati di truffa (13
ipotesi specificate in rubrica) e di appropriazione indebita (un’ipotesi) e lo
condannò alla pena di anni 3 di reclusione ed € 1.300,00 di multa.
Awerso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte di
appello di Ancona, con sentenza del 27.09.2012, confermò la decisione di
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo la
mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi
della fattispecie di cui all’art. 640 del cod. penale. In particolare evidenzia che
i giudici di merito hanno “fatto coincidere la condotta fraudolenta con le
mansioni svolte dal Piobbici all’interno della ditta” senza neppur tener conto
che il venditore deve avere “autonomia e concordare i propri rapporti con gli
acquirenti”. Sottolinea, poi, che erra la Corte di appello nel ritenere realizzato
il profitto ritenendo il ricorrente il reale amministratore della società ed
essendo egli anche parente (figlio) dell’amministratrice di diritto e pertanto
beneficiario con la società di famiglia: infatti tali elementi non sono emersi nel
corso del giudizio di primo grado. Rileva, infine, che da una C.T. espletata
nel mese di novembre 2012 (confermata dalla comunicazione INPS del
10.04.2013 con la quale si riconosce il ricorrente invalido al 100%) l’imputato
risulta affetto da malattia mentale che esclude che al momento della
commissione di fatti l’imputato avesse la capacità di intendere e volere o
quantomeno che tale facoltà fosse gravemente scemata; pertanto si
dovrebbe procedere ad un proscioglimento ex art. 129 del cod. proc. penale.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la

primo grado.

migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.
Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez.
5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent.

Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’ari. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono
le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario
contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni,
ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si
palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, la Corte territoriale
ha, in primo luogo, richiamato e fatta propria la condivisa motivazione del
Giudice di primo grado per quanto riguarda il giudizio di colpevolezza
dell’imputato per i reati di cui sopra (sentenze di primo e secondo grado,
senz’altro valutabili congiuntamente in presenza di una cd. “doppia
conforme”). In proposito si deve osservare che in tema di motivazione della
sentenza di appello, è consentita quella “per relationem”, con riferimento alla
pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico della
sentenza del primo giudice non contengano, come nel caso di specie,
elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso: il
giudice del gravame non è infatti tenuto a riesaminare una questione
formulata genericamente nei motivi di appello che sia stata già risolta dal
giudice di primo grado con argomentazioni corrette ed immuni da vizi logici
(Sez. 6, Sentenza n. 31080 del 14/06/2004 Cc. – dep. 15/07/2004 – Rv.
229299; Sez. 2, Sentenza n. 16716 del 11/02/2005 Ud. – dep. 16/05/2006 Rv. 234409). Ma la Corte di appello non si è limitata ad un semplice richiamo
per relationem della condivisa sentenza di primo grado, ma ha con esaustiva,
logica e non contraddittoria motivazione, affrontato tutte le generiche
questioni poste con l’impugnazione e ha indicato tutti le ragioni dalle quali
desume la piena responsabilità dell’imputato per i reati di cui sopra. In
particolare la Corte di merito ha ben evidenziato: perché sussistono gli
elementi costitutivi dei reati di truffa (si vedano le pagine 3 e 4 dell’impugnata

n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

sentenza); quale è stata la condotta dell’imputato, quale era il suo ruolo e il
suo profitto (si vedano le pagine 3 e 4 dell’impugnata sentenza); gli elementi
probatori dai quali ha ricavato quanto sopra (si vedano sempre le pagine 3 e
4 dove vengono anche indicati i nomi dei testi per ogni singola vicenda).
A fronte di quanto sopra il difensore del ricorrente — come si è già detto
– contrappone solo contestazioni, che non tengono conto delle
congetture. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o contraddizione
nella motivazione della Corte territoriale allorchè conferma la decisione del
giudice di primo grado. Si deve osservare, in proposito, che l’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi,
dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso
di specie non si ravvisano). Inoltre, questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di
ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Si rileva, in proposito, che le valutazioni di merito sono insindacabili nel
giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di
specie (Sez. U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999 Ud. – dep. 16/12/1999 – Rv.
214794).
Infine, per quanto riguarda la C.T. psichiatrica effettuata dopo la
sentenza di secondo grado è evidente che non se ne può tenere conto
trattandosi di questione di fatto mai rappresentata ai giudici di merito e non
proponibile per la prima volta avanti a questa Corte di legittimità. Si deve,
comunque, rilevare che mai nessuno ha evidenziato, nel corso dell’intero
procedimento, problemi psichici dell’imputato all’epoca della commissione dei
reati (anno 2008 e cioè 4 anni prima della espletata C.T.); problemi psichici

argomentazioni della Corte territoriale e che si fondono solo su mere

che sembrano essere esclusi, anche, dalle modalità truffaldine e da tutte le
circostanze accertate e poste in evidenza nelle due sentenze di merito.
Pertanto, uniformandosi ai principi di diritto di cui sopra – che il Collegio
condivide – va dichiarata inammissibile l’impugnazione.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, 1’08105/2014.

condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —

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